Penale

Il Senato cancella (tra i dubbi) il carcere per i giornalisti

di Giovanni Negri

Sparisce il carcere per i giornalisti. Ma non è affatto detto che la soluzione che si sta prefigurando sia più rispettosa della libertà di stampa. La commissione Giustizia del Senato, infatti, che oggi pomeriggio ne riprende l’esame, ha approvato, nell’ambito dei lavori sul disegno di legge di riforma del reato di diffamazione, un emendamento che, nel cancellare la previsione, abbastanza residua, del carcere per i giornalisti colpevoli, irrobustisce in maniera significativa le sanzioni sempre penali, ma di natura “solo” pecuniaria.

Infatti, nei casi più lievi di diffamazione si applica la pena da 5mila a 10mila euro, mentre per quelli più gravi, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto falso, la cui diffusione è avvenuta nella consapevolezza della sua falsità, allora l’importo della multa sarà compreso tra un minimo di 10mila euro e un massimo di 50mila.

Troppo, sottolinea l’avvocato Caterina Malavenda, tra i massimi esperti di diritto penale dell’informazione, perché in questo modo a una pena detentiva che solo assai di rado è stata applicata (fece storia, per molti versi, il caso di Alessandro Sallusti, che scontò alcuni giorni di arresti domiciliari, prima che il Presidente della Repubblica gli commutasse la pena) se ne sostituirebbe una, di natura economica, ma assai afflittiva.

Il giornalista sanzionato, infatti, dovrebbe pagare di tasca propria cifre non certo banali, potrebbe godere solo una volta della sospensione della pena e, in caso di conversione della misura pecuniaria in libertà vigilata o lavoro sostitutivo, si tratterebbe di modalità di difficile compatibilità con il lavoro giornalistico.

Malavenda sottolinea come la piena consapevolezza della falsità del fatto oggetto della condotta di diffamazione si presta a un duplice e opposto rischio: quello di volere estendere l’area della consaspevolezza sino farla sconfinare in quella della presa in carico di una possibilità di falsità della notizia, quello che la prova di una piena conoscenza sia del tutto impossibile da provare.

Oggi la norma del Codice penale abbina alla pena detentiva che, nei casi più gravi, può arrivare sino tre anni, la possibilità di una multa fino a 2.065 euro. Pochi giorni fa, la Corte costituzionale chiamata in causa proprio per decidere della compatibilità con la Costituzione, anche alla luce delle conclusioni ormai consolidate della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha dato 12 mesi di tempo al Parlamento per trovare una soluzione, lasciando però trasparire il fatto che, nell’inerzia di Camera e Senato, il punto di arrivo finale sarà verosimilmente la cancellazione della pena detentiva.

La prima mossa dei senatori, successiva alla scelta della Consulta, è stata appunto l’approvazione dell’emendamento, ma il disegno di legge andrà poi pesato nel complesso, visto che interviene su altri aspetti cruciali come la rettifica che, a determinate condizioni, può azzerare il profilo penale.

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