Penale

Truffa in un negozio, per perseguirla basta la querela del dipendente

Non occorre l’attribuzione della rappresentanza legale del datore di lavoro

di Guido Camera

Il bene giuridico protetto dai reati di furto e truffa non è solo la proprietà, o un altro diritto reale e personale di godimento, ma anche il possesso, inteso come detenzione qualificata della cosa, con il potere di utilizzarla e disporne. Ne consegue che è titolare del diritto di querela, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza legale del datore di lavoro, anche il dipendente di un esercizio commerciale in cui si è consumato il reato. Egli infatti assume, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio e riveste la titolarità di fatto dell’interesse protetto dalla norma penale. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 11478 del 22 marzo 2023.

È un monito attuale, dopo l’ampliamento del catalogo dei reati procedibili a querela a opera del decreto legislativo 150/2022. Si agevola così la punibilità dei reati contro il patrimonio negli esercizi commerciali, perché una querela valida, anche per l’irrogazione di una misura cautelare, può essere proposta dal responsabile del negozio privo di rappresentanza legale del datore di lavoro.

Nel caso in esame, la ricorrente era stata accusata di essere entrata in un ristorante fingendosi una cliente, ma in realtà con l’intenzione di compiere furti a danno degli altri avventori e con l’intento di non pagare il suo pasto. Si era poi impossessata di un cellulare, di un libretto di deposito e di un portafoglio di una cliente, la cui carta di identità aveva poi contraffatto per presentarsi in un centro commerciale con il libretto di deposito rubato, chiedendo di prelevare la somma depositata. Questa condotta ha fatto scaturire la contestazione di tentata truffa, procedibile a querela, che era stata sporta dalla caporeparto dell’esercizio commerciale. Secondo la ricorrente, il delitto di truffa non era perseguibile, visto che l’impiegata non aveva la procura del datore a presentare querele per suo conto. Ma la Cassazione ha respinto il ricorso.

La sentenza ripercorre i precedenti che, a partire dalla sentenza 40354/2013 delle Sezioni unite, hanno chiarito come il possesso, ai fini penali, si configuri anche senza un titolo giuridico e persino quando si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che al titolare di tale posizione spetta la qualifica di persona offesa e il diritto di querela. Si badi bene che il possesso del dipendente è in nome altrui: se è perciò lui sottrarre beni al datore di lavoro, commette il reato di furto e non quello di appropriazione indebita. La Cassazione, con la sentenza 8128/2019, ha infatti spiegato che, perché ci sia appropriazione indebita, occorre che l’autore del reato abbia un autonomo potere di fatto sulla cosa, senza possibilità di controllo da parte del proprietario o di chi vanta un potere giuridico prevalente su questa.

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