Penale

Errore giudiziario, nessun tetto al risarcimento: il danno va valutato a 360°

La Corte di cassazione, sentenza n. 16114 depositata oggi, ha accolto con rinvio il ricorso di un uomo che aveva perso tutto e si era ammalato dopo essere stato condannato ingiustamente per violenza sessuale

di Francesco Machina Grifeo

La fissazione di un tetto massimo non si attaglia al risarcimento del danno per l'errore giudiziario. Non siamo infatti nel terreno dell'ingiusta detenzione dove si può procedere con un calcolo aritmetico dei giorni in cui si è stati privati della libertà; nel caso della revisione del processo, con esito favorevole per il ricorrente, la valutazione va fatta a tutto tondo.

Lo dice l'articolo 643 del codice penale, laddove oltre a una "riparazione commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena o internamento" vi aggiunge "le conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna". Ma soprattutto lo chiarisce la Cassazione ammonendo che oltre al danno patrimoniale (per esempio da perdita di chance), va considerato anche il "danno biologico, quello morale e quello esistenziale".

La vicenda affrontata dalla IV Sezione penale, sentenza n. 16114 depositata oggi, è quantomai drammatica. Un uomo, responsabile della manutenzione di un albergo, viene prima accusato e poi condannato ingiustamente per violenza sessuale. Nel corso del processo le sue richieste di esame del Dna vanno tutte a vuoto. Finisce in carcere, viene licenziato e una volta uscito non trova più lavoro per l'eco avuta dalla vicenda. Perde la casa, svenduta a pochi soldi per risarcire la parte civile che nel frattempo l'aveva ipotecata. E poi si ammala, fisicamente e moralmente: depressione, insonnia, patologie locomotorie, cardiache, diabete ecc. Propone domanda di riparazione, ottiene però una somma insoddisfacente anche perché il giudice gli attribuisce la responsabilità di essersi attivato tardivamente per l'esame sui reperti biologici.

Allora si rivolge alla Cassazione che finalmente, dopo quasi 15 anni, gli dà ragione. "Ai fini della quantificazione della riparazione dell'errore giudiziario - spiega la Suprema corte - non può applicarsi il parametro risultante dal rapporto tra tempo di detenzione e quantum dell'indennizzo che inerisce alla riparazione per l'ingiusta detenzione", in quanto la relativa norma (art. 315, comma 2, cod. proc. pen.) ha carattere eccezionale e "la fissazione di un tetto massimo trova giustificazione solo con riferimento all'istituto di cui agli artt. 314 ss cod. proc. pen., nell'ottica del quale l'unico dato valutabile è la privazione della libertà personale, profilo caratterizzato dall'invariabilità mentre la pluralità e complessità dei dati da valutare nella prospettiva della riparazione dell'errore giudiziario, che deve tener conto di tutte le conseguenze familiari e personali, non è compatibile con un'analoga fissazione di un massimo liquidabile".

Occorrerà dunque fare riferimento, prosegue la decisione, "ai parametri relativi alla durata dell'eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari" derivanti dalla condanna, "includendo nell'area della risarcibilità in primo luogo il danno patrimoniale, nel quale è da ricomprendersi il danno da perdita di chance". Occorre poi risarcire il danno non patrimoniale e, nell'ambito di quest'ultimo, il danno biologico, quello morale e quello esistenziale, trattandosi di differenti e autonome categorie, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale.

Dunque, prosegue, "rientrano certamente nell'area della risarcibilità il danno biologico e il danno alla salute, che non devono necessariamente essere liquidati mediante applicazione dei criteri tabellari adottati dalla giurisprudenza civile, dovendosi ritenere che la natura non patrimoniale di questo tipo di danno consenta di ricorrere anche a criteri equitativi".

La Corte d'appello invece ha apoditticamente escluso che il rapporto lavorativo fosse terminato esclusivamente a causa della condanna. E riguardo l'incapacità a trovare un nuovo lavoro, non ha considerato la "risonanza mediatica della vicenda, anche in considerazione della natura del reato".

Inoltre, e qui la Corte fa un altro importante passaggio"la possibilità di far valere nei confronti della parte civile pretese restitutorie non elide la valutabilità in sede di riparazione dell'errore giudiziario delle conseguenze patrimoniali della vendita dell'immobile, per di più ad un prezzo non adeguato al valore commerciale di quest'ultimo, addotte dal ricorrente". Aggiungendo che nella decisione "manca totalmente la tematizzazione del profilo inerente al danno alla salute".

Infine, è stato accolto anche il motivo relativo all'accertamento sul Dna che, scrive la Corte, "era stato infruttuosamente sollecitato dall'imputato" alla Corte d'appello di L'Aquila e poi di nuovo nel ricorso per cassazione.

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