Lavoro

Continuità assistenziale, bocciata l'indennità di rischio per i medici abruzzesi

La Corte di cassazione, ordinanza n. 13396 depositata oggi, ha chiarito che la contrattazione regionale è in contrasto con quella nazionale

di Francesco Machina Grifeo

Non sono dovute le somme pretese dai medici di medicina generali abruzzesi a titolo di indennità di rischio per l'attività riguardante la cosiddetta continuità assistenziale. Le clausole della contrattazione integrativa regionale che l'avevano prevista, infatti, sono nulle perché in contrasto con la contrattazione nazionale di riferimento. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 13396 depositata oggi, respingendo il ricorso di una pattuglia di camici bianchi contro l'Als 1 Avezzano, Sulmona e L'Aquila per la riforma della sentenza emessa dalla locale Corte di appello.

La Sezione Lavoro ricorda che come affermato di recente dalla Corte Costituzionale (25 giugno 2019, n. 157) in materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale), la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono.

Così se l'articolo 8 del Dlgs n. 502/1992 assicura la modulazione dei compensi, in parte variabile, anche rispetto a prestazioni ed attività prevista dagli accordi regionali, "ciò non significa che la legislazione sovverta il sistema di contrattazione nazionale … e le regole di gerarchia e competenza ad esso proprie". Non viene dunque per nulla avallata la possibilità di un contrasto con la disciplina nazionale, ma solo la possibilità di stabilire regole di remunerazione più adeguate rispetto alla realtà ed alla particolarità dell'ambito regionale interessato.

Non è allora legittimo l'aver riconosciuto a livello regionale il compenso aggiuntivo dell'indennità di rischio, per i medici della continuità assistenziale, «in modo automatico ed indifferenziato» per tutti coloro «che svolgono tale attività convenzionale nel territorio abruzzese», considerato che la prestazione presenta «caratteristiche indefettibili, comuni a tutto il territorio italiano». Così facendo dunque si è operato in violazione del criterio di specificità («particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà») attraverso cui l'Accordo collettivo nazionale definisce gli interventi demandati alla contrattazione regionale.

Neppure può avallarsi, prosegue la decisione, la tesi secondo cui la contrattazione regionale esprimerebbe l'apprezzamento di merito per cui tutto il territorio abruzzese sarebbe caratterizzato da condizioni idonee a giustificare quel rischio, per giunta in modo diffusamente differenziato per tutti i medici di continuità assistenziale della Regione, rispetto a ciò che accade nel resto del Paese.

Infine, la Cassazione, respingendo anche il ricorso incidentale della Asl, ribadisce il principio per cui "il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con il s.s.n. è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi, ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali, ai sensi degli artt. 48 della L. n. 833 del 1978 e 8 del d.lgs. n. 502 del 1992". Tale disciplina, dunque, non può essere derogata da quella speciale prevista per il rientro da disavanzi economici mentre le sopravvenute esigenze di riduzione della spesa devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione. È dunque illegittimo l'atto unilaterale di riduzione del compenso adottato dalla P.A., posto che il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l'esercizio dell'autonomia privata".

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