Penale

Riforma Cartabia e procedibilità: non serve attendere i tre mesi per la querela se il ricorso per cassazione è inammissibile

Lo precisano i giudici di legittimità con le sentenze n. 4183/2023 e n. 4186/2023, entrambe depositate il 1° febbraio

di Aldo Natalini

Riforma Cartabia e norme transitorie sul mutato regime di procedibilità: se il ricorso per cassazione è inammissibile, non c'è necessità di attendere i tre mesi per verificare la volontà della persona offesa di proporre querela ai sensi dell'articolo 85 del Dlgs 150/2022.
Così la Sezione IV penale della Cassazione, con la sentenza n. 4183/2023, depositata il 1° febbraio, che, in una fattispecie relativa a condanna – confermata in appello – per furto aggravato in privata dimora ex articolo 624, comma 3, del Cp, reato divenuto procedibile a querela dal 30 dicembre scorso, ha proceduto all'immediata declatatoria di inammissibilità del ricorso, in continuità con l'indirizzo nomofilattico formatosi con la precedente riforma del regime di procedibilità attuata nel 2018. Negli stessi termini si è pronunciata la coeva sentenza n. 4186/2023, sempre della sezione IV penale della Cassazione.
Dunque, nessun rinvio a data a data successiva al 30 marzo perché è onere della parte interessata attivare correttamente il rapporto di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali esclude la "pendenza" del ricorso e paralizza i poteri cognitivi del giudice. E poiché la verifica della condizione di procedibilità, in cassazione, è questio facti, soggetta ai limiti del potere di accertamento della Corte regolatrice, la declaratoria di inammissibilità del ricorso non può essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata.
Intanto, da Piazza Cavour giungono altre notizie di decisione che, del pari, escludono la necessità di dare termine fino al 30 marzo alla persona offesa per proporre querela: come nel caso in cui questa si sia già costituita parte civile nel procedimento in corso, con ciò avendo chiaramente manifestato la sua volontà punitiva nei confronti dell'imputato riguardo al quale si procede (Cassazione, sezione III penale, udienza 9 gennaio 2023, proc. n. 28073/2022, in attesa di deposito – notizia di decisione n. 1/23; conformi sezione V penale, n. 43478/2001, Cosenza, Ced 220259; sezione II penale, n. 19077/2011, Magli e altro, Ced 250318).

Reati divenuti procedibili a querela e regime transitorio

A seguito dell'entrata in vigore – dal 30 dicembre scorso – del Dlgs 10 ottobre 2022 n. 150, è mutato il regime di procedibilità di molti reati, finora procedibili d'ufficio (vedi l'allegato prospetto con le eccezioni di persistente procedibilità officiosa): per tutti, il furto, anche aggravato (ad eccezione delle aggravanti "pubblicistiche" dell'articolo 625 Cp), ma anche il sequestro di persona, la violenza privata, le lesioni colpose stradali e le lesioni personali lievi con malattia compresa tra 21 e 40 giorni (rispetto alle quali, peraltro, il mutato regime di procedibilità amplia indirettamente la competenza del giudice di pace penale ex articolo 4, comma 1, lettera a), del Dlgs 274/2000, con conseguente applicazione del correlato armamentario sanzionatorio ex articolo 52 anche nei procedimenti pendenti in sede di legittimità: così, da ultimo, Cassazione, sezione V penale, udienza 10 gennaio 2023, proc. n. 38281/2022, in attesa di deposito - notizia di decisione n. 2/23).
A l ivello intertemporale l'articolo 85, comma 1, del Dlgs 150/2022 (come modificato dalla legge n. 199/2022, di conversione, con modificazioni, del Dl 162/2022), nel dettare disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, ha stabilito che «[p]er i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».
L'articolo 5-bis del Dl 162/2022, come convertito dalla legge 199/2022 (entrata in vigore il 31 dicembre 2022), intervenendo in tema di misure cautelari personali, ha interamente riscritto il comma 2, eliminando l'informativa generalizzata alla persona offesa ivi già prevista che avrebbe gravato gli uffici giudiziari di un rilevante impegno notificatorio in tutti quei procedimenti pendenti aventi ad oggetto i reati divenuti procedibili a querela. L'effetto di un simile regime transitorio sarebbe consistito in una prolungata permanenza di procedimenti pendenti e, al contempo, un aggravio di attività per gli uffici giudiziari, ferma l'eventualità dell'infruottuosità delle ricerche volte a consentire il rintraccio delle persone offese.
In seguito alla modifica operata dal legislatore della conversione, nei procedimenti pendenti alla data del 30 dicembre 2022 è, dunque, onere della persona offesa attivarsi autonomamente per proporre querela, entro l'ordinario termine trimestrale previsto dall'articolo 124 del Cp – scadente, quindi, il prossimo 30 marzo – senza [più] avere diritto alla previa informativa. Solo nel caso in cui vi fossero state misure cautelari in atto alla data del 30 dicembre 2022 è stato mantenuto l'onere in capo all'autorità giudiziaria che procede di informativa verso la persona offesa al fine di verificare se intendesse coltivare l'animus puniendi e, quindi, legittimare la prosecuzione dell'intervento cautelare; a tal fine era previsto il termine di 20 giorni per acquisire la querela, scaduto lo scorso 18 gennaio (articolo 85, nuovo comma 2, del Dlgs 150/2022, come modificato dall'articolo 5-bis del Dl 162/2022, convertito, con modificazioni, in legge 199/2022).

I dicta: immediata declaratoria di inammissibilità del ricorso
Le due sentenze in commento affermano che, nei procedimenti pendenti in cassazione relativi a reati divenuti procedibili a querela con la riforma Cartabia, non bisogna attendere che decorrano tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (quindi fino al 30 marzo 2023) per verificare la volontà punitiva della persona offesa ai sensi dell'articolo 85, comma 1, Dlgs 150/2022.
Come spiegano i supremi giudici, infatti, trova applicazione il principio nomofilattico già affermato con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del Dlgs 36/2018. La disciplina transitoria prevedeva, in quel caso (articolo 12, comma 2, del Dlgs 36/2018, come nel previgente articolo 85, comma 2, del Dlgs 150/2022, prima delle modifiche operate dalla legge 199/2022) che dovesse esser dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e il Supremo collegio ritenne che detto avviso non dovesse esser dato, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, nei casi di inammissibilità del ricorso (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 40150/2018, Salatino, Ced 273551). Fu rilevato nell'occasione, facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni del Supremo collegio (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 12602/2015, dep. 2016, Ricci) che l'articolo 129 del Cpp non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, cioè, per quanto qui d'interesse, valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione.
Tale argomentare è ritenuto pertinente – oggi – rispetto alle interpolazioni operate dalla riforma Cartabia dalle coeve sentenze n. 4183/2023 e n. 4186/2023, entrambe depositate il 1° febbraio con eguali esiti di inammissibilità degli spiegati ricorsi per cassazione. Sulla base delle medesime argomentazioni gli "ermellini" di Piazza Cavour, riprendendo un noto assunto giurisprudenziale (valevole anche in tema di decorso della prescrizione), escludono che il procedimento possa ritenersi "pendente" in presenza di un ricorso inammissibile.
Come sottolineato anche dalla sentenza Ricci, tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU: è, infatti, onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l'equità o la razionalità del processo.
La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dall'abolitio criminis capace invece di prevalere sull'inammissibilità (in questo senso, da ultimo, Cassazione, sezione V penale, udienza 10 gennaio 2023 – in attesa di deposito, procc. n. 33010/2022 n. 34563/2022 - notizia di decisione n. 1/23) e la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso che il giudice dell'esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità.
Come già rilevato dalla sentenza Salatino, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole dell'autosufficienza del ricorso (Cassazione, sezione VI penale, n. 44774/2015, Raggi, Ced 265343) e ai limiti dei poteri di accertamento della Suprema corte (Cassazione, sezione III penale, n. 39188/2010, S., Ced 248568), sicché non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (Cassazione, sezioni Unite penali, Salatino, citata, in motivazione).
Nei due casi di specie, dunque, il mutato regime di procedibilità del reato per il quale era intervenuta condanna non ha rilevanza e non ha precluso l'immediata dichiarazione di inammissibilità dei rispettivi ricorsi per cassazione.

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