Lavoro

Licenziamento disciplinare, tutela reintegratoria solo con fatti previsti da fonte negoziale vincolante e idonei alla sanzione conservativa

Licenziamento disciplinare e tutela applicabile tra quelle previste dall'art 18 comma 4 e5 L 300 /70 così come modificato dalla L 92/2012 e conseguente possibilità per il giudice di "sussumere la condotta addebitata ed accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa tramite clausole generali o elastiche"

di Bonaventura Franchino, Domenico Franchino*

Con la sentenza oggi in commento ( Corte di Cassazione, Sez. L, sent. 11 aprile 2022, n. 11665 ndr.) la Corte ha modificato gli orientamenti di recente adottati in tema di reintegra a seguito di licenziamento disciplinare intimato in assenza dei requisiti di giusta causa, rappresentando un nuovo indirizzo da dare alla nozione di licenziamento per giusta causa ed ai presupposti ritenuti idonei per la sua configurazione.

Difatti, per la sua configurazione fa espresso richiamo all'uso delle clausole generali o elastiche di cui è dotato il nostro ordinamento: un valido strumento che traccia delle linee di indirizzo idonee ad apportare contributo di chiarezza e di analitica esplicitazione dei principi a base delle sanzioni disciplinari, siano esse di natura reintegratoria che conservativa, fornendo basi di discussione che prendono in considerazione la norma nella sua caratteristica di essere generale ed elastica. Un meccanismo che consente, una volta assunta la condotta oggetto di sanzione, di poterla valutare e correttamente inquadrare e, quindi ,comminare la sanzione più rispondente a prescindere dalla connotazione data alla stessa dal codice disciplinare ovvero dalla normativa collettiva.

La vicenda prende le mosse dalla impugnativa di licenziamento, intimato per giusta causa, formulata avanti il Tribunale di Udine da un dipendente di istituto di vigilanza
( comandante delle guardie) per aver, nel corso di una conversazione a mezzo chat con un collega, denigrato i responsabili dell'impresa, non aver denunciato l'aggressione subita da parte di un collega e di non aver segnalato, per cinque mesi, alla Questura di Udine i turni di servizio del personale, in quanto ciò imposto da precise direttive aziendali.

A seguito di tale ricorso, il Tribunale di Udine in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza dichiarò illegittimo il licenziamento, in quanto privo di giusta causa , risolto il rapporto di lavoro condannando la società datrice al risarcimento del danno quantificandola in venti mensilità in ragione di quanto disposto dall'art 18 comma 5 L 3007/0 come modificato dalla L 92/2012.

Con sentenza n 111/2019 il Tribunale, in sede di opposizione, rilevando l'assenza di giusta causa, annullava il licenziamento condannando la società datrice al reintegro ed al pagamento di indennità risarcitoria in ragione di quanto disposto dall'art 18 comma 4 e ss l 300/70

La Corte di merito, in sede di reclamo, dichiarava risolto il rapporto di lavoro, condannando la società datrice ad una indennità risarcitoria che veniva quantificata in venti mensilità ex art 18 comma 5 l 300/70 .

La Corte territoriale dichiarava il primo motivo in contestazione privo di alcun rilievo disciplinare nel mentre qualificava il secondo, relativo all'omessa segnalazione dell'aggressione subita mentre era in servizio, di minima rilevanza; in relazione al terzo motivo, rilevava che l'autorità di pubblica sicurezza nulla aveva contestato, qualificava i fatti come irrilevanti.

Di conseguenza, poneva le violazioni sopra evidenziate a raffronto con quanto previsto dal codice disciplinare in merito, concludendo che le clausole previste dalla norma collettiva "fossero ipotesi formulate in modo assai generico ed indefinito" nel cui ambito non era possibile "sussumere l'omessa denuncia di un fatto di servizio o l'omessa trasmissione di documenti all'autorità locale di polizia"

Facendo espresso richiamo alla giurisprudenza di legittimità, interpretativa dell'art 18 L 300 art 18 comma 4 e ss , e del carattere residuale della tutela reintegratoria, così come si configura all'esito della novella del 2012 (L 92) e la conseguente indifferibilità che il fatto accertato sia vincolante per parte datoriale , escludeva la possibilità di reintegro applicando la tutela indennitaria, così come prevista dal comma 5 dell'art 18.

Avverso la citata sentenza, il lavoratore ha interposto ricorso per cassazione ; la società datrice si costituiva con controricorso e con ricorso incidentale .
Il Procuratore generale concludeva per l'accoglimento del ricorso principale e la inammissibilità del ricorso incidentale.

La Corte di legittimità, sulle seguenti considerazioni:
a) Che parte ricorrente aveva dedotto ex art 360 c.p.c 1,2,3, la falsa applicazione e violazione della normativa contrattuale applicabile agli istituti di vigilanza ed il vizio di motivazione
b) Che, nel mentre i comportamenti negligenti non possono essere previsti ex ante, la norma collettiva non può far altro che delineare delle fattispecie astratte; di converso, i fatti e/o condotte addebitate al lavoratore debbono essere dedotti in modo concreto e specifico, così come previsto dall'art 7 L 300; ritenuto altresì che la gradualità delle condotte negligenti nell'adempimento delle prestazioni lavorative, alla stregua di quanto previsto dal CCNL, si riconducono sempre nell'alveo di sanzioni aventi carattere conservativo, così come parte datoriale ha inteso inquadrare gli inadempimenti, definendoli semplicemente negligenti che, se pur ritenuti gravissimi, debbono pur sempre rientrare tra i comportamenti sanzionabili con misure conservative;
c) Che veniva contestata, ex art 360, commi 1 e 3, la violazione e falsa applicazione dell'art 18 coma 4 e 5 L.300,novellati, per avere la corte territoriale erroneamente applicato la tutela indennitaria laddove il fatto avrebbe dovuto essere punito con sanzione conservativa .

Su tali assunti il Collegio della Suprema Corte, a sezioni unite, ha ritenuto di dover esaminare in via preliminare il ricorso incidentale formulato dalla società datrice atteso che lo stesso " investe sotto diversi profili la ritenuta insussistenza di una giusta causa di licenziamento ".

Difatti, il collegio, a totale confutazione delle doglianze mosse da parte datoriale in relazione alla prima e seconda contestazione disciplinare, evidenziava che la corte di merito aveva correttamente valutato i fatti relativi alla prima e seconda contestazione e che più che un vizio di sussunzione della fattispecie accertata nella nozione di giusta causa delineata dal'art 2119 cc. "si risolve nella pretesa di una diversa ricostruzione dei fatti come già accertati.".

Difatti la corte territoriale, precisando che la conversazione era stata intrattenuta a mezzo WhatsApp con collega di lavoro, con la quale aveva avuto un figlio e pendevano controversie giudiziarie per l'affidamento del minore, affermava che si è trattato solo di conversazione privata, in assenza di persone estranee all'ambiente di lavoro attraverso un mezzo di comunicazione non potenzialmente lesivo ; del resto anche i fatti non integrano in alcun modo ipotesi di condotta lesiva, in quanto non integrano la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nello svolgimento della propria attività lavorativa.

Quanto alla seconda e terza contestazione, il collegio di legittimità ha ugualmente ritenuta corretta la valutazione della corte di merito; il tutto atteso che dai fatti accertati, la cui gravità può essere valutata dopo e non può costituire oggetto di censura in sede di legittimità se non sotto un profilo di motivazione, peraltro neanche allegato, si può evidenziare solo l'esistenza di comportamenti negligenti e come tali ritenuti di lieve entità.

Rigettato il ricorso incidentale, la Corte di legittimità nell'esamina di quello principale evidenziava come lo stesso pone un problema di chiarire quali siano i criteri atti ad individuare la tutela in concreto da applicare al licenziamento alla stregua della legge 300 art 18 così come novellato dalla 92/2012.Questa circostanza ha fatto sì che la Suprema Corte operasse una sorta di riconsiderazione di tutta la normativa relativa all'art 18 alla stregua della legislazione successiva, operando un riordino della stessa e fissando dei criteri da applicare.

In ragione di ciò, ha evidenziato come con la legge Fornero sono stati previsti vari livelli di tutela da applicare, una tutela forte ed una tutela c.d. debole.
La tutela c.d. forte prevede la reintegra nel posto di lavoro, la condanna del datore al risarcimento del danno da commisurare all'ultima retribuzione di fatto percepita fino alla effettiva reintegra con l'obbligo del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Questa tutela è conseguenza diretta della nullità di licenziamento che viene integrato nelle ipotesi di atto discriminatorio, perché intimato in concomitanza di matrimonio ovvero in violazione di divieto di licenziamento ( tutela e sostegno alla maternità) ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile.

Oltre a questo tipo di tutela vi è la c.d. tutela reintegratoria, definita debole, disciplinata dall'art 18 comma 4 legge 300, nelle ipotesi in cui in sede giudiziale viene accertata la insussistenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa così come addotti dal datore in quanto non sussistente il fatto contestato ovvero che lo stesso integra ipotesi di sanzione conservativa ; il tutto sempre alla stregua del codice disciplinare del ccnl di settore ovvero altri codici disciplinari comunque applica.

IL provvedimento giudiziale prevede, oltre all'ordine di reintegra, anche l'obbligo per il datore al pagamento di una indennità risarcitoria parametrata all'ultima retribuzione globale di fatto, idonea a coprire il lasso tempo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della effettiva reintegra precisando che tale periodo non potrà essere superiore a dodici mesi; oltre a tanto il datore sarà tenuto alla contribuzione.

Ancora, l'art. 18 L 300 comma 5 prevede che nelle ipotesi in cui non ricorrano gli estremi per il giustificato soggettivo o della giusta causa addotti dal datore , il giudice dichiara risolto il rapporto con decorrenza dalla data di licenziamento condannando il datore ad una indennità risarcitoria omnicomprensiva, quantificata tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita; questa gradazione in relazione all'anzianità di servizio del lavoratore, delle dimensioni aziendali e del comportamento delle parti.

Questo tipo di tutela è denominata indennitaria forte in quanto in simili ipotesi è prevista una indennità risarcitoria considerevole ; il tutto correlato anche a quanto previsto dal successivo comma 6 che, applicato alle violazioni procedurali previste dalla L 604/66 ex art 7 e successive modifiche, ovvero nelle ipotesi di inefficacia del licenziamento perché carente di motivazione ( art 2 comma 2 s.l.) prevede una indennità risarcitoria quantificabile tra le sei e le 12 mensilità.

Il tutto, fermo restando che , nelle ipotesi in cui viene accertata la ingiustificatezza del licenziamento, deve applicarsi l'art 18 commi 4 e 5 in ragione del caso specifico.

Il provvedimento di reintegra con relativa indennità risarcitoria è prevista altresì dall'art.7 l 300 comma 7 in tutte le ipotesi in cui il licenziamento viene comminato per motivo oggettivo rappresentato da inidoneità fisica o psichica del lavoratore ovvero in tutte le ipotesi di violazione del comma 2 dell art 2110 cc .
In simili ipotesi viene demandato alla legge , agli usi o all'equità di prevedere i termini entro cui n cui vi è tolleranza ovvero è consentito il recesso.

Nelle ipotesi in cui viene accertata la "manifesta insussistenza" del fatto a base del licenziamento per g.m.o., ( ex art 18 comma 7 secondo alinea) all'indomani della sentenza della corte cost 59/2021 che ha cassato la modifica, il comma 7 dell'art 18 (così come modificato dalla L 92/2012 ) viene applicato il disposto di cui all'art 18 comma 4 legge 300/70.

In tutte le ipotesi in cui si accerti la insussistenza del giustificato motivo oggettivo, deve applicarsi la tutela prevista dall'art 18 comma 5 che prevede la risoluzione del rapporto con conseguente indennità risarcitoria compresa tra le 12 e le 24 mensilità della retribuzione globale di fatto; il tutto, fatta eccezione per le ipotesi in cui avesse ad emergere la natura discriminatoria del licenziamento; in simile ipotesi, se richiesto, si provvederà in ragione della specifica violazione.

Proseguendo nella lunga disamina, la Corte chiarisce che, a far data dalla sentenza n. 12365/19, ha sempre statuito nel senso che in ipotesi di licenziamento disciplinare determinato da condotta con disvalore pari a quello previsto dal CCNL di riferimento meritevole di provvedimento di natura conservativa, può essere adottata disciplina di cui all'art 18 comma 5 Legge 300, e quindi, dichiarare illegittimo il recesso e risolto il rapporto di lavoro adottando la tutela indennitaria prevista dalla normativa ora indicata; diversamente, solo nella ipotesi in cui il fatto in contestazione sia stato accertato ed espressamente previsto da una fonte negoziale vincolante per parte datoriale quale condotta del lavoratore punibile con sanzione conservativa, il licenziamento dovrà essere dichiarato illegittimo ed applicata la tutela reintegratoria ex art 18 comma 4 l.300/70 novellato. Tali argomentazioni sul presupposto che la legislazione di cui alla L.92/2012 ha previsto la regola principale della tutela indennitaria nel mentre l'eccezione è rappresentata da quella reintegratoria che è conseguente ad un "abuso consapevole " del potere disciplinare … che implica una conoscenza preventiva … della illegittimità del provvedimento espulsivo.." . Il tutto perché il fatto contestato è insussistente ovvero il fatto è riconducibile a fattispecie non idonee ad integrare ipotesi espulsiva.

In sintesi, si può attuare la tutela reintegratoria solo nella ipotesi in cui i fatti a base dello stesso siano previsti da fonte negoziale vincolante e ritenuti idonei a legittimare sanzione conservativa ; in simili ipotesi il licenziamento oltre ad essere illegittimo sarà seguito da provvedimento di reintegra ( art 18 n 4 novellato ).

In modo più significativo, è stato evidenziato come la tutela reintegratoria ha quale presupposto " l'abuso consapevole del potere disciplinare che induce a ritenere della consapevolezza da parte datoriale della illegittimità del provvedimento espulsivo, che consegue dalla insussistenza del fatto contestato ovvero dalla evidente riconducibilità del fatto contestato; aprire tale argomentazione all'analogia, produrrebbe effetti in palese contrasto con i principi espressi dal legislatore in tema di prevedibilità delle conseguenze circa i comportamenti tenuti dalle parti del rapporto " (17.1)

Ancora, in relazione ad una potenziale interpretazione estensiva della norma collettiva, è bene precisare che questa, come affermato dalla corte di legittimità con sentenza 9560/2017, è possibile " solo ove risulti l'inadeguatezza per difetto dell'espressione letterale adottata dalle parti rispetto alla loro volontà " che si traduce in un contenuto carente in relazione al proposito .

Nei fatti, viene richiesta una interpretazione rigorosa in quanto si tratta di interpretare una norma che prevede una eccezione ( reintegra ) alla regola generale rappresentata dalla tutela indennitaria. La giurisprudenza formatasi a tal proposito è contraria all'ampliamento della indicazione della caustica in quanto così facendo si contravverrebbe al principio in base al quale la norma prevede come tutela ordinaria quella indennitaria.

Alle decisioni di cui sopra, sono seguite varie sentenze conformi che hanno sempre ribadito la eccezionalità del ricorso alla tutela reale ( ex art 18 comma novellato dalla L 92/2012 ) ritenendo che il licenziamento illegittimo sarà da assoggettare alla tutela reintegratoria accanto a quella indennitaria solo nelle ipotesi in cui il fatto in contestazione sia direttamente riconducibile a fonte negoziale vincolante per parte datoriale che "tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa ".

Nei fatti, è stato precisato che l'ingresso alla tutela reale, alla luce delle modifiche apportate dalla L 92/2012 all'art 18, è condizionato ad una "valutazione di proporzionalità tra la sanzione conservativa e fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva" nel mentre, in tutte le ipotesi in cui il ccnl rimette al giudice l'esame della proporzione, al lavoratore spetta solo la tutela indennitaria ex art 18 comma 5.

A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità intervenuta successivamente ha escluso il ravvisarsi ipotesi di disparità di trattamento precisando in quanto si è trattata di libera scelta del legislatore di valorizzare l'autonomia collettiva.

Con la introduzione della L 92, la valutazione della importanza dell'inadempimento opera solo al fine di valutare la legittimità dello stesso senza avere alcuna conseguenza in relazione alla tutela da applicare.

Quando la gravità è tale da non giustificare il licenziamento sono previste forme di tutela diverse a seconda se gli inadempimenti siano stati tipizzati o meno dalla norma e vengono punite con sanzioni di natura conservativa.

Nei fatti, è stata prevista una graduazione in base alla quale è possibile dare ingresso alla reintegra solo nelle ipotesi in cui la illegittimità del recesso è evidente per cui è applicabile provvedimento conservativo; diversamente, in tutte le ipotesi in cui si avrà modo di rilevare una sproporzione tra la sanzione e la condotta non tipizzata, il giudicante, ritenuto cessato il rapporto, dovrà applicare la tutela indennitaria forte. In queste ipotesi, al magistrato procedente viene richiesto un giudizio più completo e articolato rispetto al periodo ante L 92: accertare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo di recesso e, nell'ipotesi in cui viene esclusa la presenza deve essere accertato anche il " grado di divergenza tra la condotta del datore dal modello legale e contrattuale legittimante " ( cfr Cass n 13178/2017 e 32500/18).

In buona sostanza, si è rimarcato il concetto in base al quale il datore non può comminare un licenziamento disciplinare laddove questa sia una sanzione più grave di quella prevista dal ccnl in relazione a determinata infrazione. Si evidenzia come le norme sul concetto di giusta causa e giustificato motivo oggettivo e sulla proporzionalità tra l'inadempimento e sanzione sono derogabili dal giudice, il quale ha potere di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare anche alla stregua di quanto previsto dall'art 30 comma 3 L 183/2010 che espressamente ha previsto di valutare la tipizzazione delle giusta causa e giustificato motivo data dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nei contratti collettivi ovvero nei contratti individuali di lavoro, laddove stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione 8 CFR DLGS 276/2003 TI viii) .

Analogamente, sempre al Giudice è demandata la interpretazione della fonte negoziale e quindi di " verificare la sussumibilità del fatto contestato alla previsione collettiva ". Non è raro verificare la scarsa definizione nella normativa collettiva di condotte rilevanti sotto il profilo disciplinare; in tali ipotesi compete al giudice di svolgere "quell'attività integrativa del precetto normativo" al fine di individuare la tutela applicabile.

In merito, la Corte Costituzionale ha espressamente ribadito che il legislatore, "nell'apprestare le garanzie necessarie a tutelare la persona del lavoratore …. È vincolato al rispetto dei principi di eguaglianza e ragionevolezza" ; nel contempo, non ha mancato di sottolineare le rilevanti implicazioni tra una " più incisiva tutela reintegratori o una meramente indennitaria" .

Per quanto attiene le sanzioni di natura conservativa, si è susseguita una giurisprudenza costante nel ritenere vincolanti le disposizioni contrattuali in quanto rappresentative di condizione di maggior favore nei confronti del lavoratore così come disposto anche dalll'art.12 l 604/66 che vieta al datore di licenziare il lavoratore che si sia reso colpevole di inadempimenti che in sede collettiva sono stati ritenuti punibili con sanzione conservativa ( cfr Cassa 8621 e 14811/2020 ).

Atteso che, non sempre e non tutte le normative collettive sono esaustive e dettagliate nel descrivere i comportamenti idonei ad integrare ipotesi di sanzione di natura conservativa, si è ritenuto che tale disciplina non può rappresentare l'elemento in base al quale poter operare la divisione tra le tutele applicabili in ogni ipotesi in cui sia stata accertata la illegittimità del recesso.

Di conseguenza, nelle ipotesi in cui nella contrattazione collettiva vi siano solo delle formule generali e non la tipizzazione di condotte suscettibili di sanzione conservativa, non si esclude la volontà delle parti sociali di non far rientrare tali fatti tra quelli in cui si applicano sanzioni più lievi del licenziamento. Ad ogni buon conto viene in soccorso la lettura del quarto comma dell'art 18 per comprendere come lo stesso, nel prevedere che nelle ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa " … perché il fatto rientra tra quelli punibili con sanzione conservativa …." consente di ritenere pienamente legittima l'operazione di interpretazione della norma.

Difatti, in ogni ipotesi in cui " la contrattazione collettiva non contenga clausole generali o elastiche di apertura o di chiusura, è il giudice che dovrà riempirle di contenuto ".

Questo criterio interpretativo dei commi 4 e 5 dell'art 18 non è teso a dare contezza al datore di lavoro circa l'eventuale provvedimento espulsivo che si accinge a comminare ma rappresenta solo il bilanciamento fra contrapposti interessi.

In tale senso la Corte Costituzionale, intervenuta sul punto con provvedimento n.59/2021 punto 8 e n 194/18 punto 9.2 e 303/2011, nell'evidenziare come il provvedimento di reintegra non rappresenta "l'unico paradigma attuativo " dei principi costituzionali come sanciti dagli artt. 4 e 35, ha delimitato l'ambito applicativo della reintegra prevedendo che il legislatore, nell'esercizio del suo potere, " .. nell'apprestare le garanzie necessarie a tutelare la persona del lavoratore….. è vincolato al rispetto dei principi di uguaglianza e ragionevolezza".

Nel rendere tali affermazioni non ha mancato di sottolineare le implicazioni connesse alla scelta fra i due criteri di tutela (reintegratoria o indennitaria) e quanto sia irragionevole ricondurre tale scelta a fattori contingenti e non già al disvalore tra le tutele ovvero alla differenziazione esistente tra le due forme di tutela.

Ancora, è opportuno rilevare come la tipizzazione di alcune condotte non è stata individuata dalle parti sociali in sede contrattuale in ragione della differenziazione del comma 4 dell'art 18 che, nel prevedere quale condizione di applicabilità, che il fatto oggetto di contestazione rientri tra le condotte punibili con sanzione conservativa, "non ha privato il giudice di tutti gli strumenti che la legge gli accorda per procedere alla sussunzione del fatto in concreo accertato nella fattispecie astratta prevista dalla norma collettiva " .

Nei fatti, così argomentando, si può concludere affermando che al giudice non è sottratta la possibilità di esercitare la propria funzione così come al datore non è dato conoscere in via preventiva le conseguenze di un (abu)uso del potere disciplinare.

Nel contempo il giudice, nell'esercizio della sua funzione, può " sussumere il fatto concreto nella fattispecie astratta della norma collettiva può riempirla di contenuto ( l'espressione elastica) e quindi attribuendole un significato".

Analoga considerazione può essere estesa al datore di lavoro nel momento in cui deve comminare una sanzione disciplinare: nel momento in cui deve prendere in esame un fatto concreto da sanzionare deve sussumerlo in una fattispecie astratta contenuta nel codice disciplinare o nella contrattazione collettiva e, riempendola di contenuto, conferisce significato socialmente condiviso "all'espressione elastica " che è caratteristica peculiare della norma.

La Corte, nella parte conclusiva della sentenza, espressamente ribadisce che in tema di licenziamento disciplinare, onde individuare la tutela da applicare tra quelle previste dall'art 18 L 300 novellata " il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore e giudizialmente accertata nella previsione contrattuale anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche ".

Alla stregua di quanto sopra dedotto, la Corte di legittimità, ritenendo che la Corte di merito, sul dichiarato presupposto della difficoltà nel ricondurre i fatti in contestazione ad ipotesi di lieve irregolarità nell'adempimento della prestazione lavorativa senza necessaria diligenza, si è di fatto sottratta al compito di verificare se le condotte contestate al lavoratore potessero o meno integrare ipotesi di irregolarità nell'adempimento ….. ha accolto il ricorso interposto dal lavoratore e rigettato il ricorso incidentale; di conseguenza, ha disposto la trasmissione della sentenza cassata alla Corte territoriale per l'applicazione dei principi esposti in sentenza e per provvedere anche in ordine alle spese per il procedimento di legittimità.

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*A cura di Bonaventura Franchino - Avvocato cassazionista, Giornalista, CTS School University e Domenico Franchino - dr. praticante avvocato, giornalista pubblicista

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