Per i "compensi reversibili" degli amministratori si applica il principio di competenza (e non di cassa)
L'importante principio è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22479 del 16 ottobre scorso
Il compenso riconducibile all'incarico di amministratore, ricoperto in una società di un gruppo societario, da parte di un dipendente di altra società del medesimo gruppo e riconosciuto a quest'ultima (c.d. compenso reversibile), è deducibile per competenza e non per cassa. Questo l'importante principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22479 del 16 ottobre scorso.
Nel caso di specie, un lavoratore subordinato della società controllante di un gruppo ricopriva altresì l'incarico di presidente del consiglio di amministrazione di una controllata e, a fronte di tale assetto di rapporti societari, la controllata versava direttamente all'amministratore un compenso ed attribuiva alla capogruppo un ulteriore importo per l'attività prestata, nei propri confronti, dal dipendente.
In buona sostanza, dunque, la medesima persona fisica si trovava ad essere al contempo amministratore del soggetto controllato (e percettore immediato di un compenso da parte della società amministrata) e dipendente della controllante (la quale si vedeva riconosciuta un'ulteriore somma, a titolo di "compenso reversibile", dalla controllata). Dalla lettura della sentenza in esame, è possibile comprendere che l'Amministrazione Finanziaria, con l'avvallo del giudice di secondo grado, avesse considerato legittima la deduzione, da parte della controllata, dell'importo versato direttamente nei confronti del proprio presidente del c.d.a. (secondo il principio di cassa), ritenendo invece contra legem la deduzione, nel medesimo esercizio, del "compenso reversibile" riconosciuto (ma non versato) alla controllante.
Sul piano normativo è opportuno osservare che la disposizione ratione temporis vigente (ma immutata nel quadro attuale) dispone che "I compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all'articolo 73, comma 1 (enti commerciali, n.d.r.), sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti […]" (art. 95, 5 co. del D.p.R. n. 917/1986, Testo Unico delle Imposte sui Redditi "TUIR"). La norma, dunque, vincola la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori al rispetto del principio di cassa, ossia i relativi importi possono concorrere a ridurre il reddito imponibile della società amministrata solo se, e nel periodo d'imposta in cui, essi vengono effettivamente versati (corrisposti) a beneficio dell'amministratore.
Come noto – nell'ambito della disciplina del reddito d'impresa – tale principio costituisce una deroga rispetto al principio di competenza (art. 109, 2 co. del TUIR), il quale regola, invece, in via generale l'imputazione temporale delle componenti reddituali, prevedendo che un costo o un provento debbano essere attribuiti all'esercizio nel quale si verifica la loro "maturazione giuridica" (ossia nel momento in cui l'impresa sia giuridicamente tenuta a sopportare una spesa oppure possa vantare la titolarità di un credito o bene, ad esempio a seguito della stipula di un contratto). Solo in taluni specifici casi (quale la descritta ipotesi dei compensi agli amministratori) il legislatore impone all'impresa di attribuire rilevanza al momento nel quale si verifica la movimentazione finanziaria (cassa), senza focalizzarsi sulla fase di esistenza giuridica della componente di reddito.
Nella fattispecie in esame, la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dalla controllata, sul presupposto che, nei casi di "compensi reversibili" "La società non versa alcun compenso all'amministratore, legato da rapporto di lavoro dipendente […] con altra società, ma si limita a versare a quest'ultima un corrispettivo per l'utilità ricevuta, consistente nella fruizione dell'attività di gestione societaria espletata dalla risorsa umana messale a disposizione. La situazione fattuale non è, quindi, riconducibile alla fattispecie, descritta in precedenza, della deduzione del costo rappresentato dal compenso all'amministratore, mancando l'erogazione di somme di denaro a tale titolo a colui che ha svolto l'attività gestoria".
A fronte di ciò, gli Ermellini concludono come segue: "L'inapplicabilità della disciplina della deduzione del costo per attività di amministrazione societaria e del relativo principio, eccezionale, di cassa, determina, in applicazione delle regole generali sui componenti del reddito di impresa, la rilevanza del costo quale spesa per prestazione di servizi e la sua deducibilità secondo il principio di competenza […]".
Nella sentenza, in esame, quindi appare evidente che il punto focale che consente di dirimere il dubbio circa l'applicazione del principio di cassa o di competenza rispetto ad importi riconosciuti in relazione ad attività gestorie sia dato dalla natura del soggetto destinatario di tali importi: se i compensi vengono riconosciuti direttamente all'amministratore la deduzione da parte dell'impresa amministrata dovrà avvenire nell'esercizio in cui essi sono in concreto versati, se – invece – il destinatario è la società datrice di lavoro dell'amministratore, sarà necessario "ragionare per competenza"
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*Studio BGR.