Penale

Post su Facebook, per i parlamentari l'insindacabilità è limitata

La Corte costituzionale, sentenza n. 241 depositata oggi, ha annullato la deliberazione della Camera ritenendo le affermazioni prive di un nesso funzionale con l'attività svolta in Aula

di Francesco Machina Grifeo

Rischia una condanna per diffamazione il deputato che pubblichi su Facebook affermazioni offensive della reputazione altrui in assenza di un "nesso funzionale" con l'attività parlamentare posta in essere. La ha stabilito la Corte costituzionale, sentenza n. 241 depositata oggi, annullando la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati ne 24 marzo 2021.

La vicenda partiva dal post di un ex onorevole del Pd che nel settembre 2012, con riferimento alle proteste "No Tav" in Val di Susa, avrebbe offeso la reputazione di un vicesindaco e due attivisti di un centro sociale affermando: «Stanotte durante l'attacco al cantiere di Chiomonte indovinate un pò chi dava supporto ai teppisti informandoli via cellulare dei movimenti della polizia? [G. V.]. Il tutto coordinato da [D. L.], portavoce di [G. R.] che è agli arresti domiciliari e quindi dispensa ordini dalla poltrona di casa sua. Un vero schifo!».

A seguito di querela, il PM aveva esercitato l'azione penale, ritenendo che effettivamente le affermazioni avessero contenuto diffamatorio e fossero aggravate dall'attribuzione di fatti determinati e dalla diffusione dell'offesa con un mezzo di pubblicità. Nel marzo 2021, tuttavia accogliendo la proposta della Giunta, l'Assemblea della Camera dei deputati ha deliberato che «i fatti per i quali è in corso il procedimento […] concernono opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'articolo 68 della Costituzione».

Il Tribunale di Torino ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione affermando che la frase "non sia divulgativa di alcun atto parlamentare attribuibile al deputato, con la conseguenza di non poter essere ritenuta opinione espressa nell'esercizio della funzione". E la Consulta gli ha dato ragione.

Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, per ravvisare un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l'espletamento delle sue funzioni, "è necessario che le stesse possano essere riconosciute come espressione dell'esercizio di attività parlamentare, vale a dire che assumano carattere divulgativo di quanto riconducibile a quest'ultima". Mentre, si legge nella decisione, né la relazione della Giunta né la deliberazione della Camera "indicano atti parlamentari, anteriori o contestuali, che abbiano un contenuto corrispondente a quanto pubblicato su Facebook, vale a dire che denuncino la pretesa delazione appena indicata, e l'uso di coordinamento dell'azione violenta che ne sarebbe stato fatto". Mentre non possono avere rilievo gli atti parlamentari successivi alla dichiarazione "perché, per definizione, quest'ultima non può essere divulgativa dei primi".

Quanto agli interventi precedenti del deputato, "molti di essi – precisa la Corte - hanno senza dubbio per oggetto le violente azioni di sabotaggio al cantiere TAV, paventate o attribuite talvolta a esponenti dei centri sociali, con l'appoggio di amministratori locali". Tuttavia, in tutti questi interventi "non vi è alcun riferimento specifico alle persone dei querelanti, né ad una loro specifica attività di propalazione e di successivo impiego di informazioni riservate, concernente «i movimenti della polizia», ovverosia il fatto che connota la dichiarazione apparsa sulla pagina Facebook dell'on. … il giorno 1° settembre 2012".

In definiva, conclude la Corte, "non risulta alcuna opinione, resa nell'esercizio della funzione parlamentare, che abbia un contenuto nella sostanza corrispondente al fatto specifico denunciato dall'on. su Facebook con la dichiarazione reputata insindacabile".

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