Penale

Ergastolo ostativo, inutile esigere un rifiuto morale

La valutazione dei giudici deve riguardare la pericolosità sociale

di Giovanni Negri

No a una valutazione etica, come pure a una pretesa di abiura morale. Necessario invece un esame in concreto del percorso rieducativo e della persistenza della pericolosità sociale. Suona a monito e indice dei corretti criteri da utilizzare, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2019 sull’ergastolo ostativo, da parte della magistratura di sorveglianza la dettagliata sentenza n. 19536 della Quinta sezione penale della Cassazione.

Perché «il giudice di sorveglianza, al fine di verificare la concedibilità dei permessi premio ex articolo 30 ter dell’Ordinamento penitenziario, a detenuti per delitti ostativi cosiddetti di prima fascia anche in difetto di collaborazione con la giustizia (...) è tenuto a compiere un esame in concreto di elementi di fatto “individualizzanti” del percorso rieducativo del detenuto , da quali si possa desumere, non già e non necessariamente, un’emenda intima, personale e umana del proprio passato, bensì la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli in futuro». Il tutto «in una prospettiva dinamica di rieducazione recupero del detenuto, monitorata attraverso un esame a tutto campo della sua vita».

La Cassazione ha così accolto, ed è la seconda volta, il ricorso presentato dalla difesa di Giuseppe Barranca (più volte condannato all’ergastolo per il concorso negli attentati mafiosi di via Palestro a Milano, di via dei Georgofili a Firenze, di via del Fauro a Roma, oltre che per la strage di Capaci), contro il no del Tribunale di sorveglianza di Milano alla richiesta di poter usufruire di permessi premio.

La difesa aveva valorizzato nella domanda del beneficio da una parte, per corroborare il distacco dal contesto associativo mafioso del gruppo palermitano di Brancaccio, le più recenti sentenze del tribunale di Palermo che mai citavano Barranca, dall’altra, lo stile detentivo esemplare, l’adesione al trattamento rieducativo, l’impegno nell’attività di recupero, i colloqui con il solo nucleo familiare.

La Cassazione, nell’annullare con rinvio la decisione dei giudici milanesi, osserva che in questo modo a essere svilito è lo stesso ruolo del Tribunale di sorveglianza che non può limitarsi a constatare il curriculum criminale del detenuto, ma deve bilanciarlo con il percorso rieducativo intrapreso. La decisione annullata, invece, enfatizza la mancata collaborazione e, malgrado i riscontri positivi forniti dall’amministrazione penitenziaria, «ritiene di orientare la sua decisione di rigetto del reclamo su una valutazione “morale” di insufficienza di tali riscontri positivi della personalità del ricorrente rispetto al “peso” di quanto commesso».

In questo modo però, avverte la Cassazione, vengono eluse le conclusioni della Corte costituzionale, ritenendo che la gravità di alcuni reati impedisce da sola di effettuare un bilanciamento favorevole rispetto a percorsi carcerari positivi e alla presa di distanza dalle associazioni mafiose di appartenenza.

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