Penale

Il sequestro preventivo del compendio aziendale non è impugnabile dal socio

La Cassazione ribadisce che l’azione giudiziaria spetta solo alla società

di Giovanbattista Tona

Il socio non è legittimato ad impugnare il decreto di sequestro preventivo del compendio aziendale della società, che viene ritenuto nella diretta disponibilità di un esponente della criminalità organizzata e da lui utilizzato per commettere delitti di illecita concorrenza con minaccia e violenza ai sensi dell'articolo 513bis del codice penale.

Lo ha affermato la Cassazione, applicando un principio consolidato ad un caso assai peculiare.

L’articolo 322 del Codice di procedura penale riserva la legittimazione ad impugnare il decreto di sequestro preventivo, oltre che all’imputato, al suo difensore e alla persona alla quale i beni sono stati sequestrati, anche alla persona che avrebbe diritto alla loro restituzione.

Quando il vincolo reale è stato disposto sulla società e sui suoi beni aziendali, il socio non può chiedere la restituzione dei beni della società, sottoposti a sequestro, perché non ha poteri di gestione su di essi e quindi non ne può avere le diretta disponibilità. In particolare nella società di capitali, la legale rappresentanza spetta all'amministratore (articolo 2745bis del Codice civile) e il singolo socio può solo sollecitare gli organi sociali ad agire nell'interesse della società, salva la possibilità di agire, in caso di loro inerzia, nei confronti degli amministratori e chiedere la liquidazione della propria quota (articolo 2289 del Codice civile).

Non è, quindi, del socio ma della società la titolarità del patrimonio sociale e dei beni che lo compongono; pertanto, come già aveva affermato la Cassazione con la sentenza 16860 del 2019, solo gli organi sociali sono legittimati ad impugnare il decreto di sequestro del compendio aziendale.

In questa vicenda, tuttavia, il socio di una Srl aveva ritenuto di agire prospettando la sua posizione di terzo estraneo al reato. Siccome l’ipotesi d’accusa assumeva che la società fosse uno strumento nella effettiva disponibilità di un soggetto, diverso dai soci e dagli organi sociali, il quale la utilizzava per commettere delitti di illecita concorrenza, il socio riteneva che, ricorrendo un'ipotesi di confisca facoltativa, in base all’articolo 240 comma 3 del Codice penale, la confisca, e ancora prima il sequestro, non potevano essere applicati se il bene appartiene a persona estranea al reato.

Ma i giudici di legittimità hanno affermato che, a prescindere dalla sussistenza o meno dei presupposti per il sequestro o per la confisca, assume preliminare rilievo il fatto che la società è soggetto munito di autonomia giuridica distinta dalle persone fisiche o giuridiche dei soci che compongono la compagine sociale.

Quindi il soggetto che deve dimostrare la sua estraneità e che, in forza di questo, può ottenere la restituzione dei beni aziendali è la società non il singolo socio.

Solo se l'impugnazione fosse volta ad ottenere la restituzione della quota sociale di sua spettanza gli si potrebbe riconoscere la legittimazione ad agire (Cassazione 5883/2021); ma ciò non era prospettato nel caso di specie.

Per questo il ricorso del socio è stato dichiarato inammissibile.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©