Penale

Deindicizzazione e diritto all'oblio nel procedimento penale, in vigore la nuova norma

Osservazioni al nuovo art. 64-ter delle disposizioni attuative CPP alla luce del GDPR

di Tommaso E. Romolotti e Laura Marretta*

L'entrata in vigore a partire dal 30 dicembre scorso delle disposizioni di cui all' art. 64-ter del DLgs. 271/1989 per come introdotto dal DLgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ripropone all'attenzione il complesso quanto interessante tema del diritto all'oblio, declinandolo nel contesto del procedimento penale.

La norma di nuova introduzione, riconducibile agli interventi in materia penale contenuti nella "riforma Cartabia", prevede infatti che in caso di proscioglimento, non luogo a procedere o archiviazione, la persona interessata possa richiedere la preclusione dall'indicizzazione o la deindicizzazione sulla rete internet, dei propri dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento.

Ripercorrendo in sintesi i passaggi fondamentali che hanno portato alla promulgazione della norma, rammentiamo che questa è stata adottata in attuazione della delega di cui all' art. 1 L. 27 settembre 2021, n. 134 in tema di modifica del codice di procedura penale, delle relative norme di attuazione, del codice penale e della collegata legislazione speciale in un'ottica di semplificazione, speditezza e razionalizzazione. Più nello specifico, il comma 25 prevede tra i principi da applicarsi nell'esercizio della delega, il fatto che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l'emissione di un provvedimento di deindicizzazione che garantisca il diritto all'oblio degli indagati o imputati nel rispetto della normativa della UE.

E' solo il caso di rammentare che con il termine "deindicizzazione" si vuole indicare il procedimento informatico volto ad escludere che una determinata informazione (e.g. il nome di un soggetto) compaia tra i risultati di un motore di ricerca in esito a una interrogazione del medesimo – in altri termini ciò che sarà eliminato non è la pagina web in quanto tale ma la reperibilità della stessa mediante la classica interrogazione.

L'introduzione del nuovo art. 64-ter DLgs, 271/1989 ha per l'appunto ad oggetto il "diritto all'oblio" degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini, laddove nei rispettivi confronti siano stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ovvero un provvedimento di archiviazione. Diritto che si traduce in particolare nella preclusione dell'l'indicizzazione ovvero nella disposizione della deindicizzazione sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento – il tutto ai sensi e nei limiti dell'art. 17 Reg. (UE) 2016/679 (ormai meglio noto come il famigerato GDPR).

Ed a questo punto occorre puntualizzare alcuni profili di coordinamento.

L'art. 17 GDPR relativo al diritto alla cancellazione, prevede che al ricorrere di una serie di elementi – sintetizzabili nella mancanza di necessità o legittimità del trattamento di dati personali - l'interessato (ovverosia la persona cui si riferiscono i dati stessi) ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo.

Senza qui entrare nel dettaglio della norma (piuttosto complessa sotto il profilo applicativo), si rileva che solo a seguito di un percorso giurisprudenziale sviluppato negli anni sia dalla Corte di Giustizia a livello di Unione Europea (si vedano in particolare i casi relativi al motore di ricerca Google, tra cui da ultimo la sentenza relativa alla causa C-460/20 del 8 dicembre 2022 ) sia a livello nazionale (tra le pronunce più recenti, cfr. Cass. Civ. sez. I, nn. 3952/2022 e 9147/2020), la deindicizzazione è stata riconosciuta quale rientrante nel più ampio "diritto alla cancellazione dei dati".

La norma di nuovo conio sembra ritenere la deindicizzazione come un diritto esercitabile dall'interessato (alle condizioni sopra indicate) il quale può richiedere
(i) a livello preventivo, che sia preclusa l'indicizzazione, ovvero successivamente
(ii) che sia disposta la deindicizzazione - escludendosi pertanto ogni forma di automatismo in caso di inerzia dello stesso.

Indicativo a tale proposito appare anche il riferimento all' art. 52 DLgs. 196/2003 contenuto nella medesima disposizione, che sembra consentire un parallelo con la facoltà ivi riconosciuta all'interessato di chiedere per motivi legittimi la preclusione dei dati identificativi nella riproduzione di sentenze o provvedimenti dell'autorità giudiziaria (ipotesi ovviamente assolutamente diversa dal processo di deindicizzazione).

Sotto il profilo applicativo, l'art. 64-ter distingue puntualmente tra le ipotesi di preclusione e di deindicizzazione.

La prima, disciplinata dal comma 2, prevede che la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento apponga l'annotazione per cui ai sensi e nei limiti dell'art. 17 GDPR e' preclusa l'indicizzazione del provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell'istante.

Nel caso invece in cui la richiesta sia volta ad ottenere la deindicizzazione, l'annotazione apposta dalla cancelleria disporrà che il provvedimento costituisce titolo per ottenere, un provvedimento di sottrazione dell'indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell'istante. Con riferimento a tale ultima ipotesi, la norma non entra nel dettaglio e pertanto non sembra precisare chi sia il soggetto deputato all'emissione di tale provvedimento di deindicizzazione, vale a dire se sia sufficiente effettuare la richiesta ai motori di ricerca sulla base della sola annotazione ovvero se sarà necessario ottenere un provvedimento specifico a monte della domanda: in considerazione dell'ottica (anche) deflattiva della riforma, la prima soluzione appare sicuramente preferibile.

Altro tema di notevole interesse è la generalità della deindicizzazione, vale a dire che il richiedente non dovrà indicare le singole pagine oggetto della richiesta bensì potrà effettuare un generale riferimento al procedimento stesso: si noti tuttavia che la deindicizzazione per come descritta nel comma 3 (e lo stesso valga per il comma 2 con riferimento alla preclusione) non sembra attenere la totalità delle pagine web concernenti il coinvolgimento dell'istante nel procedimento conclusosi a suo favore, bensì la sola ricerca specificamente condotta a partire dal nominativo dell'istante (il che implicherebbe che la medesima pagina possa essere indicizzata e raggiunta mediante l'inserimento di differenti termini di ricerca). Elemento quest'ultimo che appare stridente rispetto alla portata più ampia del principio per come enunciato al primo comma della norma stessa, e che presumibilmente richiederà successivi approfondimenti nella fase applicativa dell'art. 64-ter.

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*A cura degli Avv.ti Tommaso E. Romolotti e Laura Marretta – Romolotti Marretta Law Firm

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