Lavoro

Il controllo a distanza degli smart workers: qualche riflessione sull'articolo 4 statuto dei lavoratori

L'utilizzo massificato del lavoro agile (o smart working se si preferisce) dettato dalla gestione della pandemia di Covid 19 ha comportato l'avvio di una profonda riflessione sulle modalità – e sui limiti – di controllo dei lavoratori a distanza; in questo senso, le innovazioni tecnologiche e l'evoluzione della società digitale hanno finito con il ridisegnare il diritto del lavoro ed hanno avviato un lungo confronto tra gli esperti del settore, non solo sulle nuove modalità di svolgimento della prestazione ma anche, e forse soprattutto, sui casi di controllo della prestazione stessa, specialmente in termini di rendimento: la performance del lavoratore, quindi, diviene lo strumento sia per gratificare il prestatore con una retribuzione a carattere premiante ma sia, evidentemente, strumento per incidere con il recesso dal rapporto di lavoro per scarso rendimento.

di Marco Proietti *

Negli ultimi tempi, l'accesa discussione è sorta e si sta alimentando attorno all'utilizzo di alcuni software tra cui ActiviTrack ma soprattutto circa il nuovo strumento denominato Productivity Score elaborato direttamente dalla Microsfot, che si pongono il dichiarato scopo di tracciare, in tutto e per tutto, il lavoro che viene svolto a distanza con le conseguenze che ben si possono immaginare. La valutazione del rendimento, infatti, può avere diversi benefici se vista nell'ottica dell'erogazione di una retribuzione aggiuntiva a natura premiante, ma può essere estremamente svantaggiosa se vista dall'angolatura della perdita di privacy e del rischio di poter essere valutato negativamente sino al recesso "per scarso rendimento".

Il software tiene traccia di qualsiasi operazione venga effettuata da parte dello smartworker, dal tempo di elaborazione di una pratica, ai siti web consultati, al numero di click effettuati, ecc. consentendo una valutazione della prestazione estremamente penetrante.

Ma quali limiti incontra, almeno oggi, tale controllo nell'ordinamento giuridico italiano?

L'ATTUALE DISCIPLINA DELL'ARTICOLO 4
Nella sua formulazione originaria, l'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori poneva un divieto assoluto circa l'uso di impianti audiovisivi e di ogni altra apparecchiatura per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, e qualsiasi forma di controllo del lavoratore era considerata illegittima in quanto reputata strumentale alla massificazione dell'attività produttiva (in quel momento anche l'annotazione delle entrate/uscite dall'ufficio erano considerate illegittime); progressivamente questa posizione ha dovuto cedere il passo alle mutate esigenze lavorative nonché all'ingresso di vari tipi di tecnologie, dalle telecamere ai tesserini magnetici, fino ad arrivare ad oggi con cellulare, gps, e software di geolocalizzazione.
La riforma completa è stata effettuata sono nel 2015 con l'allentamento delle restrizioni ad opera del Jobs Act.
Il Jobs Act infatti, è intervenuto sul comma 2 dell'articolo 4 ed ha previsto che i divieti, sopra richiamati, non si devono considerare applicabili agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione nonché agli strumenti di registrazione delle presenze: in questo secondo caso, comunque, oramai da decenni la giurisprudenza è perfettamente allineata, ma sicuramente in questo modo la normativa è stata riparametrata alla posizione dei giudici. Il punto appena esposto, comunque, non è di poco conto. L'apertura innovativa introdotta dal D.lgs. 151/2015 ha consentito, e sta consentendo, una interpretazione estensiva delle forme di controllo nei confronti dei lavoratori, ben oltre i limiti in origine posti e perfino senza tutti i cavilli formali (accordi sindacali, ecc.) inizialmente previsti.
Cosa si intende per strumenti del lavoratore pere rendere la prestazione? A ben vedere, infatti, anche l'utilizzo del telefono cellulare può essere assimilato a tale nozione e, indirettamente, giustificare il controllo a distanza.

Quali sono le novità del Jobs Act rispetto all'articolo 4?
In sintesi:
- per gli impianti audiovisivi e gli strumenti di controllo a distanza del lavoratore, permane l'originale divieto di installazione salvo esigenze specifiche e comunque risulta obbligatorio l'accordo sindacale o l'autorizzazione dell'INL;
- per gli strumenti di lavoro e per gli strumenti di registrazione degli accessi (entrate e uscite) non vi è alcun divieto né obbligo di accordo sindacale o di autorizzazione da parte dell'INL;
- infine, per entrambi i casi il datore di lavoro ha unicamente un obbligo di informazione nei confronti dei dipendenti, anche in osservanza di quanto disposto dalla normativa sulla privacy.
Il comma 2 è quello ancora oggetto di ampio dibattito. Tuttavia è innegabile l'innovazione introdotta, tanto più in un momento storico in cui – vuoi anche per una maggiore flessibilità della gestione del rapporto di lavoro, anche dovuta al c.d. "lavoro agile" – risulta essere forte l'esigenza di un ampliamento del potere di controllo del datore di lavoro: in questo senso, ad esempio, l'utilizzazione (senza particolari vincoli) di controlli sugli strumenti di lavoro ha aperto una vera e propria voragine nel muro impenetrabile rappresentato dall'articolo 4, e basterebbe pensare a quante possibilità di interpretazione estensiva può comportare tale previsione.
Anche l'utilizzo di particolari software aziendali, in particolar modo quando il lavoratore è collocato in "lavoro agile" e quindi privo di una postazione fissa in ufficio, sono considerati strumenti di lavoro e possono essere oggetto di controllo.
Chiaramente tali controlli devono rispecchiare i principi espressi (nonché i divieti) dalla normativa sulla privacy, tra cui:
- il principio di necessità, in quanto il controllo deve risultare necessario o indispensabile, non deve essere mirato o massivo;
- il principio di finalità, ovvero il controllo deve porsi sempre come scopo la sicurezza e la continuità aziendale, la prevenzione degli illeciti, o comunque attestarsi nell'ambito delle ragioni organizzative e produttive;
- il principio di trasparenza, in quanto i lavoratori devono essere sempre correttamente informati delle eventuali forme di controllo a distanza;
- il principio di proporzionalità, in ragione del quale il controllo non deve eccedere lo scopo della verifica e quindi deve mantenersi all'interno di delimitati confini;
- il principio di sicurezza, che ispira tutta la normativa della privacy, ovvero la corretta conservazione dei dati raccolti e trattati.

IL LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO?
Nel momento in cui viene "misurata" in qualche modo la prestazione, inevitabilmente possono esservi delle ricadute anche di tipo negativo: il lavoratore poco performante può essere oggetto di una contestazione disciplinare – in caso di violazione delle disposizioni aziendali circa le modalità di svolgimento della prestazione – oppure, più semplicemente, può essere licenziamento per intervenuta anti-economicità della prestazione stante i pochi risultati raggiunti.
Si configura a tutti gli effetti il licenziamento per scarso rendimento.
Inizialmente considerata utile solo ai fini premianti, con vari interventi legislativi ed economici, volti a sostenere i c.d. "premi produzione" per il lavoratore performante, la valutazione del rendimento è sempre stata piuttosto difficoltosa: alcuni settori merceologici, o meglio alcuni attività e mansioni, non consentono una facile individuazione di cosa possa essere oggetto di una valutazione equilibrata che (quindi) elimini il libero arbitrio del datore di lavoro. Almeno in un primo momento, per semplificare, le aziende si sono orientate con lo stabilire alcuni obiettivi da raggiungere, in un arco di tempo prestabilito (un semestre, un anno) e dando maggiore spazio alla retribuzione a carattere premiante soprattutto (se non prevalentemente) ai dirigenti; solo in un secondo momento, volendo incentivare in assoluto l'efficientamento del sistema produttivo, ci si è spinti oltre, stabilendo dei criteri – ove possibili – validi anche per chi ricopre ruoli di quadro, di impiegato direttivo, poi di impiegato ordinario e anche di operaio esecutivo: la strada tracciata è verso una maggiore partecipazione all'impresa, con condivisione dei risultati dalla stessa raggiunti.

Ovviamente, sull'altro piatto della bilancia viene posto – da qualche anno – anche il c.d. licenziamento per scarso rendimento visto sia nella veste del licenziamento soggettivo (a carattere disciplinare) che di tipo oggettivo (a carattere economico); nel momento in cui, come si avrà modo di analizzare, si è in grado di individuare dei criteri chiari e oggettivi di valutazione del rendimento del dipendente, seppur con luci e ombre soprattutto in alcuni settori produttivi dove la valutazione dell'operato è spesso impossibile, inevitabilmente si pone la questione di come considerare il dipendente poco performante e, in breve, se e in che modo legittimarne il recesso.

Il lavoratore che non raggiunge i risultati prefissati non ha diritto al premio stabilito da parte dell'azienda, ma se oltre a questo lo stesso scende al di sotto di una soglia media di produttività – determinata in ragione di un confronto comparatistico con gli altri lavoratori – allora potrebbe subire il licenziamento, stante l'anti-economicità della prestazione; in questa direzione, per altro, solo una parte della dottrina si è interessata al tema ed ha evidenziato come il licenziamento per c.d. "scarso rendimento" può attenere sia alle ragioni disciplinari (ovvero la mancata osservanza di disposizioni sul corretto svolgimento della prestazione) sia a ragioni squisitamente economiche (ovvero l'inutilizzabilità della prestazione).

Per comprendere le modalità di valutazione del rendimento del lavoratore, sia in termini premianti che di licenziamento, si deve avere riguardo in primo luogo, come immaginabile, alle modalità di controllo a distanza sulla base di quanto disposto dall'art. 4 St. lav; in secondo luogo, agli strumenti messi a disposizione del datore di lavoro per verificare l'esatta esecuzione della prestazione e quindi il rendimento del dipendente sia in termini quantitativi che in termini qualitativi: il secondo caso, frutto di una evoluzione più recente, rappresenta il criterio più ostico e che finisce per muoversi lungo il confine che delimita il libero arbitrio del datore.
Il percorso è appena iniziato.

UNA PROSPETTIVA PER IL FUTURO: IL CONTROLLO ALGORITMICO
Una suggestione interessante viene fornita dalla recente recente sentenza del Tribunale di Palermo (la n. 7283/2020), che ha rinnovato la riflessione sull'algoritmo quale datore di lavoro 4.0: un superiore gerarchico immateriale, che controlla a distanza la prestazione, misura l'efficienza, ne considera l'impatto economico e fa derivare da ciò le ovvie conseguenze sulla gestione del rapporto di lavoro.
In sintesi, la sentenza si inserisce nel dibattito attorno ai ciclo fattorini operanti per le piattaforme digitali di consegna a domicilio (Amazon, Foodora, Deliveroo, ecc.) e per la prima volta riconosce l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato – e non più di tipo autonomo – in quanto il prestatore segue le direttive fornite dalla piattaforma: dove andare, a chi consegnare, in che tempi, ecc. Una vera e propria eterodirezione che – al netto delle conseguenze giuslavoristiche – implica l'affermazione dell'algoritmo quale datore di lavoro.
Anche in questo caso, tuttavia, sorge qualche dubbio su come il Datore 4.0 possa avere la facoltà di controllare la prestazione a distanza e meriterebbe una riflessione circa la coerenza (o legittimit°9 di un algoritmo di questo tipo con il richiamato articolo 4.

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*Avvocato, giuslavorista

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