Lavoro

La timbratura "sfasata" rispetto all'inserimento a sistema determina un ingiustificato ampiamento dell'orario di lavoro

Per la Corte d’Appello di Milano il cosiddetto "orario di lavoro effettivo" è rilevante ai fini retributivi e contributivi

di Camilla Insardà

La sentenza del 2 marzo 2023 n. 195 della Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Milano approfondisce il tema della natura del cosiddetto “tempo lavoro”, rilevante ai fini retributivi e contributivi.

  La vicenda
Con tale pronuncia, i giudici del gravame hanno riformato la precedente decisione del Tribunale meneghino
, che aveva respinto il ricorso presentato dai dipendenti di una Spa, teso a dichiarare la nullità della clausola contrattuale che modificava i termini iniziali e finali della prestazione lavorativa, dalla classica “timbratura del cartellino” ai tornelli d’ingresso aziendale alla “timbratura in postazione” tramite l’inserimento delle proprie credenziali nei singoli sistemi informatici.

 

Le argomentazioni della Corte di appello
Sulla base delle argomentazioni che ci si accinge ad esporre, la Corte d’Appello di Milano, in veste del giudice del lavoro, ha disatteso l’interpretazione sostanzialmente restrittiva di “orario di lavoro” proposta dall’impugnata sentenza n. 1065/2022, reputandola contraria ai fondamentali principi dettati in materia e preferendo un’esegesi più ampia della nozione.

Il Collegio è quindi partito dalla normativa più risalente, ossia dal Rdl n. 692/1923, il cui articolo 3 mette chiaramente in evidenza le caratteristiche essenziali del lavoro effettivo, date dall’assiduità e dalla continuità della prestazione. Per attribuire rilievo (retributivo e contributivo) anche alle operazioni preliminari, la Cassazione ne ha evidenziato la necessaria propedeuticità all’attività principale e dunque la loro obbligatorietà.

Altri aspetti dell’organizzazione dell’orario lavorativo vengono altresì presi in considerazione dal D. Lgs. 66/2003, attuativo delle direttive 93/104/CE e 2003/88/CE. Detta normativa propone quella che la sentenza 195/2023 considera – giustamente – l’attuale nozione di orario di lavoro”. Tale più recente declinazione tiene conto sia del lavoro effettivo, come descritto dal citato art. 3 del R.D.L. 692/1923, sia della messa a disposizione del prestatore d’opera, intesa come presenza sul luogo di lavoro. Secondo l’interpretazione estensiva così formulata, l’orario di lavoro comprende “non solo l’attività lavorativa in senso stretto, ma anche le operazioni strettamente funzionali alla prestazione”.

Ecco, dunque, affiorare quella relazione funzionale tra le attività preparatorie e la prestazione lavorativa vera e propria, messa in evidenza dai ricorrenti/appellanti, che rende le prime rilevanti ai fini retributivi e contributivi, in quanto rese necessarie – e quindi indispensabili – dalla seconda.

Come osservato anche dalla Corte di Giustizia, l’obbligatoria presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro, con la conseguente messa a disposizione del datore di lavoro, diventa criterio di valutazione per accertare se una determinata fase si possa considerare “orario di lavoro effettivo” o meno. Sulla base di questo assunto, la giurisprudenza italiana ha fornito una particolare e approfondita interpretazione della Diligenza del prestatore di lavoro”, di cui all’art. 2014 c.c..

Innanzitutto, la norma pretende dal lavoratore l’applicazione della diligenza imposta dalla natura della prestazione, tenendo conto dell’interesse aziendale (e di quello nazionale). Il co. successivo, invece, richiede l’osservanza  delle direttive dell’imprenditore e dei collaboratori gerarchicamente superiori.

Esaminando la disposizione codicistica attraverso la lente “europea”, dunque, i giudici di legittimità hanno dedotto la possibilità di scindere il rapporto di lavoro in due fasi autonome e differenti: una propriamente detta “finale”, indirizzata all’immediata realizzazione degli obiettivi imprenditoriali, l’altra denominata “finale preparatoria”, comprensiva di tutte le operazioni funzionali all’esercizio dell’impresa.

Conformemente a quanto affermato dalla Cassazione, anche la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 195/2023, è giunta alla conclusione che, salvo prova contraria, la presenza fisica del lavoratore in azienda costituisca valida presunzione della sua disponibilità all’esecuzione delle direttive datoriali (ossia della sussistenza del potere di disposizione del datore di lavoro), pertanto rientri nel c.d. orario di lavoro effettivo, come tale rilevanti ai fini retributivi e contributivi.

Non sorprende, dunque, che nel caso di specie, il Collegio meneghino abbia contraddetto il Tribunale, riformandone la decisione in senso favorevole agli appellanti.

Secondo la ricostruzione logico-giuridica sopra esposta, le nuove modalità di registrazione del tempo lavorativo attuate dalla società, comportanti una prima timbratura del badge ai marcatori d’ingresso ed un secondo inserimento delle credenziali nei sistemi informatici alle singole postazioni, determinano un ingiustificato ampliamento dell’orario lavorativo, non retribuito e confliggente con i fondamentali principi che governano la materia giuslavoristica.

 

 

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