Penale

Abuso d'ufficio: è abolitio criminis per le condotte che violano generici obblighi comportamentali

La modifica introdotta dall'articolo 23 del Dl 76/2020, convertito dalla legge 120/2022 hai ristretto l'ambito di applicazione dell'articolo 323 del Cp

di Aldo Natalini

Abuso d'ufficio: la violazione di generici obblighi comportamentali ex articolo 13 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (Dpr 3/1957) o, comunque, dei principi di imparzialità e buon andamento della Pa ex articolo 97 della Costituzione non costituisce più reato. La modifica introdotta dall'articolo 23 del Dl 76/2020, convertito dalla legge 120/2022 ha infatti ristretto l'ambito di applicazione dell'articolo 323 del Cp, con conseguente abolitio criminis maturata in relazione alle condotte antecedenti alla riforma realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità.

Così la sentenza n. 23794/2022, depositata lo scorso 20 giugno, con cui la Sesta sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio perché il fatto non sussiste la condanna per abuso d'ufficio, in concorso, pronunciata a carico di due dipendenti comunali a quali, nell'ambito di un procedimento relativo a un piano di lottizzazione comunale, si contestava la violazione dell'articolo 141 del regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici (Dpr 207/2010), facenti divieto di affidare incarichi di collaudo delle opere a coloro che hanno svolto attività di progettazione, vigilanza o direzione sul contratto da collaudare.

Nella specie, uno dei due imputati – in forza della determinazione dirigenziale adottata dal Rup, computato intraneo – aveva riscosso il compenso (di circa 4.200 euro) per l'espletata attività di collaudatore nonostante, quale responsabile dell'ufficio tecnico comunale, avesse partecipato attivamente all'iter autorizzativo sia per la validazione del progetto e per la stipula della convenzione di lottizzazione, sia per il rilascio del permesso a costruire relativo alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.

Il dictum: irrilevante la violazione di norme generiche di principio
Secondo i Supremi giudici, ferma l'applicazione – all'epoca della stipula del contratto di lottizzazione e del rilascio del permesso – del Dlgs 152/2008 (modificativo dell'articolo 122, comma 8, del codice degli appalti) che imponeva per l'affidamento delle opere di urbanizzazione, anche sottosoglia, il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, ha sbagliato la Corte d'appello laddove, nella sentenza di condanna, aveva valorizzato la violazione da parte dell'intraneo dell'articolo 13 del Dpr 3/1957 (norme di comportamento del pubblico dipendente) per sostenere che il pubblico ufficiale firmatario della determina in favore del collaudatore finale, destinatario dell'atto abusivo, aveva trasgredito il divieto di dar seguito ad un atto illegittimo (per violazione del citato dell'articolo 141 del Dpr 207/2010).
Questa argomentazione – ammoniscono i Supremi giudici – è errata per la fondamentale ragione che la violazione della norma che impone al pubblico dipendente statale di prestare la sua opera "in conformità delle leggi" non può [più] integrare la violazione di legge sanzionata dal novellato articolo 323 del Cp.
Come già affermato da recenti arresti di legittimità conseguenti alla riforma del 2020 – ed oggi ribadito dalla Cassazione – la modifica introdotta con l'articolo 23 del Dl 76/2020, convertito dalla legge 120/2022 ha infatti circoscritto la rilevanza penale delle condotte di abuso di ufficio a quelle tenute "in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità", con conseguente abolitio criminis (articolo 2 del Codice penale) maturata in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali ed astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità (Cassazione, sezione VI penale, n. 442/2020, dep. 2021, Ced 280296; conforme Id., n. 13136/2022, Ced 282945; nel senso che la novella non riguarda le condotte realizzate mediante violazione dell'obbligo di astensione, vedi Id., n. 7007/2021, Ced 281158).

Piccola storia giurisprudenziale dell'abuso d'ufficio
Già all'indomani della riforma del 1997 la selezione delle condotte punibili operata tramite il requisito della «violazione di legge o di regolamento» aveva trovato alcune prime decisioni della giurisprudenza di vertice favorevoli ad una lettura restrittiva che escludeva la possibilità di assumere a parametro della condotta (anche) la violazione per saltum di principi costituzionali generalissimi ovvero le violazioni indirette alla legge. A partire dall'antesignana sentenza Tosches (Cassazione, sezione II penale, n. 877/1997, Ced 210224), la Cassazione pose i primi "paletti" interpretativi, esigendo che «l'agente violi leggi e regolamenti che di questi atti abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico, non essendo sufficiente un qualunque contenuto materialmente normativo della disposizione trasgredita» (Id., n. 9862/2009, Ced 243532; Id., n. 27453/2011, Ced 250422; Id. n. 25180/2012, Ced 253118). Soprattutto la Corte regolatrice affermò - nel primo decennio post riforma 1997 - l'irrilevanza delle violazioni di norme aventi carattere meramente procedurale, siccome destinate a svolgere la loro funzione solo all'interno del procedimento, senza incidere sulla fase decisoria di composizione del conflitto di interessi materiali, oggetto della valutazione amministrativa (Id., n. 5488/1999, Ced 213918; Id., n. 9961/1999, Ced 214180; Id. n. 34049/2003, Ced 226748; Id., n. 35108/2003, Ced 226708; Id., n. 18149/2005, Ced 231341) e l'irrilevanza delle violazioni di norme generali di principio o genericamente strumentali alla regolarità dell'azione amministrativa – come quella contenuta nell'articolo 97 della Costituzione (principio di imparzialità e di buon andamento), avente carattere organizzativo e meramente programmatico – non è idonea a configurare la violazione di legge rilevante ai fini dell'integrazione del novellato delitto di abuso d'ufficio (sezione VI penale, n. 35108/2003, Ced 226706; Id., n. 12769/2005, Ced 233730).
Ma dopo il primo decennio di applicazione "restrittiva" della novella del 1997, ha preso piede un filone giurisprudenziale animato dalla finalità di più incisiva repressione degli abusi all'interno della pubblica amministrazione rimasto in auge praticamente fino alla riforma del 2020.
Ripudiandosi il "falso dogma" dell'insindacabilità della discrezionalità amministrativa ed il criterio dell'interpretazione soggettiva, la giurisprudenza di legittimità ha finito col riproporre - in punto di condotta commissiva - un'interpretazione "largheggiante" della nota comportamentale tipica attribuendo al principio di imparzialità ex articolo 97 della Costituzione una valenza (anche) prescrittiva dalla quale ricavare vere e proprie regole di comportamento d'immediata applicazione (e sanzionabilità) ex articolo 323 del Cp (ad es. Cassazione, sezione VI penale, n. 27453/2011, Ced 250422; sezione II penale, n. 35048/2008, Ced 243183, che si è ricollegata alla sentenza costituzionale n. 1/1956 secondo cui le disposizioni della Carta fondamentale possono avere anche contenuti immediatamente precettivi e non esclusivamente programmatici). La sola inosservanza del principio costituzionale di cui all'articolo 97 della Costituzione ben poteva integrare - secondo questo divisamento - il requisito della violazione di norme di legge, per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi ed impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione (sezione II penale, n. 46096/2015, Ced 265464; sezione VI penale, n. 27916/2015, Ced 263933; Id., n. 38357/2014; Id., n. 37373/2014, Ced 261748; Id., n. 34086/2013, Ced 257036; Id., n. 12370/2013, Ced 256003; Id., n. 41215/2012, Ced 253804; Id., n. 25162/2008, Ced 239892; vedi già Id., n. 31895/2002, Ced 222569, ha ritenuto anche il comma 3 dello stesso articolo 97 della Costituzione idoneo a costituire il presupposto normativo dell'abuso punito dall'articolo 323 del Cp nella parte in cui impone che l'accesso al pubblico impiego avvenga per mezzo di concorso).
L'intervento novellistico del 2020 – come "recepito", da ultimo, dalla sentenza in commento (e dalle conformi Sezione VI n. 442/2020, citata; Id., n. 13136/2022, citata) – laddove circoscrive la rilevanza penale delle sole regole di condotta «dalle quali non residuino margini di discrezionalità» "espunge" dal tipo vigente - e, quindi, dal diritto "vivente" - proprio quelle ipotesi di eccesso di potere (sub specie di sviamento) (già) "sanzionate" dalla giurisprudenza di legittimità quando nei provvedimenti discrezionali il potere fosse esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito.

In questi primi mesi di applicazione della riforma non è mancata, nondimeno, qualche "resistenza" giurisprudenziale che sembra aver ridimensionato la portata abolitiva della novella del 2020.
In senso parzialmente contrario al dictum in commento si segnala un recente arresto – di altra sezione di Piazza Cavour – secondo cui non si sarebbe realizzata l'abolitio criminis delle condotte realizzate mediante violazione dell'articolo 97 della Costituzione "nella parte in cui è vietata l'attuazione di intenti discriminatori o ritorsivi, quale connotato dell'imparzialità nell'esercizio delle pubbliche funzioni, trattandosi di principio costituzionale di portata immediatamente precettiva, che non necessita di alcun adattamento o specificazione; nel senso che la novella del 2020 non ha valenza di principio generale estensibile anche alle diverse fattispecie di concussione, corruzione ed induzione indebita, trovando detti reati nell'ambito della discrezionalità il proprio terreno di elezione, in ragione della maggior ampiezza del raggio dazione riconosciuto al funzionario dalle norme di settore (Sezione I, n. 2080/2022, Ced 282720: in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di rigetto in executivis della richiesta di revoca della sentenza di condanna di un sindaco per il mancato rinnovo dell'incarico di un funzionario comunale, per fini ritorsivi e discriminatori).
Inoltre è stato altresì precisato che è tutt'ora configurabile il delitto di abuso di ufficio, come novellato nel 2020, "non solo quando la violazione di una specifica regola di condotta è connessa all'esercizio di un potere previsto già in origine come vincolato dal legislatore, ma anche nei casi in cui l'inosservanza della regola di condotta sia collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto in cui si sostanzia l'abuso di ufficio" (sezione VI penale, n. 8057/2021, Ced 280965; vedi altresì Id., n. 32240/2021, Ced 281843, secondo cui, anche a seguito della novella del 2020 la violazione di norme contenute in regolamenti può rilevare ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio "nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale").

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