Penale

Carcere, rischio Covid: non va notificata alla vittima la richiesta di domiciliari

Per la Cassazione, sentenza n. 165 del 5 gennaio 2021, le esigenze di giustizia non possono che essere recessive rispetto alla salute del detenuto

di Francesco Machina Grifeo

La richiesta di sostituzione del regime carcerario per motivi di salute – nel caso il rischio Covid per detenuto ultrasettantenne – non deve essere notificata anche alla parte offesa, nello specifico oggetto di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 165 depositata il 5 gennaio 2021. Accolto dunque il ricorso di un uomo contro la decisione del Tribunale del Riesame di Palermo confermativa di quella del Gip che aveva ritenuta l'istanza inammissibile proprio per violazione della previsione contenuta nei commi 2 bis e 3 dell'articolo 299 del Cpp.

Nel ricorso l'imputato ha contestato la sussistenza dell'obbligo di informazione della persona offesa, in quanto specificamente connesso alla presentazione di istanze di revoca o di sostituzione delle misure cautelari per assenza o attenuazione delle esigenze cautelari. Mentre nel caso di specie l'istanza difensiva era stata formulata ai sensi dell'art. 275 co. 4 c.p.p., "per far valere una situazione di incompatibilità con il regime intramurario, dovuta all'età e alle condizioni di salute del detenuto". E la Suprema corte gli ha dato ragione con una decisione di ampio respiro che richiama i principi costituzionali sulla tutela del diritto alla salute e le recenti pronunce della Corte Edu, anche sul caso Provenzano, relativamente ai trattamenti inumani e degradanti.

La Corte ricorda che la norma è volta a evitare che "la persona offesa, già vittima di un reato, possa tornare a divenire oggetto delle violenze da parte dell'autore del reato". "La disciplina – prosegue la decisione - si inserisce nell'ambito di una stagione di tutela di soggetti vulnerabili, inaugurata a livello internazionale e dell'Unione europea, che, specie dall'approvazione del Trattato di Lisbona, ha portato, anche nel nostro ordinamento, alla progressiva ammissione della vittima sul palcoscenico processuale ".

Ciò detto, prosegue, non si è davanti a una richiesta di modifica/sostituzione della misura cautelare in corso, ma alla prospettazione di una situazione di incompatibilità per età e per ragioni di salute col regime carcerario in considerazione del maggior rischio di contrazione del covid-19. Per la Corte va dunque verificata l'applicabilità della norma sulla comunicazione alla vittima anche in questi casi.

Per prima cosa i giudici rilevano che l'obbligo di informativa "non ha un carattere generalizzato" essendo espressamente previsto solo in caso di istanza di parte (non dunque quando l'iniziativa sia d'ufficio). Né ve n'è traccia nella lettera dell'articolo 274, comma 4bis del Cpp, per i casi di revoca o sostituzione della misura per ragioni di salute.

Quanto a una possibile applicazione in via interpretativa, la Cassazione richiama la costante giurisprudenza che ha ritenuto applicabile l'articolo 32 della Costituzione sulla tutela della salute anche ai cittadini costretti. "Emblematico" dell'orientamento della Corte costituzionale in ordine alla preminenza del diritte alla salute, è la recente pronuncia con la quale, estendendo l'applicabilità della detenzione domiciliare "in deroga" ai casi di grave infermità psichica sopravvenuta in corso di detenzione, "emerge l'apertura del Giudice delle Leggi verso il riconoscimento della prevalenza del diritto alla salute della persona nel bilanciamento con il principio di ordine e sicurezza pubblica" (Corte Cost. n. 99 del 2019).

Così come, anche nella più recente giurisprudenza della Corte Edu il diritto alla salute "è stato oggetto di una maggiore attenzione e crescente severità nella verifica di compatibilità delle condizioni di detenzione con il rispetto della dignità umana". Dopo la sentenza Mouisel (Corte EDU, 14 novembre 2002, Mouise v. France, ric. n. 67263/01), che ha inaugurato tale filone, l'obbligo, relativo al trattamento dei detenuti malati, ricorda la Cassazione, ha trovato una più analitica declinazione in un'importante sentenza del 2010, con la quale la Corte ha chiarito che esso si specifica in tre «obligations particuliéres»: verificare che il detenuto sia in condizioni di salute tali da poter scontare le pena, somministrargli le cure mediche necessarie e adattare, ove necessario, le condizioni generali di detenzione al suo particolare stato di salute (Corte EDU, 9 settembre 2010, Xiros v. Greece, ric. n, 1033/07, S 73) .

In questo senso la prima obbligazione deriva dal principio, proprio dello Stato di diritto, secondo cui la "capacità di subire una detenzione è presupposto indefettibile per l'esecuzione della stessa".

Un ulteriore aspetto è stato sottolineato con la sentenza nel "caso Provenzano c/ Italy, n. 55080/2013), in cui la CEDU, nel riscontrare una violazione dell'art. 3 CEDU rispetto all'ultimo decreto di proroga del regime 41-bis, stante il deterioramento delle condizioni cognitive del recluso, ha considerato dirimente l'effettiva condizione psico-fisica del detenuto ai fini della determinazione della sua pericolosità.

In definitiva, le esigenze di giustizia "non possono che essere recessive rispetto alla salute del detenuto". E l'opera di bilanciamento "deve farsi ancora più accurata rispetto alla carcerazione preventiva".

Del resto, il rischio di recidiva personale, considerato che è tale rischio che genera il diritto della vittima a partecipare al procedimento incidentale sulla libertà e a rappresentare le proprie ragioni attraverso il deposito di memorie, così come la pericolosità sociale, "deve ritenersi quantomeno fortemente scemato in presenza di condizioni di salute fragili riscontrate nel detenuto".

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