Giustizia

Violenza sulle donne, le leggi ci sono ma occorre migliorarne l'applicazione

Nel libro "Ho detto No" del Sole 24 Ore sulla violenza contro le donne 8 storie di rinascita e gli strumenti per farlo

Le leggi sulla violenza contro le donne ci sono, il vulnus semmai è rappresentato dall'applicazione. Ma tutto - emerge dal libro "Ho detto no-Come uscire dalla violenza di genere", edito dal Sole 24 Ore - è perfettibile e alcune carenze, anche di carattere normativo, potrebbero essere colmate. Attraverso 8 storie esemplificative, 7 di donne uscite dalla violenza e una di un uomo che ha intrapreso con successo un percorso per maltrattanti, il libro, scritto dalle giornaliste Chiara di Cristofaro e Simona Rossitto, esamina gli strumenti per combattere la violenza, analizzando anche il contesto giuridico e normativo, eventuali lacune e spiegando l'importanza del lavoro di formazione sugli operatori di giustizia che trattano con le donne vittime.

Il cammino normativo
Dallo ius corrigendi, ovvero il diritto del padre di usare mezzi di correzione anche violenti verso moglie e figli, abolito solo nel 1956, tanta strada è stata fatta in materia di norme sulle donne e sulla parità di genere. A livello sovranazionale un passaggio topico nella tutela delle donne vittime è stato rappresentato dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 2011. Provvedimenti come la legge sui femminicidi del 2013, il Codice Rosso del 2019, che ha inasprito le pene per i reati quali violenza domestica e aggiunto nuove fattispecie come il reato di revenge porn che punisce la pubblicazione non consensuale di video e filmati intimi, hanno colmato delle lacune esistenti nella prevenzione. Più discussa è la norma che prevede il riascolto della vittima entro tre giorni dalla notizia di reato. Obbligare la donna a confermare in un così breve lasso di tempo la notizia rileva , infatti, un' inadeguata e scarsa conoscenza dei tempi e dei ritmi di una persona che subisce violenza.
Altre carenze si riscontrano sul piano del diritto penale e si volevano colmare con due disegni di legge a prima firma Valeria Valente, già presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, non approvate nel corso della scorsa legislatura.

Consenso, il ribaltamento dell'onere della prova
Le nuove norme, contenute in due ddl che sono stati ripresentanti nel corso dell'attuale legislatura, intervengono, in particolare, per il reato di violenza sessuale, attraverso una norma sul consenso, e in quello delle molestie sessuali inserendo un reato ad hoc. "Nei casi di stupro oggi – spiega Valente – la vittima deve dimostrare che non ci sia stato il consenso. Se il ddl sarà approvato, invece, la situazione viene ribaltata: è il presunto autore del reato che deve provare che ci sia stato il consenso. Un altro campo dove occorre intervenire è quello delle molestie sessuali, per cui non c'è un reato specifico, mentre il ddl inserisce anche un'aggravante quando avvengono nel contesto lavorativo o scolastico,in presenza cioè di un rapporto di subordinazione. Si colmerebbero così due vuoti normativi".

La misura precautelare
Due lacune, nonostante il nostro ordinamento abbia un buon impianto normativo, esistono anche per il giudice Fabio Roia, uno dei massimi esperti in tema di violenza. Le carenze, secondo Roia, sarebbero state colmate dal ddl antiviolenza presentato il 25 novembre del 2021 ma poi non andato in porto durante il governo Draghi. Il disegno di legge prevedeva, infatti, di adottare una misura precautelare da parte del Pm, anche fuori da una situazione di flagranza di reato. Se una donna, cioè, si reca in un pronto soccorso o in un centro antiviolenza e racconta la sua storia, anche se non c'è più la flagranza di reato, il maltrattante può essere arrestato. "Nel nostro ordinamento – spiega Roia – al di fuori della quasi flagranza di reato, non si può procedere all'arresto. Oggi, dunque, occorre fare attività di approfondimento sul piano istruttorio, poi il Pm deve chiedere al Gip l'emissione delle misure. Tutto ciò, quando gli uffici funzionano e tutto fila liscio, porta via 20-30 giorni. E intanto la donna in pericolo dove va? Le vittime vengono messe in case protette, vengono accolte da parenti o amici o ricoverate in ospedale, se hanno particolari profili di criticità. Ma questo non va bene, diventa una forma di violenza secondaria, è la vittima che deve fuggire dal maltrattante. Il ddl delle ministre prevedeva invece che, raccolti sufficienti elementi di gravità indiziaria, si potesse disporre il fermo, colmando la lacuna principale del nostro sistema penale". Un'altra carenza esistente riguarda un errore tecnico a cui il ddl rimediava con una norma di coordinamento. "Quando c'è un uomo sottoposto a divieto di avvicinamento a persona offesa può essere arrestato in flagranza di reato per violazione della misura, ma per un errore tecnico non si possono adottare misure cautelari. L'uomo viene, dunque, immediatamente liberato. Manca una norma di chiusura", aggiunge Roia. Anche in questo caso le norme mancanti sono state subito riproposte all'inizio della legislatura corrente con una nuova proposta di legge presentata dalla Bonetti.


Il raccordo tra processo civile e penale
Spostandoci al problema del raccordo tra il processo penale, a seguito della denuncia per violenze, e il processo civile per l'eventuale causa di separazione, Teresa Bene, professoressa ordinaria di diritto processuale penale all'università degli Studi di Napoli Federico II, vede favorevolmente l'inserimento nel codice civile di un capitolo sulla violenza e di un passaggio sullo scambio necessario tra i due processi. "Si tratta di un punto molto importante nei casi di separazione e divorzio. Se i due ordinamenti non si parlano tra di loro, si stabilisce – spiega Bene – l'affidamento congiunto anche nel caso di un genitore violento. Per evitare questo, prevedere nel processo civile lo scambio di informazioni è fondamentale". Lavorare sul fronte normativo e soprattutto sull'applicazione delle leggi, emerge quindi dal libro, è uno degli strumenti necessari per aiutare le donne a uscire dal silenzio e dall'isolamento.

C'è una via d'uscita
La violenza, questo si vuole dimostrare attraverso il racconto della rinascita delle 7 donne di cui parla il libro, non è un destino e anche se i numeri sembrano non lasciare scampo, la via d'uscita, pur se difficile e faticosa, c'è. Ed è fatta di lavoro di rete, di formazione, di strumenti legislativi, finanziari, di un sistema Paese che non renda nuovamente vittima una donna già vittima di violenza. La strada non è semplice, e passa, sempre, per un cambiamento culturale, sconfiggendo i retaggi patriarcali e assicurando parità di trattamento e uguali opportunità.


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