Professione e Mercato

Sospeso l'avvocato che avvia la mediazione presso l'organismo di cui è parte

Per il Consiglio Nazionale Forense, tale condotta, idonea a far dubitare dell'imparzialità ed indipendenza dell'avvocato mediatore, integra una situazione di potenziale accaparramento della clientela

di Marina Crisafi

L'avvocato-mediatore non può instaurare procedure conciliative innanzi all'organismo di cui faccia parte. Tanto più se lo stesso ha sede presso il proprio studio professionale. Tale condotta infatti fa dubitare dell'imparzialità e indipendenza del professionista ed integra una indubbia situazione di potenziale accaparramento e/o sviamento della clientela. Lo ha affermato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 265/2022, pubblicata il 18 maggio sul sito del Codice deontologico, confermando la sanzione della sospensione per due mesi dall'esercizio della professione nei confronti di un legale.

I fatti
I fatti traggono origine dall'esposto di un collega che, avendo appreso dal proprio cliente, della domanda di convocazione dello stesso ad un incontro di mediazione obbligatoria presso un organismo avente sede presso lo studio legale dell'avvocato-mediatore, consigliava al proprio assistito di non partecipare al procedimento ma di presentarsi per esplicare le ragioni del rifiuto, e, al contempo presentava esposto al Consiglio dell'ordine di Messina.
L'incolpato presentava deduzioni difensive con le quali, nel respingere ogni accusa in ordine ad eventuali violazioni deontologiche, precisava di non aver preso parte né di esser stato presente all'incontro fissato per la mediazione; chiariva, inoltre, che la sede dell'Organismo e quella dello studio legale si trovavano sì nel medesimo appartamento ma non nel medesimo studio avendo i due uffici ingressi e locali diversi; aggiungeva, infine, che i due uffici condividevano solo il portoncino d'ingresso.

Procedimento disciplinare e sospensione
Il COA di Messina trasmetteva gli atti al CDD e a seguito dell'avvio del procedimento disciplinare, il Consiglio, ritenuto che la separazione degli ambienti all'interno del medesimo appartamento non valesse ad escludere l'integrazione della fattispecie sanzionata dell'articolo 55 bis comma IV codice 2 deontologico previgente, dichiarava il legale responsabile dell'illecito a lui ascritto e comminava allo stesso la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per mesi due.
L'avvocato adiva, quindi, il CNF insistendo sull'insussistenza dell'addebito contestato in quanto il condividere un locale d'ingresso di accesso a tre autonomi, separati minialloggi non costituiva fattore in grado di ipotizzare commistione di interessi o una situazione di ambiguità.
Lamentava, tra l'altro, l'eccessività nella sanzione in considerazione della circostanza che i fatti contestati erano avvenuti sotto il dettato della vecchia legge, quando l'articolo 55 bis era stato appena introdotto: "la decisione, che avrebbe fatto applicazione della nuova normativa, sarebbe dunque caratterizzata da negligente superficialità, risultando più appropriata la sanzione dell'avvertimento".

La decisione
Per il CNF, tuttavia, il ricorso è integralmente respinto.
"Il disvalore ascritto alla coincidenza ovvero contiguità tra sede dell'organismo di mediazione e sede dello studio legale – premette il Consiglio - deriva dalla necessità di evitare anche la mera apparenza di una commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell'imparzialità dell'avvocato mediatore". E sebbene la circostanza sia emersa, nel caso di specie, in relazione ad un preciso procedimento mediatorio, "va allo stesso tempo sottolineato – continua il CNF - come il valore protetto dalla norma abbia rilievo generale e indipendente rispetto allo svolgimento di singoli procedimenti e debba dunque essere tutelato a prescindere dalla circostanza che la commistione di interessi emerga in relazione a un procedimento individuato".
In generale, tutte le lamentele del ricorrente, pur differenziando in differenti profili, non criticano la ricostruzione dei fatti quanto piuttosto la loro valutazione e la loro rilevanza con riferimento alla norma del Codice Deontologico secondo la quale è fatto divieto all'avvocato di consentire che un organismo di mediazione abbia sede presso il suo studio e viceversa: "in altre parole se l'accertata separazione dei locali, la loro continuità ma non coincidenza, valga ad escludere la violazione della disposizione del codice deontologico pertinente, oppure no".
L'esame di tale punto è stato particolarmente approfondito e motivato dal CDD e per il Consiglio Nazionale Forense merita seguito, poiché, "quel che i principi deontologici son posti a difesa e baluardo non è soltanto la presenza dei valori etici nell'esercizio della professione forense, ma altresì la sua apparenza agli occhi dei terzi perché è dalla apparente mancanza apparenza che può derivare una generale immagine negativa anche dell'istituto della mediazione".
Il divieto di coincidenza/contiguità, tra studio e organismo, come correttamente evidenziato dalla decisione disciplinare, "non opera soltanto nei confronti dei soggetti in mediazione, ma anche e soprattutto a tutela dell'immagine dell'Avvocatura e, anche dell'istituto della mediazione ed è posto proprio affinchè i cittadini possano ad essa affidarsi in totale fiducia e trasparenza".
Una eventuale "sovrapposizione tra studio legale e l'organismo di mediazione – finirebbe dunque - per integrare una indubbia situazione di potenziale accaparramento e/o sviamento di clientela: l'avvocato ospitante od ospitato si troverebbe a godere di una rendita di posizione volta ad acquisire come potenziali clienti coloro che volessero sperimentare la mediazione o coloro che avessero frequentato l'organismo con esito negativo sul piano della conciliazione".
Per cui, la separazione di locali all'interno del medesimo appartamento, come nel caso di specie, non vale, conclude il CNF, ad escludere l'applicabilità dell'art.icolo 55 bis comma IV (ora 62, comma 5) del Codice deontologico al caso in esame, "poiché si tratta di tutelare una condizione astratta di indipendenza ed imparzialità, di garantire, anche visivamente una divisione tra l'attività di difesa e quella di mediazione".
Nulla di fatto, infine, neanche in ordine alla lamentata eccessività della sanzione, ritenuta congruamente quantificata.

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