Penale

Contro gli effetti distorsivi la misura della pena va legata al livello dell’offesa

L'idea che sia sufficiente gonfiare l'area del penalmente rilevante per ottenere l'automatico effetto del decremento dei casi non ha il pregio dell'originalità, ma si basa sulla stella polare della prevenzione generale come pura deterrenza

di Andrea R. Castaldo

Più reati, più sanzioni, minore criminalità. Questa way of life, generosamente definibile come linea di politica criminale, ha registrato un dominio incontrastato e persino monotono negli ultimi decenni. Soprattutto nel diritto penale economico.

L'idea che sia sufficiente gonfiare l'area del penalmente rilevante per ottenere l'automatico effetto del decremento dei casi non ha il pregio dell'originalità, ma si basa sulla stella polare della prevenzione generale come pura deterrenza. Se la minaccia è seria (e la pena severa e applicata), non si delinquerà. Concetto espresso con la consueta chiarezza da Beccaria e teorizzato, tra gli altri, da Feuerbach. Ma è davvero così? Prima di rispondere è necessario ricordare come ogni riforma si è concentrata sul profilo quantitativo (creazione di figure delittuose) o qualitativo (inasprimento delle pene). I reati economici sono prova lampante, ma alla regola non sfuggono settori quali l'ambiente o i beni culturali, solo per citarne alcuni.

Il trend produce un duplice effetto distorsivo. Il primo si potrebbe definire di reazione avversa, prendendo a prestito le controindicazioni dei farmaci. Graduabile, secondo una scala decrescente, in ostilità, disaffezione e indifferenza. Se l'ostilità resta un'ipotesi eccezionale, di scuola, i restanti sono frequenti. I reati tributari offrono una calzante testimonianza. Complice il caotico sistema di riferimento, la poca chiarezza della legislazione, le incertezze della prassi, la diffusa convinzione che la pretesa erariale, ritenuta eccessiva, non trovi giustificazione nel servizio che lo Stato dovrebbe garantire, generano scarsa compliance e conseguente corposa trasgressione. E anche il controllo per la sanzione da irrogare si affievolisce, proprio per la non credibilità della proibizione. L'uso delle cinture di sicurezza è obbligatorio per i passeggeri posteriori. Ma nessuno rispetta la prescrizione. E la sanzione amministrativa prevista dal codice della strada resta lettera morta, nel generale disinteresse.

Il secondo non è meno preoccupante e riguarda la disomogeneità. La politica dei picchi elevati di pena, introdotta con interventi random, produce infatti curiose anomalie ed esiti paradossali. L'abusivismo finanziario è punito da uno a otto anni, il sequestro di persona da sei mesi a otto anni; la pena massima è identica, la minima addirittura superiore nel primo caso. L'insider trading con la pena da due a 12 anni più la multa per l'insider primario e da un anno e sei mesi a dieci anni più la multa per l'insider secondario. Identica pena (dodici anni) per la violenza sessuale. La tutela del mercato vale dunque quanto quella della persona nella sua sfera di inviolabilità fisio-psichica. Per riconoscere gli effetti distorsivi di tale surreale stato dell'arte è fondamentale comprendere come la misura della pena vada ancorata al livello dell'offesa, secondo un rapporto di proporzionalità diretta. A sua volta l'offesa è diretta a beni giuridici meritevoli di tutela i quali, nell'interpretazione corrente vanno rintracciati nella Carta costituzionale. Ecco perché la scala di valori consente una razionalità del sistema, che riflette nella misura del trattamento sanzionatorio la gravità della lesione, fungendo da orientamento culturale. Con un'ulteriore correzione, che tenga conto del significato personale rivestito per la vittima dell'aggressione subita.

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