Penale

Riforma dell’ergastolo ostativo, Procure antimafia centrali

Procura nazionale antimafia e Procure distrettuali hanno concordato un protocollo per rendere più agevole e uniforme la raccolta delle non poche informazioni che dovranno poi essere messe a disposizione della magistratura di sorveglianza

di Giovanni Negri

Sull’applicazione della riforma dell’ergastolo ostativo, nei termini e contenuti delineati dal Governo con il decreto legge n. 162 del 2022, si muovono ora Procura nazionale antimafia e Procure distrettuali che hanno concordato un protocollo per rendere più agevole e uniforme la raccolta delle non poche informazioni che dovranno poi essere messe a disposizione della magistratura di sorveglianza.

A monte c’è l’intervento, reso necessario dall’avvicinarsi del pronunciamento della Corte costituzionale, che, nell’autunno scorso ha condotto all’apertura nella concessione dei benefici penitenziari anche per i detenuti non collaboranti, seppure condannati per gravi reati. Un esito controverso soprattutto per l’ampio e impervio materiale che il detenuto deve produrre per corroborare la richiesta di accesso ai benefici e che vede oltretutto la platea degli interessati divisa in due segmenti, sulla base della natura dei reati oggetto della condanna.

Se infatti la sanzione è conseguenza di delitti collegati alla criminalità organizzata andranno prodotti elementi in grado di dimostrare sia l’assenza dell’attualità di collegamenti con le organizzazioni criminali sia il pericolo che questi legami possano essere rinnovati. Per gli altri reati “basterà” provare l’assenza di attualità.

Ai giudici di sorveglianza il compito di valutare il materiale prodotto dalle persone interessate. Integrandolo però con altri elementi, visto che la nuova disciplina prevede che «anche al fine di verificare la fondatezza degli elementi offerti dall’istante» il giudice deve acquisire «dettagliate informazioni in merito al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato è stato consumato, al profilo criminale del detenuto o dell’internato e alla sua posizione all’interno dell’associazione, alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione».

Vasto programma, che ha reso necessari attenzione e coordinamento da parte delle procure antimafia per formulare i relativi pareri. Di qui il protocollo che delinea i rispettivi ambiti d’intervento sulla base della natura delle informazioni che andranno raccolte. Così, toccherà alla Procura nazionale la richiesta all’amministrazione penitenziaria (Dap) dei dati, compresa la posizione giuridica, relativi ai detenuti interessati e alla Guardia di Finanza il tempestivo svolgimento degli accertamenti patrimoniali nei confronti del detenuto o internato, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone a lui collegate risultanti dai dati anagrafici e dalle informative della GdF stessa.

Alle Procure distrettuali, poi, con la polizia giudiziaria, l’acquisizione dei dati sull’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria derivanti dal reato, la verifica di eventuali disponibilità economiche segnale dell’attualità dei collegamenti criminosi del detenuto e gli accertamenti sulle circostanze ambientali e personali sintomatiche del pericolo di ripristino dei collegamenti con i sodalizi di riferimento.

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