Penale

Ddl penale, Cnf e Ucpi: così si rischia di tradire il diritto di difesa

È una bocciatura a tutto tondo quella che arriva dal Consiglio nazionale forense e dall'Unione delle Camere penali, audite oggi in Commissione Giustizia della Camera sul Ddl penale di iniziativa governativa

di Francesco Machina Grifeo

È una bocciatura a tutto tondo quella che arriva dal Consiglio nazionale forense e dall'Unione delle Camere penali, audite oggi in Commissione Giustizia della Camera sul Ddl penale di iniziativa governativa.

Molti i rilievi mossi dai rappresentati degli avvocati proprio sui temi cardine della riforma, vale a dire deflazione e velocizzazione del processo. Il Ddl, secondo i penalisti, "interviene in modo random sulle varie fasi del processo senza realmente incidere sui tempi delle indagini e conculca le garanzie violando le regole e l'essenza stessa del contraddittorio". "Il prodotto finale è assolutamente deludente". Per il Cnf "affronta in maniera frammentaria e a ‘macchia d'olio' la novella di istituti di diritto processuale che impattano fortemente sul sistema garantistico e sui diritti di difesa dei soggetti coinvolti nel processo penale".

Secondo i legali a fronte di una posizione condivisa con la magistratura associata sulla possibilità di ridurre i processi da celebrare in dibattimento attraverso incentivi ai riti alternativi, nel Ddl hanno fatto capolino tutta una serie di reati ostativi (stalking, Revenge porn) che di fatto, nonostante il positivo innalzamento delle soglie dei limiti edittali per il patteggiamento (da 5 a 8 anni), producono un restringemento della possibilità di accesso ai riti alternativi.

Il Cnf stigmatizza la previsione per cui le notificazioni successive alla prima dell'imputato libero siano previste presso il difensore. "Non capiamo la necessità – afferma la Consigliera Giovanna Ollà -, di un tale onere per il difensore che diventa destinatario di un domicilio forzato, con uno snaturamento della nostra professione a meri postini o messi notificatori". "Né - prosegue - cambia le cose l'esonero di responsabilità per causa non imputabile al professionista".

In caso di violazione dei termini di durata del processo, per gli avvocati "non è soddisfacente" una sanzione disciplinare che "non risolve il dato oggettivo di certezza di quello che è utilizzabile", e che peraltro è "molto difficile da realizzare", ma servirebbe una sanzione di tipo processuale, con l'esclusione dunque dell'utilizzabilità di alcuni atti.

Non convince neppure l'affidamento ai singoli capi degli uffici giudiziari dell'individuazione dei criteri di priorità, benché previo interpello della Procura generale, "deve esserci una cornice di fonte primaria e non singole determinazioni territoriali".

Altro elemento dolente il procedimento di Appello che segna "un ritorno al passato, con la previsione per cui per proporre impugnazione serve uno specifico mandato per il difensore che sia conferito dopo il deposito della sentenza." "Rifiutiamo l'idea – prosegue Ollà - di presunzione di abuso del diritto da parte del difensore che decida di proporre una impugnazione, questo significa rottamare i diritti di chi sia impossibilitato in quel momento (quello dello spazio di impugnazione) ad avere un contatto col difensore".

Così come la previsione di una Corte di appello monocratica "impatta negativamente con la struttura del sistema che invece a garanzia di maggiore correttezza delle decisioni è improntata ad un principio di collegialità, come per esempio per l'impugnazione delle misure cautelari in cui si va al tribunale del riesame, che è un organo collegiale".

Per l'avvocato Rossi - intervenuto in rappresentanza dei penalisti – "l'art. 5 è il colpo di grazia al contraddittorio". La prova raccolta in contraddittorio, spiega, "non viene nuovamente raccolta qualora vi sia un mutamento del giudice". "La questione è semplice - attacca - o si credo o non si crede alla logica del giudice davanti al quale si svolge l'attività processuale". "A nulla rileva invece il fatto che l'attività si sia già svolta in contraddittorio delle parti". "Il punto è che il giudice chiamato a decidere dà delle indicazioni, governa, incide sulle modalità di acquisizione di quella prova; un giudice che potrà solo leggere il risultato di quel dato probatorio, non sarà vergine dinanzi alla attività valutativa".

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