Professione e Mercato

Va sospeso l'avvocato che accetta l'incarico in cambio di favori sessuali

Marina Crisafi

È legittima la sanzione della sospensione per l'avvocato che chiede prestazioni sessuali in cambio dell'accettazione dell'incarico. Lo ha deciso il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 145/2019 rigettando il ricorso di un legale accusato da due clienti di aver inviato messaggi telefonici ‘equivoci' in cui dichiarava di attivarsi professionalmente solo a fronte di prestazioni sessuali.

La vicenda - I clienti presentavano esposto al Coa di Pescara ritenendo che le espressioni evidenziassero "un riflesso deontologico non corretto anzi profondamente lesivo dell'etica professionale, a cui ogni avvocato deve attenersi".

L'avvocato si difendeva deducendo la falsità delle contestazioni e negava di aver spedito il messaggio telefonico indicato definendo tale comportamento incompatibile con la sua sfera religiosa e con il suo modus vivendi et operandi.

Il Coa, all'esito del procedimento disciplinare, irrogava all'iscritto la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per mesi due.

Colpa del T9 -
L'avvocato non ci stava e adiva il Cnf, chiedendo l'annullamento della decisione e/o a ogni modo una sanzione più favorevole rispetto alla sospensione (come l'avvertimento o in subordine la censura).

A suo dire, infatti, la spiegazione dell'evento doveva ricondursi a un errore tecnico non infrequente nel sistema automatico di digitazione del telefono cellulare denominato T9 (o predective test) e conseguentemente addebitabile esclusivamente in via eventuale alla imperizia dell'incolpato.

Tale esimente di responsabilità escludeva l'intenzionalità, rilevando una totale assenza di responsabilità e faceva apparire "sproporzionata" la sanzione applicata in favore di una meno afflittiva.

I concetti "faro" dell'avvocato - Il Cnf però non è d'accordo. Intanto, evidenziano dal consiglio, il ricorrente non ha fornito alcuna prova dell'eventuale errore nel sistema automatico di digitazione, né tantomeno che il telefono fosse stato nella disponibilità di terzi, per cui il testo non può che essere ricondotto alla sua persona e la decisione di primo grado non merita alcuna censura.

"I concetti di probità, dignità e decoro costituiscono doveri generali e concetti faro, a cui si ispira ogni regola deontologica, giacché essi rappresentano le necessarie premesse per l'agire degli avvocati, e mirano a tutelare l'affidamento che la collettività ripone nella figura dell'avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività", ricorda quindi il Cnf.

E l'avvocato è tenuto a svolgere la propria attività "con lealtà e correttezza, non solo nei confronti della parte assistita, ma anche e soprattutto verso l'ordinamento, generale dello Stato e particolare della professione, verso la società, verso i terzi in genere".

Nulla di fatto anche per quanto riguarda l'eccessiva gravosità della sanzione irrogata giacché la mancata indicazione, da parte del Consiglio territoriale, dei criteri per la scelta e la quantificazione, non integra alcuna nullità della decisione, non sussistendo uno specifico obbligo motivazionale, ma esclusivamente un criterio di adeguatezza, in relazione all'offesa alla dignità e al decoro della classe professionale che dal comportamento riconosciuto possano derivare.

E nel caso di specie, conclude il Cnf, "la sanzione non può ritenersi non congrua, in quanto appare di estrema gravità la confusione o la sovrapposizione dell'atto sessuale alla prestazione professionale. La volgarità delle espressioni usate, il fine prepostosi dal ricorrente nel contesto di un mandato professionale ledono profondamente i fondamentali doveri".

Consiglio Nazionale Forense - Sentenza n. 145/2019

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