Penale

Bar, ristoranti e negozi: le critiche web «meritorie» non sono diffamazione

I post contrastano la pubblicità ingannevole ed evitano danni ad altri

di Marisa Marraffino

Le pagine sui social network che contengono recensioni (negative) di esercizi commerciali svolgono una fondamentale funzione economica, perché evitano pubblicità ingannevoli e danni ad altri clienti. Se gli utenti si limitano a condividere le esperienze vissute, anche riportando delle critiche, ma con linguaggio corretto e non offensivo, svolgono un’«opera sicuramente meritoria», che va tutelata e protetta, perché oggi un’economia deve basarsi su «comportamenti commerciali trasparenti, adamantini, corretti e in grado di generare un circolo virtuoso di concorrenza leale, veramente posta al servizio del cliente». Lo ha precisato il Tribunale di Torino, con la sentenza 186 pubblicata lo scorso 19 gennaio (giudice Oberto), che fa il punto sui confini tra diritto di critica e diffamazione nei casi - sempre più diffusi - di pagine pubbliche dove i partecipanti si scambiano consigli e opinioni su servizi o prodotti.

La causa ha preso le mosse dalla richiesta di risarcimento danni di 150mila euro, fatta da una concessionaria di auto e moto che aveva citato in giudizio l’amministratore di una pagina Facebook e della relativa community online, nate con lo scopo di mettere in guardia chi vende e compra auto usate da possibili inconvenienti o disagi. Sulla pagina pubblica, dove gli utenti condividevano esperienze positive e negative relative all’acquisto delle auto, era stato pubblicato un post di un cliente della concessionaria, che raccontava di essersi accorto, solo dopo l’acquisto, che l’auto era gravemente sinistrata e che a nulla erano valse le e-mail inviate alla concessionaria. Il post era divenuto presto virale e oggetto di attenzione mediatica, con circa 500 condivisioni e oltre mille like. Da qui la causa della concessionaria, che aveva trovato un accordo con l’autore del post, ma in sede sia penale che civile proseguiva l’azione nei confronti dell’amministratore della pagina Facebook.

Il giudice civile, allineandosi al decreto di archiviazione del Gip, ha confermato che l’utilizzo di espressioni ironiche e goliardiche è tollerato se si rappresentano fatti realmente accaduti e riportati con frasi che non trasmodano nell’invettiva. Ma il Tribunale va oltre stabilendo che «il fatto di pubblicare le disavventure, per usare un eufemismo, subite dai clienti di un certo esercizio commerciale costituisce opera meritoria (…) per scongiurare che altri malcapitati soggetti abbiano a subire gli effetti di comportamenti che possono ledere il patrimonio e i sudati risparmi di acquirenti e clienti». In caso contrario - continua il giudice - «si finirebbe per zittire i whisteblowers, la cui funzione sociale non va invece trascurata».

Per il tribunale non si può pretendere che l’amministratore di una pagina social la controlli 24 ore al giorno perché la sua responsabilità civile, a differenza di quella del direttore di un giornale, sorge soltanto dal momento in cui viene messo formalmente a conoscenza dall’interessato della pubblicazione del contenuto asseritamente diffamatorio, come previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 70/2003. È chi si duole del post diffamatorio a dover poi dimostrare in giudizio di aver informato l’amministratore della pagina del contenuto offensivo e che questi non lo abbia tempestivamente rimosso. Nel caso esaminato, tale circostanza non era stata provata e per il giudice il post era stato cancellato in tempi ragionevoli.

I principi
Il valore aggiunto
Il fatto di pubblicare le “disavventure” subite dai clienti di un esercizio commerciale costituisce opera meritoria perché ha la funzione di contrastare, da un lato, possibili operazioni di pubblicità ingannevole e, dall'altro, di scongiurare che altri clienti possano subire dei comportamenti dannosi
La diffamazione
Il valore aggiunto delle community di recensioni social deve essere contemperato con il generale divieto di diffamare l'attività commerciale. Ma una possibile diffamazione non può e non deve essere semplicisticamente individuata in ogni critica, specie quando la critica ha un qualche fondamento nella realtà dei fatti

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