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La Corte di Giustiza annulla la decisione della Commissione Ue: L'intervento di sostegno a Banca Tercas non era "aiuto di Stato"

I fatti alla base della decisione sono noti. Dopo il vaglio di alcune possibili opzioni per il salvataggio di Tercas, poi non andate a buon fine, il Commissario straordinario della banca instaurava i primi contatti con BPB. Verso fine 2013, il FITD deliberava di intervenire nell'operazione con un importo di circa 300 milioni di euro tra finanziamenti e garanzie

di Edoardo Gambaro e Pietro Missanelli*


Lo scorso 2 marzo, la Grande Sezione della Corte di giustizia dell'UE ha messo fine a una vicenda pluriennale che ha investito l'intero settore bancario italiano. La Corte, infatti, ha definitivamente escluso la natura di "aiuto di Stato" dell'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi ("FITD") in vista dell'acquisizione, nel 2014, della Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo ("Tercas") da parte di Banca Popolare di Bari ("BPB"). Come qualcuno ricorderà, il fatto che la Commissione UE avesse qualificato l'intervento del FITD come aiuto di Stato illegale e incompatibile con i Trattati UE aveva pregiudicato l'utilizzo di tale strumento per le ristrutturazioni di diversi istituti di credito regionali e giocato un ruolo decisivo nel calo di fiducia che, da lì a pochi mesi, avrebbe interessato il sistema bancario italiano, perturbato dalla crisi delle c.d. quattro banche (Banca Marche, Popolare Etruria, CariChieti e CariFerrara).

I fatti alla base della decisione sono noti. Dopo il vaglio di alcune possibili opzioni per il salvataggio di Tercas, poi non andate a buon fine, il Commissario straordinario della banca instaurava i primi contatti con BPB. Verso fine 2013, il FITD deliberava di intervenire nell'operazione con un importo di circa 300 milioni di euro tra finanziamenti e garanzie. La decisione veniva deliberata ai sensi dell'art. 29 dell'allora vigente Statuto, il quale espressamente prevedeva che il fondo potesse partecipare a operazioni di sostegno alle banche consorziate, a condizione che sussistessero prospettive di risanamento delle stesse e che, per il FITD, fosse prevedibile un minor onere rispetto a quello derivante dall'obbligo di rimborsare i depositanti in caso di liquidazione degli istituti di credito. Nel luglio 2014, la Banca d'Italia vagliava positivamente la legittimità dell'intervento e BPB sottoscriveva un aumento di capitale.

Senonché, avendo appreso da fonti stampa dell'operazione, nel febbraio 2015 la Commissione UE avviava ex officio il procedimento di indagine formale di cui all'articolo 108, paragrafo 2, TFUE. Nel dicembre dello stesso anno, la Commissione adottava una decisione negativa di recupero, in cui asseriva tra l'altro che il FITD aveva agito in ossequio ad un mandato pubblico e, dunque, in una logica di tutela dell'interesse generale anziché delle banche consorziate. Nell'ottica della Commissione, le misure deliberate dal FITD in favore di Tercas soddisfacevano i requisiti per essere qualificate come aiuto di Stato e, in particolare, secondo l'Esecutivo europeo esse erano imputabili allo Stato ed effettuate tramite risorse statali.

Quanto al requisito dell'imputabilità, la Commissione sosteneva inter aliache le autorità italiane (e in particolare la Banca d'Italia) avessero influito in modo decisivo sulla decisione del FITD. Con riguardo al requisito delle "risorse statali", la Commissione evidenziava la natura obbligatoria delle contribuzioni erogate al Fondo dalle banche consorziate, sostenendo che esse fossero sotto il controllo delle autorità italiane. Infine, la Commissione esprimeva dubbi sulla compatibilità dell'intervento del FITD con la propria comunicazione bancaria del 2013, che aveva anticipato di alcuni mesi l'introduzione della normativa UE sul bail-in.

La posizione della Commissione sugli interventi del FITD veniva mantenuta anche durante le interlocuzioni con il MEF sulla crisi delle quattro banche e ribadita in una lettera del 19 novembre 2015 a firma di Margrethe Vestager e Jonathan Hill, Commissari rispettivamente in carica per la concorrenza e per i servizi finanziari nell'UE. In tale scritto, ripreso da varie agenzie di stampa internazionali, i Commissari affermavano che, al fine di non privare del loro "effet utile" le direttive 2014/49/UE sui sistemi di garanzia dei depositi e 2014/59/UE sulla risoluzione delle crisi bancarie, gli interventi del FITD sarebbe stati soggetti alle norme sugli aiuti di Stato e che ciò avrebbe implicato la partecipazione alle perdite di azionisti e creditori subordinati.

La prospettazione della Commissione veniva però rigettata da una prima sentenza del Tribunale dell'UE del 19 marzo 2019, in cui veniva evidenziato come gli indizi raccolti durante l'istruttoria non fossero sufficienti a dimostrare il coinvolgimento delle autorità italiane nelle decisioni del FITD, né il controllo sulle risorse di quest'ultimo. Ciò in quanto il FITD è un consorzio privato, i cui organi elettivi sono composti esclusivamente da rappresentanti delle banche consorziate e il controllo che la Banca d'Italia sui suoi interventi ha mere finalità di vigilanza prudenziale. Secondo il Tribunale, in assenza di un legame organico tra lo Stato e il FITD, la Commissione non poteva limitarsi ad allegare, come pure aveva fatto, l'improbabilità di un mancato coinvolgimento delle autorità nazionali nelle decisioni del FITD. Anzi, nel caso di enti dotati di uno status privato, la Commissione sarebbe soggetta a un obbligo "ancora più significativo" di precisare e motivare le ragioni che le consentono di concludere nel senso di un controllo pubblico sulle risorse utilizzate e dell'imputabilità delle misure allo Stato.

Nella propria impugnazione della sentenza del Tribunale, la Commissione sosteneva che, così decidendo, il primo avesse impropriamente innalzato lo standard probatorio richiesto alla seconda dalla giurisprudenza UE (e in particolare dal precedente Stardust Marine). Inoltre, la Commissione allegava che il Tribunale avesse proceduto ad una valutazione atomistica, anziché globale, degli indizi raccolti dalla Commissione, così privandoli di efficacia probatoria.

A distanza di quasi due anni dalla pronuncia del Tribunale, la Corte ha rigettato definitivamente le argomentazioni dell'Esecutivo UE, confermandone la carenza di istruttoria.

Sullo standard probatorio, i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che se l'ente erogatore dell'aiuto ha natura privata, gli indizi atti a dimostrare l'imputabilità della misura allo Stato devono essere "diversi" (e più pregnanti) rispetto a quelli richiesti nell'ipotesi in cui l'ente erogatore dell'aiuto è un'impresa pubblica. La Commissione non può quindi limitarsi ad allegare l'improbabilità del mancato coinvolgimento dello Stato. Ciò però non costituisce un irrigidimento dell'onere probatorio in capo alla Commissione, ma semmai una precisazione della portata applicativa del precedente Stardust Marine, il cui impianto metodologico rimane immutato.

Chi scrive non può che accogliere favorevolmente la sentenza della Corte. Condividere le argomentazioni della Commissione avrebbe significato estendere eccessivamente l'applicabilità del divieto di aiuti di Stato anche a misure decise autonomamente da enti privati non soggetti a controllo dello Stato. Anche le allegazioni della Commissione sulla valutazione "atomistica" degli indizi che il Tribunale avrebbe svolto non potevano essere condivise. Sul punto, la Corte ha rilevato che il Tribunale ha correttamente valutato le evidenze probatorie nella loro globalità. Si potrebbe aggiungere che esaminare globalmente gli indizi leggendoli nell'insieme come comprovanti l'imputabilità della misura allo Stato e poi, prendendo le mosse da tale constatazione, analizzare le singole circostanze, avrebbe potuto dare luogo ad una presunzione in favore del public enforcer.

*a cura di di Edoardo Gambaro, Partner di Greenberg Traurig Santa Maria, e Pietro Missanelli, Senior Associate di Greenberg Traurig Santa Maria.

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