Civile

Alcuni buoni motivi per non "semplificare" il Patent box

Come noto, l'art. 6 del d.l. n. 146/2021 reca la "semplificazione della disciplina del patent box", ma purtroppo trattasi di abrogazione tout court dell'agevolazione ("PB"); su tale questione è intervenuta di recente anche l'Assonime - con la circolare n. 30 del 29 ottobre 2021 - nel delineare (soltanto) talune criticità derivanti dall'eliminazione del beneficio per effetto del decimo comma del citato art. 6.

di Edoardo Belli Contarini*

Come noto, l'art. 6 del d.l. n. 146/2021 reca la "semplificazione della disciplina del patent box", ma purtroppo trattasi di abrogazione tout court dell'agevolazione ("PB"); su tale questione è intervenuta di recente anche l'Assonime - con la circolare n. 30 del 29 ottobre 2021 - nel delineare (soltanto) talune criticità derivanti dall'eliminazione del beneficio per effetto del decimo comma del citato art. 6.

Invero, tale norma, per un verso, risulta in contrasto con il principio di irretroattività delle norme tributare sancito dall'art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente (impattando sugli esercizi 2020-2021), e, per altro verso, appare lacunosa in ordine al regime transitorio.

A ben vedere, al di là delle buone intenzioni palesate nella relazione tecnica al decreto – i.e., una serie di benefici per le imprese, in termini di semplificazione, certezza e celerità del nuovo meccanismo di applicazione, che presenterebbe anche inferiori rischi di potenziali contestazioni erariali, talchè all'abolizione del PB si sostituisce una "super-deduzione" del 90% dei costi di R&S – l'art. 6 porta con sé ben altri e più dirompenti effetti negativi.

Anzitutto, si tradisce il principio di affidamento, considerato che l'abrogazione del PB impatta sulla pianificazione, gli investimenti economici e finanziari effettuati a suo tempo dalle imprese in relazione agli IP, per i quali, tra l'altro, con l'introduzione dello stesso PB, si intendeva agevolarne il rientro nel nostro Paese. E tale improvviso e imprevisto "cambio di rotta" non potrà che disaffezionare - anche - gli investitori esteri, i quali, come è ovvio, confidano in un framework normativo stabile, che consenta loro di pianificare l'allocazione delle risorse su progetti e iniziative imprenditoriali di portata pluriennale.

Viene snaturato – tutto da verificare se con riflessi appealing per le imprese – un forte stimolo all'innovazione, trasformando un meccanismo che detassa(va) il reddito d'impresa attribuibile agli IP in uno strumento che premia l'attività di R&S in relazione agli stessi intangibles, con una "super-deduzione", cioè con una maggiorazione del 90% dei relativi costi; in tal modo, però, verosimilmente, non viene più beneficiata l'impresa che ottiene dei risultati positivi, ma quella che spende di più, a prescindere dalla performance in concreto realizzata.

Nella medesima prospettiva, si introduce un beneficio fiscale che appare selettivo e discriminatorio, poiché la "maggiorazione" dei costi R&S del 90% premia le imprese di più grandi dimensioni, cioè quelle che sono dotate di cospicui capitali da impiegare in attività di R&S; tutto ciò a svantaggio quindi delle PMI, che in modo trasversale innovano in diversi settori, implementando gli IP con esborsi contenuti. Senza contare poi che, in base ai dati ISTAT, la media nazionale dei costi sostenuti dalle medesime PMI innovative in R&S si attesta soltanto all'incirca sull'1% dei ricavi.

Come accennato, viene abrogata, in modo inatteso, un'agevolazione che incentiva(va) (anche) le imprese non residenti che (ri)allocavano in Italia gli IP e quindi risultano ostacolati gli investimenti provenienti (pure) dagli altri Paesi dell'Unione Europea. In senso diametralmente opposto, in controtendenza rispetto alle finalità proprie del PB - cfr. ad es. circ. AdE n. 11/E del 7 aprile 2016 - viene incentivato lo "spostamento" degli asset immateriali all'estero e il trasferimento della sede delle imprese verso giurisdizione di altri Stati, che invece tuttora contemplano il regime PB.

Dunque, in modo repentino e poco razionale, viene azzerata una misura incentivante ormai sperimentata e proprio di recente rafforzata e (per davvero) "semplificata" - per effetto dell'art. 4 del d.l. n. 34/2019, sui vedasi la circolare dell' AdE n. 28 del 29 ottobre 2020, ove i "chiarimenti sul nuovo regime di autoliquidazione" – a seguito della facoltà concessa ai contribuenti di determinare in maniera autonoma, senza ruling e con penalty protection, il beneficio fiscale, da indicare direttamente in dichiarazione, purché in presenza del set informativo "idoneo" (delineato dal recente decreto di attuazione del 30 luglio n. 2019, n. 658445). E, ovviamente, tale eliminazione incide di riflesso anche sul versante del connesso e altrettanto collaudato regime di penalty protection, di converso adesso tutto da rielaborare, in relazione al "PB semplificato" (e con riguardo agli opinabili costi di R&S "innovativa"), in attesa dell'apposito decreto di attuazione da emanare dal direttore dell'Agenzia.

Come sottolineato anche da Assonime, viene cancellato anche il previgente "cumulo " tra detassazione PB e utilizzo in compensazione del credito di imposta R&S, che invece sino ad oggi convivevano tra loro; ragion per cui è lecito dubitare persino della convenienza, per l'impresa, piuttosto che per il gettito erariale, del "nuovo" PB, rispetto a quello abrogato.

Inoltre, come già rilevato, la "semplificazione" opera in parte con effetto retroattivo , in violazione dello "Statuto dei diritti dei contribuenti", escludendo dal beneficio quelle imprese che confidavano sul regime PB ("autoliquidato") per il periodo d'imposta 2020, tutt'ora "aperto", ed in relazione al quale pende tuttora il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. E' pur vero che, come "misura compensativa", a beneficio dei contribuenti, si amplia il perimetro dell'agevolazione, considerato che si reintroducono i marchi d'impresa fra gli asset agevolabili, invero espunti a suo tempo per effetto del d.l. n. 50/2017, in coerenza con le indicazioni OCSE (BEPS Action 5); ma generalmente i costi relativi ai brand risultano molto spesso di modesto ammontare, vieppiù se confrontati con i redditi che ne derivano.


Aggiungasi che la disciplina transitoria ovvero delle opzioni tra "vecchio" e "nuovo" PB", con modalità irrevocabile e pluriennale, in quanto lacunosa, non consente all'impresa di effettuare una scelta ponderata neppure pro futuro – il tax planning per il passato, salvo ripensamenti dell'ultim'ora, ormai risulta già vanificato - sulla convenienza tra i diversi e interconnessi regimi (i.e., utilizzo in compensazione del credito di imposta R&S, a carattere temporaneo, previgente PB, maggiorazione del 90% dei costi R%S afferenti gli IP, a carattere pluriennale, cioè per 5 anni).

In conclusione, traducendo tali criticità del "PB semplificato" in disposizioni di rango costituzionale che appaiono trasgredite, anche se paradossalmente con riferimento ad una norma di abrogazione, in estrema sintesi, detta "semplificazione" non sembra affatto in linea con gli articoli 3, 9, 10, 41, 97, 117 Cost., nonché con gli articoli 2, 3, 10 della legge n. 212/2000.

E' ben vero che, come noto, il legislatore ha un'ampia discrezionalità anche nel selezionare, adottare e modificare le agevolazioni fiscali, ma pur sempre con il limite della "ragionevolezza". Tuttavia nella specie detto limite sembra travalicato e neppure salvaguardato in ragione del "sovraordinato" principio del "pareggio di bilancio", enunciato sub art. 81 Cost.

In effetti, come si desume sia dalle considerazioni esposte, sia dai calcoli contenuti nella relazione tecnica al decreto legge n. 146/2021, all'evidenza non è così. Sarebbe auspicabile dunque che quanto prima, cioè in vista della imminente scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi (invero, il termine di conversione in legge del medesimo decreto scade troppo avanti), paradossalmente, si ponga rimedio alla "semplificazione".

a cura di Edoardo Belli Contarini, Fantozzi & Associati



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