Civile

La Camera dei Deputati approva la legge contro l'omotransfobia e la misoginia

Il nostro Paese non aveva alcuna legge antiomofobia, né contemplava norme penali, di rango ordinario, che incriminassero o aggravassero il trattamento sanzionatorio per la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale della vittima. Sul punto, si aggiunga che non vi sono neppure riferimenti espliciti a tale forma di discriminazione nella nostra Carta Costituzionale

di Valeria Cianciolo


Il 4 novembre 2020 la Camera ha approvato il ddl Zan che mira a modificare gli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale – norme queste inserite dall'art. 2, D. Lgs. 1 marzo 2018, n. 21 all'interno del Libro II, Titolo XII, Capo III del codice, Sezione I-bis dedicata ai Delitti contro l'uguaglianza - per aggiungere alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi gli atti discriminatori fondati "sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere".

Il nostro Paese non aveva alcuna legge antiomofobia, né contemplava norme penali, di rango ordinario, che incriminassero o aggravassero il trattamento sanzionatorio per la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale della vittima. Sul punto, si aggiunga che non vi sono neppure riferimenti espliciti a tale forma di discriminazione nella nostra Carta Costituzionale. A fronte di questa constatazione, vi sono molti Stati europei (Austria, Belgio, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Grecia, Malta, Spagna, Francia, Irlanda, Lituania, Olanda , Portogallo, Romania, Svezia, Irlanda del nord e Regno Unito) che invece, hanno da tempo varato delle leggi finalizzate al contrasto dell'omofobia, intesa sostanzialmente come insieme di condotte discriminatorie fondate sull'orientamento sessuale delle vittime ed è da pensare che una delle ragioni che ha spinto la Camera ad approvare il ddl Zan, sia stato certamente quello di allinearsi con la tendenza europea.

Da un punto di vista formale tutte le condotte aggressive, violente o offensive di beni giuridici tutelati costituzionalmente integrano reati già previsti dal codice penale e corrispondono a fattispecie classiche quali percosse, lesioni personali, ingiuria, diffamazione, violenza sessuale, violenza privata, minaccia, atti persecutori, danneggiamento, omicidio, violazione di domicilio, estorsione, etc., il dibattito italiano sulla opportunità o meno di criminalizzare in modo specifico questo tipo di "condotta d'odio" attualmente particolarmente fervente. Eppure c'è un elemento supplementare e determinato in questo caso, che contraddistingue tutte queste condotte e in un certo senso le riunisce all'insegna di una particolare prerogativa psicologica del reo.

In passato, vi era stata una prima proposta che prevedeva come autonoma fattispecie di reato degli atti di discriminazione a cagione dell'omofobia, trasfusa nel Progetto di legge (AC 2087, a nome Di Pietro) presentato nell'ottobre del 2009 in Parlamento e finalizzato a modificare la legge di ratifica della Convenzione del 1966 sul razzismo (legge 13 ottobre 1975, n. 654) e il c.d. decreto Mancino, ossia la legge 25 giugno 1993, n. 205. Tale progetto mirava ad estendere ai comportamenti fondati sull'omofobia e la transfobia ipotesi delittuose previste per atti commessi per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi (il progetto prevedeva altresì l'estensione dell'aggravante dell'odio razziale di cui all'art. 3 del c.d. decreto Mancino anche ai reati commessi per motivi fondati sull'omofobia e sulla transfobia).

La seconda soluzione – la previsione di una circostanza aggravante comune o speciale - è invece stata prospettata nel Progetto di legge unificato AC 2802 e AC 2807, presentato dall'On. Paola Concia nel novembre del 2010: il disegno di legge prevedeva l'introduzione nella parte speciale del codice penale di due aggravanti agli artt. 599-bis e 615-quinquies c.p., con un aumento di pena sino ad un terzo per tutti i delitti contro la persona, ad eccezione dei reati a tutela dell'inviolabilità del domicilio, quando siano commessi "in ragione dell'omosessualità o transessualità della persona offesa".

Quali le novità di questa attesa legge?
Il ddl Zan approvato il 4 novembre alla Camera ed ora passato al Senato, introduce nell'art. 604-bis c.p.:

· la reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro per chiunque istiga a commettere o commette atti di discriminazione fondati su tali motivi;

- la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chiunque istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per tali motivi;

- la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per tali motivi.

Viene poi modificato l'art. 604-ter c.p., prevedendo che quando un reato (per il quale l'ordinamento non preveda già la pena dell'ergastolo) è commesso per finalità di discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, la pena prevista è aumentata fino alla metà.

Il ddl, inoltre, interviene sul codice di procedura penale per inserire le persone offese da reati commessi con odio fondato sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, tra i soggetti in condizione di particolare vulnerabilità, così da giustificare nell'ambito del procedimento penale l'adozione di specifiche cautele soprattutto nell'assunzione delle prove.

Il progetto di legge si cura di affrontare anche un particolare profilo che è quello delle espressioni di intolleranza prevedendo all'art. 4. (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte) quanto segue: Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

La riflessione sull'opportunità di criminalizzare l'omofobia si confronta inevitabilmente con la necessità di impedire compressioni indebite e illegittime del principio di libertà di manifestazione del pensiero, libertà sancita, garantita e tutelata dall'art. 21 Costituzione.
Lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata Mondiale contro l'Omofobia celebrata il 17 maggio 2011, ricordava la necessità di denunciare e contrastare in tutte le sedi, con fermezza e costanza, «le provocazioni verbali» omofobe, ammonendo a non sottovalutare «i rischi che l'abitudine all'uso nel discorso pubblico di allusioni irriverenti, lesive della dignità delle persone, contribuiscano a nutrire il terreno sul quale l'omofobia si radica. L'ostentazione in pubblico di atteggiamenti di irrisione nei confronti degli omosessuali è inammissibile in società democraticamente adulte».

Il problema sotteso è quello dell'eccedenza di risposta penale su temi quali l'omofobia (ma anche il razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo, il sessismo) che rischia di tradursi in ulteriori limiti all'esercizio della libertà di manifestazione del proprio pensiero. E qui il rischio di andare in corto circuito esiste perché finchè la violenza verbale non si traduce in violenza materiale sembrerebbe che un'eventuale risposta penale sia eccessiva perché l'omofobo diventerebbe in breve un martire in nome della liberà di pensiero e di parola. Meglio lasciarli farneticare, i tanti razzisti, omofobi, antisemiti, negazionisti. E avere fiducia nella dialettica che Platone chiamava nel Sofista, «la scienza degli uomini liberi».

E' evidente come l'esigenza di colpire le manifestazioni di intolleranza nei confronti di un singolo o di un gruppo di individui, idonee a lederne l'uguaglianza e la dignità – trattandosi di condotte di opinione, non connotate dall'uso della violenza fisica –, si ponga in conflitto con la libertà, anch'essa fondamentale, di espressione, che, in quanto condizione sostanziale per il progresso e lo sviluppo della società, è chiamata a garantire pure le affermazioni sgradevoli o ripugnanti . (1)

nota 1

In questo senso si è espressa, sin dagli anni '60, la Corte Costituzionale, evidenziando la necessità di assicurare alla libertà di espressione il più ampio riconoscimento, in quanto "pietra angolare" della democrazia: cfr., Corte Cost., sent. n. 11 del 1968, in www.giurcost.org; Corte Cost., sent. n. 168 del 1971, ivi; Corte Cost., sent. n. 9 del 1965, ivi; Corte Cost. n. 84 del 1969, ivi; Corte Cost., sent. n. 126 del 1985, ivi. Le stesse conclusioni emergono guardando alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale include all'interno della garanzia sancita dall'art. 10 Cedu anche quelle espressioni che non offrono un significativo contributo allo sviluppo democratico e alla formazione dell'opinione pubblica, e che presentano un contenuto raccapricciante e disturbante: così, Corte edu, Gran Camera, 7 dicembre 1976, Handysude c. Regno Unito; Corte edu, 10 luglio 2003, Murphy c. Irlanda; Corte edu, 28 marzo 2008, Azevedo c. Portogallo.

di Valeria Cianciolo, Foro di Bologna


Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

Correlati

Stato civile - Unione civile - Diritti e doveri riconosciuti alle parti di una unione civile - Atto di nascita - Possibilità di indicare le generalità dei genitori legittimi, di quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio e di quelli che hanno espresso con atto pubblico il proprio consenso a essere nominati - Preclusione della formazione di un atto di nascita in cui vengano indicati come genitori due donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso [all'estero] alla procreazione medicalmente assistita. - Questione di legittimità costituzionale: art. 1, c. 20°, della legge 20/05/2016, n. 76 e dell'art. 29, c. 2°, del decreto del presidente della repubblica 03/11/2000, n. 396. - Inammissibilità

Corte Costituzionale