Penale

L’indagine epidemiologica non certifica il nesso causale

di Alessandro Galimberti

Non basta una rilevazione epidemiologica a stabilire il nesso di causalità tra una condotta – o un’omissione – e l’evento reato. Con una motivazione destinata verosimilmente a sollevare acceso dibattito nei successivi gradi di giudizio, il Gup di Taranto Rita Romano ha respinto la richiesta di rinvio a giudizio per dieci ex direttori e dirigenti e per due medici del lavoro delle acciaierie ex Ilva.

Ma mentre nei confronti dei sanitari si è trattato di un’assoluzione determinata dall’impossibilità di configurare a loro carico una posizione di garanzia nell’organizzazione aziendale (avendo di fatto solo funzioni generiche di consiglieri dell’imprenditore e prive di ogni potere dispositivo), in relazione alle figure apicali succedutesi nel tempo nel polo industriale il giudice dell’udienza preliminare invece ha stigmatizzato i criteri di imputazione contraddittori suggeriti dai consulenti tecnici della procura, rimarcando tra l’altro che non basta un’incidenza epidemiologica anomala a soddisfare i requisiti dl nesso eziologico.

I casi di cooperazione colposa del processo che determinarono la morte di quattro dipendenti per mesotelioma erano distribuiti su un lungo arco temporale – dai primi anni Settanta, data di inizio del lavoro, fino ai decessi avvenuti nel 2011 – lasso che aveva inevitabilmente coinvolto una decina di posizioni dirigenziali/direttoriali succedutesi nel tempo.

Proprio questo è uno dei problemi focalizzati dal Gup, secondo cui la pluralità di posizioni soggettive impone di individuare i profili di colpa proprio in relazione all’insorgenza o all’aggravamento (cioè all’accorciamento delle aspettative di vita) delle patologie.

Ma sul punto il Gup di Taranto, distanziandosi dalle conclusioni dei consulenti del pubblico ministero, rileva la mancanza di un chiaro consenso scientifico sulla tesi della “dose-risposta” (cioè: tanto più respiri amianto tanto più rischi di ammalarti e/o di aggravare la malattia), mentre più accettata è la teoria della “dose-killer” che una volta inalata determinerà l’insorgenza della patologia oncologica in un periodo compreso tra 5 e 70 anni successivi.

Nella prima ipotesi, nulla osterebbe a sommare temporalmente le responsabilità dei dirigenti avvicendatisi alla guida dell’acciaieria, nel secondo caso invece bisognerebbe “fotografare” il momento dell’evento respiratorio lesivo.

In questo contesto per arrivare a un’imputazione penale è perciò necessario individuare il momento di innesco del nesso causale, mentre non può soccorrere allo scopo né una constatazione epidemiologica (che secondo il Gup è priva di ogni significato causale, a differenza anche di una rilevazione statistica) né tantomeno una «regola di esperienza» dell’id quod plerumque accidit, che non può mai essere posta a fondamento di un messo causale, di cui è anzi la negazione ontologica.

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