Penale

Proibita l'espulsione dello straniero transgender se il suo Paese d'origine ha una "cultura omofoba"

Con la recente sentenza 15600/2022 la Corte di cassazione ha chiarito che non è possibile adottare il provvedimento qualora il Paese d'origine dello straniero non sia in grado di fornire a costui adeguata ed effettiva tutela del suo orientamento sessuale

di Pietro Alessio Palumbo

L'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza, costituisce una misura alternativa alla detenzione finalizzata a evitare il cronico sovraffollamento carcerario. Misura della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge, fatta salva la ricorrenza di una tra le cause ostative. Con la recente sentenza 15600/2022 la Corte di Cassazione ha chiarito che non è possibile adottare il provvedimento in parola qualora il Paese d'origine dello straniero non sia in grado di fornire a costui adeguata ed effettiva tutela del suo orientamento sessuale. E – si badi – a nulla vale la mera costatazione che il suddetto Paese abbia una legislazione che non contempli discriminazioni per i transgender qualora il rischio di persecuzione possa derivare dalla cultura omofoba diffusa in quello Stato. Anche perché le autorità pubbliche sono evidentemente composte di singoli individui inseriti nei ranghi delle istituzioni.

L'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena può essere disposta al cospetto di una delle seguenti condizioni:
a) l'ingresso da parte del detenuto straniero nel territorio dello Stato mediante sottrazione ai controlli di frontiera senza essere stato respinto;
b) il trattenimento nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione prevista o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno sia stato revocato o annullato o rifiutato o sia scaduto da più di sessanta giorni e non ne sia stato chiesto il rinnovo, o, ancora, se lo straniero si sia trattenuto sul territorio dello Stato in violazione della vigente disciplina; c) l'appartenenza a una delle categorie indicate dal Codice delle leggi antimafia.

In particolare l'espulsione deve essere assistita, in fase di applicazione, dalle garanzie che accompagnano l'espulsione normata dal Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero. Deriva che il magistrato di sorveglianza, prima di emettere il decreto di espulsione, può acquisire dagli organi di polizia qualsiasi tipo di informazione necessaria o utile al fine di accertare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni che legittimano l'espulsione; così come il questore, nel disporre l'analoga misura può evidentemente avvalersi di informazioni a tutto campo sullo straniero.

Il regime dell'espulsione amministrativa contempla una serie di limiti all'adozione della misura, applicabili anche all'espulsione quale misura alternativa alla detenzione. Tra le situazioni che impediscono l'adozione del provvedimento espulsivo è previsto il pericolo che lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di sesso o di condizioni personali o sociali. Ai fini della valutazione sulla sussistenza della menzionata causa ostativa incombe all'interessato l'onere di esporre l'esistenza di uno stato di rischio per la propria incolumità; mentre grava sul giudice il dovere di verificare in concreto, effettivamente, e alla luce di tutti gli elementi disponibili, persino di provenienza extragiudiziaria, la fondatezza o meno delle affermazioni e documentazioni sul denunciato stato di rischio. Rischio che – si badi - non può essere escluso in ragione di un semplice sospetto di insussistenza dello stesso. L'apprezzamento del rischio di persecuzione va compiuto anche attraverso l'analisi delle fonti sovranazionali volte a fornire tutela ai soggetti cui spetta il riconoscimento non solo dello status di rifugiato, ma anche della protezione sussidiaria.

Con specifico riferimento al riconoscimento della protezione internazionale è necessario avere riguardo, quale parametro valutativo di base, alla disciplina delle norme sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale. E in particolare alla normativa che include nel novero dei possibili responsabili della persecuzione in argomento i soggetti non statuali, qualora lo Stato, le relative istituzioni ovvero le organizzazioni anche internazionali, non riescano a fornire una valida protezione contro oppressioni, maltrattamenti o danni gravi.
Dal che – secondo la Suprema Corte - può affermarsi che in tema di protezione internazionale, il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria non possono essere negati solo perché i responsabili del possibile danno grave per il cittadino straniero sono soggetti privati, qualora nel Paese d'origine non vi sia un'autorità statale in grado di fornire a costui adeguata e soprattutto effettiva tutela. Ecco perché costituisce dovere del giudice l'effettuazione di una verifica anche "officiosa" sull'attuale situazione di quel Paese e pertanto anche sulla concreta inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali.

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