Civile

La ritenuta sui redditi di lavoro autonomo a società e persone fisiche non residenti per prestazioni del settore della moda

A fare ordine in materia è tuttavia intervenuta la Suprema Corte, la quale ha enunciato importanti principi di diritto.

di Gianmarco Dellabartola e Martina Ceccolini*

L'ordinanza della Corte di Cassazione n. 7108 del 3 marzo 2022, che qui si commenta, è stata pronunciata in un giudizio instaurato da una più che nota casa di moda italiana avverso un avviso di accertamento con il quale l'Amministrazione finanziaria aveva contestato la mancata effettuazione delle ritenute sui compensi erogati in favore di sei società aventi sede a Londra che, in veste di società intermediarie, avevano fornito prestazioni professionali per mezzo di soggetti anch'essi non residenti, quali stilisti, parrucchieri e truccatori, modelle, nell'ambito dell'organizzazione di sfilate di moda.

A suo dire, infatti, le società inglesi erano da reputarsi alla stregua di mere intermediarie fra la società di moda e i prestatori di lavoro autonomo (stilisti, parrucchieri, truccatori e modelle) i cui compensi, per tali ragioni, dovevano essere assoggetti alla ritenuta del 30% ai sensi dell'art. 25, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973.

Infatti, pur essendo tali prestatori non residenti in Italia, i redditi dovevano ritenersi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 23, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 917/1986 poiché le prestazioni erano ivi svolte.

Sia la CTP che la CTR hanno confermato la fondatezza della ripresa dell'Amministrazione finanziaria.

A fare ordine in materia è tuttavia intervenuta la Suprema Corte, la quale ha enunciato importanti principi di diritto.

Innanzitutto, i giudici di legittimità hanno osservato che, se da un lato ai sensi dell'art. 23, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 917/1986 sono tassabili in Italia i redditi lavoro autonomo che derivano da attività esercitate nel territorio dello Stato, anche se conseguiti da soggetti non residenti, dall'altro lato occorre considerare quanto previsto dalle varie convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dall'Italia sulla falsariga del modello OCSE secondo cui, se i prestatori di lavoro autonomo non hanno una ‘base fissa' (da leggersi oggi come ‘stabile organizzazione') nel territorio in cui prestano la loro attività, sono assoggettati ad imposizione soltanto nello Stato di residenza.

Del resto, le fonti di rango sovranazionale prevalgono sul diritto nazionale non solo in forza di quanto previsto dagli artt. 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione, ma anche per precisa volontà del legislatore tributario, il quale ha disposto che "nell'applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia" (così l'art. 75 del d.P.R. n. 600/1973) e che le disposizioni del TUIR "si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione" (così l'art. 169 del d.P.R. n. 917/1986).

Calando tali principi nel caso di specie i Giudici di legittimità, dopo aver qualificato come redditi d'impresa, nella nozione di cui all'art. 55, comma 2, del TUIR, quelli conseguiti dalle sei società fiscalmente residenti nel Regno Unito, hanno ritenuto applicabile l'art. 7 della Convenzione conclusa tra Italia e Regno Unito il quale stabilisce che "gli utili di un'impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata", circostanza, quest'ultima, pacificamente insussistente nel caso di specie.

Allo stesso modo i compensi corrisposti ai singoli professionisti, sempre in forza delle disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dall'Italia, sono stati ritenuti imponibili esclusivamente nello Stato di residenza di ciascuno di essi. In proposito, infatti, l'art. 14 delle Convenzioni concluse tra Italia e gli Stati di residenza dei professionisti stabilisce che "i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall'esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale residente non disponga abitualmente nell'altro Stato contraente di una base fissa per l'esercizio delle sue attività".

All'interno dell'espressione "libera professione" vi rientrano, ai sensi del secondo comma dell'articolo citato, "le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contrabili". Conseguentemente, non avendo i singoli professionisti una ‘base fissa' in Italia, questi dovevano scontare la tassazione sui proventi percepiti dalla casa di moda unicamente nello Stato di residenza, e non già in Italia.

Sul punto, la Suprema Corte ha pregevolmente ribadito che – contrariamente a quanto affermato nella sentenza di appello – a nulla rileva l'effettiva tassazione del provento nello Stato di residenza del prestatore o delle società britanniche.

Quel che rileva ai fini convenzionali è il "potenziale assoggettamento della stessa ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza, indipendentemente dall'effettivo prelievo fiscale subìto, essendo lo scopo delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l'attività economica internazionale".

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha altresì ritenuto inconferente il richiamo operato dai giudici di appello al precedente di cui alla sentenza 19 ottobre 2012, n. 17955 dove si afferma che "le prestazioni fornite nel settore della moda, e relative all'intera organizzazione di un evento, sono riconducibili, ai sensi dell'art. 19, n. 9, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, all'attività artistica o di spettacolo, essendo i canoni di queste integrabili, in linea generale, da una sfilata di moda, o comunque all'attività professionale, in quanto la predisposizione di tutto il necessario alla realizzazione dell'evento implica lo svolgimento della prestazione in forma organizzata".

Infatti, nel caso risolto da tale pronuncia, il percettore si era occupato della "intera organizzazione di un evento di moda", ossia di "un vero e proprio evento mondano a tipo sfilata, con relativo allestimento scenico e con finalizzazione all'intrattenimento pubblico" non assimilabile a quella di specie ove la società ricorrente si è limitata a conferire alle sei società aventi sede a Londra l'incarico "di reperire professionisti per la realizzazione delle sfilate di moda e, in particolare, per procurare consulenti stilisti, parrucchieri e truccatori, oltre che modelli".

Alla luce di tali considerazioni, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che l'attività di modelli e modelle era "destinata alla realizzazione di video pubblicitari […], di carattere personale, propria dei prestatori autonomi, con conseguente applicazione dell'art. 14 del modello OCSE", escludendo così la riconducibilità delle prestazioni di consulenti, stilisti, parrucchieri e truccatori nell'ambito delle prestazioni artistiche di cui all'art. 17 del medesimo modello OCSE, i cui compensi sono tassabili in uno Stato contraente per il solo fatto che la prestazione è ivi resa, a prescindere dalla sussistenza di una stabile organizzazione richiesta, per contro, dall'art. 14.

* a cura dell'avv. Gianmarco Dellabartola e della Dr.ssa Martina Ceccolini

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