Penale

Detenzione inumana, in caso di rigetto la nuova istanza reiterativa è inammissibile

Il diniego di risarcimento va impugnato altrimenti assurge a cosa giudicata e non è consentita la riproposizione della domanda in base a elementi non valutati dal giudice a cui erano stati però presentati

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di Paola Rossi

L’istanza respinta per ottenere il risarcimento della sofferta detenzione inumana e degradante, non può essere riproposta se non per elementi nuovi o già sussistenti, ma non sottoposti all’esame del giudice di sorveglianza. Va quindi definita inammissibile la domanda riproposta quando si lamenta la mancata presa in considerazione da parte della precedente decisione di rigetto di elementi di fatto portati all’attenzione del giudice.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 17373/2024 - ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui era stata impugnata la decisione di rigetto della domanda in quanto reiterativa della precedente in assenza di elementi nuovi.

I giudici di legittimità hanno, infatti, precisato che quando si ritiene che il giudice abbia mancato di valutare alcuni aspetti della richiesta risarcitoria e che si asseriscono fondamentali, l’istante non ha altro rimedio che quello impugnatorio, altrimenti scatta l’acquiescenza al decisum. Per cui risulterà inammissibile una nuova domanda con cui sottoporre il ritenuto difetto della precedente decisione che aveva negato il diritto al risarcimento.

Inoltre, la Corte di cassazione respinge il rcorso dove intendeva far valere come legittimo “motivo nuovo” l’intervenuta decisione delle sezioni Unite penali sul calcolo dei metri quadri fruibili nella cella che escludono il carattere inumano della detenzione. Dunque, sul punto, la Suprema Corte non esclude l’irrilevanza di sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali, ma non quando - come in questo caso - l’intervento nomofilattico non fa che definire compiutamente i parametri già ampiamente emersi in giurisprudenza per la decisione di un determinato tipo di cause.

La Corte respinge anche il motivo con cui il ricorrente intendeva far rilevare come nuovo motivo per ottenere il risarcimento inizialmente negato che successivamente alla sua istanza altri detenuti si erano visti accogliere come fonte di danno la circostanza dell’assenza di acqua potabile e della percezione dei miasmi provenienti da una discarica attigua al carcere. Lamentela che, appunto nel suo caso, egli aveva presentato con l’iniziale domanda, ma ottenendo un giudizio di segno contrario da parte del giudice di sorveglianza. La differente valutazione di tali due ultime condizioni ottenuta da altri detenuti del medesimo carcere non sono motivo che demolisca l’ormai definitivo giudicato esecutivo.

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