Comunitario e Internazionale

Contraffazione di alta moda: Amazon non è responsabile

Le conclusioni dell’Avvocato generale sulla vendita di false scarpe Louboutin. Ma i nuovi regolamenti Ue muovono in altra direzione

di Alessandro Galimberti

L’intermediario digitale non deve essere considerato responsabile per la vendita di prodotti contraffatti nel proprio marketplace se non ha creato le condizioni perché il cliente creda di acquistare da lui e non invece dal contraffattore. Sono le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue nella doppia causa intentata da Christian Louboutin – lo stilista francese delle note décolleté a suola rossa – ad Amazon, considerata (cor)responsabile della messa in commercio digitale e non autorizzata delle famose quanto ambìte scarpe.

Il tema affrontato dall’Avvocato generale Maciej Szpunar, per quanto non vincolante nella decisione futura della Corte, è particolare per il ruolo del convenuto (Amazon), non è nuovo per l’approccio scelto del magistrato e comunque è alla vigilia di due regolamenti europei che potrebbero cambiare sensibilmente le regole del gioco.

Amazon ha infatti varie nature, almeno due: è un marketplace – e quindi un luogo di intermediazione tra venditore e acquirente – ma è anche un venditore di prodotti a proprio marchio. E giusto in questo spiraglio di potenziale ambiguità, agli occhi del compratore, si è mossa l’analisi del magistrato europeo, le cui conclusioni – per il caso specifico – sono che un navigatore mediamente preparato capisce di stare acquistando un prodotto “non Amazon”, ma solo intermediato da Amazon. Da qui l’esenzione di responsabilità per un intermediario che – almeno fino a prova contraria – non aveva consapevolezza di quanto stava accadendo, e per legge non ha neppure un dovere di vigilanza attiva su tutto ciò che avviene nel suo spazio virtuale.

Tuttavia questa applicazione canonica delle regole sul commercio elettronico in vigore da 20 anni, cioè la generale «non responsabilità» del fornitore dei servizi di rete, in particolare per i marketplace, sta vedendo da tempo qualche incrinatura. Due anni fa un giudice della Corte d’appello della California (Cal. Ct. App., 4th Dist., D075738 – Bolger vs Amazon.com Inc.) aveva ritenuto Amazon responsabile per un prodotto difettoso comprato da un utente (una batteria per laptop esplosa per surriscaldamento, con danni immaginabili). Secondo il giudice se il gestore di una piattaforma diventa «parte» della attività ne assume oneri e onori. Amazon.com sarebbe così a tutti gli effetti un elemento (fondamentale) del processo di vendita produttore-utente finale, gestendo in via esclusiva la comunicazione con il cliente, la messa a disposizione del prodotto, la logistica della consegna, il pagamento e la “garanzia dalla A alla Z”. Dunque il suo ruolo «implica un’autonoma responsabilità».

E proprio in questo nuovo approccio continentale di rendere internet uno spazio «trasparente e sicuro» si sta muovendo il regolatore europeo con il Digital Service Act e con il Digital Market Act, due regolamenti ormai prossimi all’entrata in vigore, dopo aver recentemente visto raggiungere anche l’accordo politico tra i 27.

La “perdita d’innocenza” degli intermediari digitali è chiaramente espressa nella norma del Dsa secondo cui se una piattaforma online consente ai consumatori di concludere contratti a distanza con operatori commerciali, la stessa deve preventivamente e obbligatoriamente raccogliere una serie di dati anagrafici/commerciali dell’impresa , e poi anche verificarne la verità. Altrimenti rischia di essere considerata “complice”.

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