Civile

Illegittime le campagne pubblicitarie "di riacquisizione del consenso"

Il consenso dell'interessato dev'essere "libero", qualsiasi azione di pressione o influenza inappropriata rende il consenso invalido con conseguente illegittimità del trattamento effettuato

di Giulia Maria Amato, Maria Pia Bochicchio*

Con l'ordinanza n. 11019 del 26 aprile 2021, la Corte di Cassazione ha statuito che la comunicazione telefonica volta ad acquisire il consenso degli utenti ad essere successivamente contattati per finalità promozionali costituisce essa stessa una "comunicazione commerciale" ex art. art. 7, comma 4 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. "Codice privacy").

In quanto tale, non può essere indirizzata agli utenti che abbiano in precedenza negato il consenso al trattamento dei propri dati a fini commerciali.

La vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte di una nota società di telecomunicazioni, del provvedimento inibitorio in data 22 giugno 2016, con il quale il Garante per la protezione dei dati personali ha vietato alla ricorrente la prosecuzione di una campagna pubblicitaria volta a contattare gli ex clienti, che si erano in precedenza opposti al trattamento dei propri dati a fini commerciali, per acquisirne nuovamente il consenso (c.d. "campagna di riacquisizione del consenso").

In particolare, l'authority ha ritenuto il trattamento così realizzato illegittimo ai sensi dell 'art. 130 Codice privacy , che, nella formulazione previgente, applicabile ratione temporis ai fatti di causa, consentiva le comunicazioni per finalità commerciali solo previa acquisizione del consenso informato dell'interessato.

Secondo la tesi difensiva sostenuta dalla società ricorrente, invece, la norma richiamata non sarebbe applicabile nel caso di una "campagna di riacquisizione del consenso", in quanto priva di finalità promozionali e quindi non riconducibile alla nozione di "comunicazione commerciale", accolta dagli articoli 130 e 7, comma 4, Codice privacy.

Tali argomentazioni sono state disattese dalla Suprema Corte che, nel confermare la sentenza di rigetto pronunciata dal giudice di prime cure, ha osservato che tra le "campagne di riacquisizione del consenso" e la finalità di marketing sussiste un'intrinseca inscindibilità, con la conseguenza che la chiamata telefonica finalizzata a riottenere il consenso revocato è senz'altro assimilabile ad una "comunicazione commerciale" ex articoli 130 e 7, comma 4, Codice privacy.

La finalità di una chiamata telefonica di tal genere, infatti, è pur sempre quella di effettuare delle proposte commerciali, a prescindere dal fatto che con la stessa si effettui o meno anche una vendita di beni e servizi. In particolare, si evidenzia che gli interessati possono mutare opinione rispetto al trattamento dei dati personali, revocando il dissenso già espresso, solo nell'ambito di iniziative che li vedano protagonisti (ad esempio contattando essi stessi il call center) e non a seguito di una sollecitazione da parte della compagnia telefonica.

Inoltre, la Corte puntualizza che, ai sensi dell'art. 11, comma 2, Codice privacy, sono inutilizzabili anche i dati relativi agli utenti che abbiano prestato il consenso dopo essere stati contattati dalla compagnia.

Il consenso ottenuto a seguito di un trattamento illecito, infatti, non può costituire la base legittimante di un ulteriore trattamento. Le argomentazioni svolte dalla Corte, pur riferendosi ad una vicenda precedente all'entrata in vigore delle modifiche apportare dal d.lgs. n. 101/2018 al Codice privacy, risultano attuali anche nel mutato contesto normativo.

Infatti, da un lato l'art. 130 del Codice della privacy, nella nuova formulazione, conferma la necessità del consenso quale base giuridica per i trattamenti di dati personali relativi alle comunicazioni commerciali; dall'altro, le disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 ribadiscono il concetto secondo cui il consenso dell'interessato dev'essere "libero", con la conseguenza che qualsiasi azione di pressione o influenza inappropriata sull'interessato (come una sollecitazione del tipo analizzato dall'ordinanza in commento), rende il consenso invalido con conseguente illegittimità del trattamento effettuato su tale base.

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*A cura dell'Avv. Giulia Maria Amato e dalla dott.ssa Maria Pia Bochicchio, studio Ristuccia Tufarelli & Partners


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