Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 20 e il 24 marzo 2023

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello trattano i temi dell'eredità beneficiata, dell'azione revocatoria (in riferimento al fondo patrimoniale), dell'espropriazione per pubblica utilità e, infine, della surrogazione dell'assicuratore.
Da parte loro i Tribunali sono chiamati a pronunciarsi in tema di diligenza degli istituti bancari, personalizzazione del danno non patrimoniale, responsabilità professionale dell'avvocato, lavoro alle dipendenze di società a controllo pubblico, contratto di franchising e, infine, perdita di chance.


SUCCESSIONI E DONAZIONI
Successioni mortis causa - Eredità beneficiata – Inventario.

(Cc, articoli 484, 485, 487, 488 e 494)
Secondo la Corte d'Appello di Roma, in caso di eredità beneficiata, spetta all'erede provare la tempestiva formazione dell'inventario e non al creditore -che intenda far valere la responsabilità ultra vires del primo- il ritardo o l'omissione dell'adempimento, trattandosi di un elemento costitutivo del relativo beneficio.
In tema di successioni mortis causa, l'art. 484 c.c., nel prevedere che l'accettazione con beneficio d'inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell'inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti. Infatti, sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancanza di una distinta disciplina dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l'attribuzione all'uno dell'autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell'altro.
Ne consegue che, se da un lato la dichiarazione di accettazione con beneficio d'inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato che subentra perciò in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, d'altro canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità intra vires, che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, in mancanza del quale l'accettante è considerato erede puro e semplice (artt. 485, 487, 488 c.c.) non perché abbia perduto ex post il beneficio, ma per non averlo mai conseguito.
Resta inteso, infine, che sempre in tema di eredità beneficiata l'onere della prova dell'occultamento doloso, in sede di inventario, di un bene appartenente all'eredità (come anche la denunzia in mala fede, nell'inventario stesso, di passività non esistenti) incombe su colui che invoca la decadenza dal beneficio, dovendo la buona fede dell'erede essere presunta sino a prova contraria (art. 494 c.c.).
• Corte di Appello Roma, sezione V, 20 marzo 2023 n. 2030

AZIONE REVOCATORIA
Fondo patrimoniale – Legittimazione passiva.

(Cc, articoli 168, 170 e 2901)
Afferma la Corte d'Appello di Catanzaro il principio di diritto secondo cui, in tema di azione revocatoria, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo patrimoniale in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva spetti ad entrambi i coniugi, anche se l'atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell'art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione.
Analogamente, nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorché non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all'accoglimento della domanda revocatoria.
La costituzione di un fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito, non soltanto nell'ipotesi in cui provenga da un terzo o da uno solo dei coniugi, ma anche quando provenga da entrambi i coniugi, non sussistendo mai alcuna contropartita in favore del costituente o dei costituenti. Tale atto è, dunque, assoggettabile all'azione revocatoria che è un mezzo di tutela del creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, poiché con l'azione revocatoria ordinaria viene rimossa, a vantaggio dei creditori, la limitazione alle azioni esecutive che l'art. 170 c.c., circoscrive ai debiti contratti per i bisogni della famiglia, sempre che ricorrano le condizioni di cui all'art. 2901, I n. 1, c.c., senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore da quest'ultimo avuto di mira nel compimento dell'atto dispositivo, e, per la sussistenza del consilium fraudis, essendo in particolare sufficiente, nel caso in cui la costituzione sia avvenuta anteriormente al sorgere del debito, la consapevolezza da parte dei debitori del pregiudizio che mediante l'atto di disposizione venga in concreto arrecato alle ragioni del creditore.
• Corte di Appello Catanzaro, sezione II, 22 marzo 2023 n. 369

ESPROPRIAZIONI
Espropriazione per pubblica utilità – Indennità di asservimento – Presupposti.

(Dpr 8 giugno 2001, n. 327, articolo 44; legge 25 giugno 1865 n. 2359, articolo 46)
La Corte d'Appello di Firenze si sofferma, in sentenza, sulla corretta esegesi della norma di cui all'art. 44 D.P.R. n. 327/2001 (T.U. espropriazione per pubblica utilità) che stabilisce un'indennità in favore del proprietario del fondo che, in conseguenza dell'esecuzione di un'opera pubblica (o di pubblica utilità), sia gravato da una servitù, o subisca una "permanente diminuzione di valore" per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà (I comma).
Rispetto al dato normativo precedente (di cui all'art. 46 L. n. 2359/1865) il T.U. del 2001 elimina l'equivoco creatosi con riferimento alla voce di "danno" permanente, che ora viene sostituita da quella (innanzi richiamata) di "permanente diminuzione di valore" del bene.
Questa sostituzione lessicale evidenzia la differente natura dell'indennità disciplinata dalla norma in esame (intesa quale ristoro per equivalente monetario dovuto in ragione di un pregiudizio derivante da un atto legittimo della P.A., benché produttivo di un danno patrimoniale) rispetto al risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale che, invece, consegue ad un fatto illecito.
La ratio dell'obbligo di indennizzo previsto dalla norma de qua va individuata in un basilare principio pubblicistico di giustizia distributiva, secondo cui le conseguenze economiche pregiudizievoli causate da opere dirette al conseguimento di pubblici benefici non possono ricadere su un solo privato, o su una ristretta cerchia di privati, ma devono essere sopportate dalla collettività.
Non è, dunque, accettabile che la soddisfazione dell'interesse generale passi per il sacrificio dell'interesse, o del diritto, del singolo, senza che quest'ultimo venga proporzionalmente indennizzato.
Tre sono i presupposti del diritto all'indennità di asservimento, rappresentati: da un'attività lecita della P.A. nell'esecuzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità ovvero nella sua utilizzazione; dall'imposizione di una servitù o dalla produzione di un pregiudizio che si concreti nella permanente perdita di valore dell'immobile contiguo non oggetto di diretta espropriazione; dal nesso di causalità tra l'esecuzione e gestione dell'opera pubblica e il suddetto pregiudizio.
• Corte di Appello Firenze, sezione IV, 22 marzo 2023 n. 592

CONTRATTI
Contratto di assicurazione – Assicuratore – Diritto di surrogazione.

(Cc, articolo 1916)
Osserva in sentenza la Corte d'Appello di Milano come l'esercizio del diritto di surrogazione da parte dell'assicuratore comporta la successione ex lege nei diritti dell'assicurato.
Quindi l'assicurazione surrogante, avendo pagato il danneggiato acquista, per tale fatto, ex lege il diritto del proprio assicurato a rivalersi nei confronti dei coobbligati in solido al risarcimento dello stesso danno.
L'art. 1916 c.c., che consente all'assicuratore che abbia pagato l'indennità di surrogarsi, fino alla concorrenza dello ammontare di questa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili del danno, attua una forma di successione a titolo particolare nel diritto dell'assicurato, nella cui identica posizione l'assicuratore, in conseguenza del pagamento della indennità, viene a subentrare, acquistando il diritto nel medesimo stato in cui esso si trova al momento della surrogazione, con lo stesso contenuto e gli stessi limiti, come se, cioè, ad agire verso il terzo fosse lo stesso assicurato.
Pertanto, l'assicuratore che agisca contro il terzo a norma della citata disposizione codicistica deve provare non solo il titolo della surrogazione, cioè il pagamento della indennità, ma anche i fatti costitutivi del diritto fatto valere in surrogazione, soggiacendo, quindi, allo stesso onere che avrebbe fatto carico all'originario titolare del diritto (non essendo a tal fine sufficiente l'esibizione di un accordo transattivo raggiunto con l'assicurato, atteso che, da un lato, tale accordo non può produrre effetti de iure tertii in danno del responsabile e, dall'altro, la transazione, esigendo reciproche concessioni, è per definizione inidonea a dimostrare l'entità effettiva del pregiudizio).
Se poi, come visto, la surrogazione dell'assicuratore costituisce una successione a titolo particolare nel diritto dell'assicurato verso il terzo responsabile, e ne mutua la natura, allora il credito surrogatorio dell'assicuratore ha natura di obbligazione di valore e su esso matureranno interessi compensativi, secondo i criteri ordinari, a far data dall'esborso.
Con la precisazione che il diritto dell'assicuratore che agisca in surrogazione nei confronti del terzo responsabile è sottoposto al duplice limite del danno effettivamente da questi causato all'assicurato, da una parte, e dell'ammontare dell'indennizzo pagato dall'assicuratore, dall'altro.
• Corte di Appello Milano, sezione II, 22 marzo 2023 n. 971

CREDITO E RISPARMIO
Istituti bancari - Pagamento di titoli di credito – Diligenza – Responsabilità.

(Cc, articolo 1176)
Si sofferma in sentenza il Tribunale di Biella sulla diligenza bancaria in relazione al pagamento di titoli di credito a soggetto diverso dal legittimo prenditore. Precisa in proposito, come la stessa non possa essere accertata sulla base di parametri rigidi e predeterminati, ma vada verificata in relazione a tutte le cautele suggerite dalle circostanze del caso concreto, con particolare riferimento al tempo ed al luogo del pagamento, alla persona del presentatore, all'importo del titolo, alla natura del documento esibito, e così via. La diligenza del banchiere, d'altronde, deve assumere un livello professionale medio, che si identifica con la diligenza particolarmente qualificata di colui che esercita un'attività professionale, ossia appunto quella bancaria, il quale deve agire come un buon banchiere, cd. bonus argentarius, con un livello cioè medio di preparazione, prudenza ed attenzione (art. 1176, II, c.c.).
Secondo l'adito Giudice il controllo preventivo deve, in generale, articolarsi in due momenti, logicamente ben distinti e succedanei tra di loro.
In primo luogo, sull'impiegato di banca grava l'onere di una corretta identificazione del portatore del titolo, mediante esibizione e controllo di un documento di identità in corso di validità, quale la carta di identità. Tale controllo, in particolare, va esteso (ed al contempo circoscritto) alla presenza, o mancanza, di alterazioni o di segni esteriori tali da far dubitare circa l'autenticità del documento di riconoscimento.
Successivo onere in capo alla banca negoziatrice è quello di controllo della formale regolarità del titolo presentato, ossia che lo stesso sia in primo luogo completo, ossia contenga tutte le indicazioni obbligatoriamente prescritte dalla legge, e che non presenti alterazioni, lacerazioni o abrasioni; è poi necessario che vi sia corrispondenza tra la firma di traenza presente sul titolo e la sottoscrizione apposta nel c.d. specimen di firma.
In secondo luogo, viene in rilievo il controllo della regolarità del titolo. Con la precisazione che l'istituto di credito non è tenuto a predisporre, e utilizzare, un'attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici al fine di un controllo dell'autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per l'incasso.
• Tribunale Biella, 21 marzo 2023 n. 112

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno non patrimoniale – Danno alla salute – Personalizzazione.

(Cc, articolo 2059)
In sentenza il Tribunale di Milano si sofferma (tra l'altro) sulla personalizzazione del danno non patrimoniale osservando come il grado di invalidità permanente espresso da un barème medico legale esprima la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima (art. 2059 c.c.).
Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separato del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanza specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile, o stereotipe.
La lesione della salute risarcibile – si precisa ancora in sentenza - in null'altro consiste, su quel medesimo piano, che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire. Non, dunque, che il danno alla salute "comprenda" pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi, bensì che il danno alla salute è un danno "dinamico-relazionale".
Se non avesse conseguenze "dinamico-relazionali", la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.
Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità; conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale: la liquidazione delle prime presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto (personalizzazione).
• Tribunale Milano, sezione X, 21 marzo 2023 n. 2291

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Prestatore di opera intellettuale – Responsabilità professionale – Responsabilità dell'avvocato.

Secondo il Tribunale di Rimini la responsabilità per negligenza professionale di un avvocato nei confronti del proprio cliente implica una valutazione prognostica positiva, che non coincide necessariamente con la certezza, circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata svolta correttamente e diligentemente.
Ne consegue che l'assenza di elementi probatori, volti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell'attività del legale, porta ad escludere la responsabilità del professionista, in quanto la sua responsabilità non può affermarsi per il solo mancato corretto adempimento dell'attività professionale.
Al contrario occorre accertare se, laddove il prestatore d'opera avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta dell'avvocato ed il risultato derivatone.
In particolare, in riferimento alla responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, si applica la regola della preponderanza dell'evidenza, o del "più probabile che non", non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa.
Con la precisazione, ancora, che la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità solo se la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal Giudice di merito ex ante, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale.
Tribunale Rimini, sezione unica civile, 21 marzo 2023 n. 261

LAVORO
Società a controllo pubblico – Rapporto di lavoro – Mansioni

(Cc, articolo 2103; Dlgs 30 marzo 2001 n. 165, articolo 52; Dl 6 luglio 2012 n. 95, articolo 4; legge 7 agosto 2012 n. 135; Dlgs 19 agosto 2016 n. 175, articolo 1)
In sentenza il Giudice del Lavoro di Trani osserva come il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non sia disciplinato dal D.Lgs. n. 165/2001, bensì, in assenza di una disciplina derogatoria speciale, dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati.
Invero, la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società, la quale resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario, o ragioni ostative di sistema, che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica. Tale orientamento è stato fatto proprio dallo stesso Legislatore già con l'art. 4, VIII, D.L. n. 95/2012, nel testo risultante all'esito della conversione disposta dalla L. n. 135/2012 e, poi, è stato ribadito dal D.Lgs. n. 175/2016 (art. 1, III).
Non si può dunque estendere ai rapporti di lavoro validamente instaurati con la società partecipata la nullità dell'assegnazione di fatto a mansioni superiori sancita, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, dall'art. 52 D.Lgs. n. 165/2001, che prevede anche il correlato divieto di attribuzione della qualifica superiore, per effetto dello svolgimento di fatto di mansioni diverse da quelle corrispondenti al livello di inquadramento attribuito al momento dell'assunzione. E così, secondo l'adito Tribunale, una volta escluso che l'attribuzione definitiva della qualifica superiore possa essere impedita da disposizioni di leggi, statali e regionali, che onerano gli amministratori delle società controllate di perseguire nella gestione del personale politiche di contenimento dei costi, deve parimenti escludersi che l'applicazione dell'art. 2103 c.c. si ponga in contrasto con gli obblighi imposti in tema di reclutamento alle società a controllo pubblico.
• Tribunale Trani, sezione lavoro, 21 marzo 2023 n. 354

CONTRATTI
Contratto di franchising - Natura giuridica – Rapporto tra le parti.

(Legge 6 maggio 2004 n. 129, articolo 1)
Il Tribunale di Roma è adito in tema di contratto di affiliazione commerciale (cd. franchising) e, così, osserva in sentenza come, a mezzo di tale schema contrattuale, un produttore o rivenditore di beni, od offerente di servizi ("franchisor"), al fine di allargare il proprio giro commerciale e di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato - creando una rete di distribuzione senza dover intervenire direttamente nelle realtà locali – concede, verso corrispettivo, il diritto di entrare a far parte della propria catena di produzione o rivendita di beni o di offerta di servizi ad un autonomo e indipendente distributore ("franchisee"), che, con l'utilizzarne il marchio e nel giovarsi del suo prestigio, ha modo di intraprendere un'attività commerciale e di inserirsi nel mercato con riduzione del rischio. La natura di tale tipologia di contratto a prestazioni corrispettive importa che l'affiliante - verso il pagamento di un determinato corrispettivo - assicuri all'affiliato di entrare a far parte di una rete di distribuzione collaudata e pienamente operativa alla data di stipula del contratto. Con il contratto di franchising, peraltro, l'imprenditore affiliato non è semplicemente un rivenditore di prodotti o servizi del concedente, ma produce egli stesso il servizio o il bene destinato al consumatore. Per questo, il concedente conferisce alla controparte, a seconda dei casi, una licenza di sfruttamento di un brevetto, il diritto di usare i segni distintivi, o gli trasmette le conoscenze necessarie per realizzare quel determinato prodotto o servizio, c.d. "know-how". A fronte di tale affiliazione, l'affiliato è tenuto al pagamento di un corrispettivo, che le parti convengono nel contratto di franchising.
Il principale vantaggio reciproco di questa forma di collaborazione commerciale consiste nella possibilità, per il franchisor, di accedere a (o estendersi in) nuovi mercati senza dover effettuare investimenti diretti, mentre il franchisee (di solito una start up o un soggetto nuovo nel mercato di destinazione) può iniziare l'attività d'impresa non al buio ma servendosi di un canale distributivo già avviato e più o meno solido.
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dalla L. n. 129/2004 che da un punto di vista oggettivo (v. art. 1, II) stabilisce che il contratto in esame può essere utilizzato in ogni settore di attività economica.
• Tribunale Roma, sezione XVII, 22 marzo 2023 n. 4686

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Chance – Natura giuridica – Risarcimento - Limiti.
Sottolinea in sentenza il Tribunale di Torino come la chance sia un'entità patrimoniale a sé stante, suscettibile di valutazione autonoma.

Con la precisazione che, se il danno finale viene effettivamente a prodursi, non può più discutersi di perdita di chance bensì di danno effettivo, restando dunque la chance confinata ai casi in cui la perdita consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale. In altri termini, deve ritenersi che la perdita di chance sia un danno alternativo rispetto a quello effettivo, cosicché quando si produce quest'ultimo è perché la probabilità si è evoluta in un pregiudizio definitivo che prende il posto della probabilità perduta. Dunque, la probabilità è un bene autonomo fino a che rimane tale ed è risarcibile solo qualora non si sia evoluta in danno. E cioè a dire, la probabilità può assumere rilevanza come bene autonomo, suscettibile di autonoma valutazione da un punto di vista giuridico, solo fintantoché non sia evoluta in danno finale: invero, qualora il danno finale si sia verificato, quest'ultimo si sostituisce alla perdita della probabilità in quanto tale.
Nei casi di attività della P.A. connotata da ampia discrezionalità l'esito del giudizio prognostico risulta particolarmente incerto e, per questo motivo, è invalso l'utilizzo della tecnica risarcitoria della chance. È possibile accedere a detto risarcimento per equivalente solo se la chance abbia effettivamente raggiunto un'apprezzabile consistenza, di solito indicata dalle formule "probabilità seria e concreta" o anche "elevata probabilità", di conseguire il bene della vita sperato.
La chance può declinarsi anche in termini "non" patrimoniali: contrariamente alla chance patrimoniale, la chance non patrimoniale (o non pretensiva) si innesta su una situazione preesistente non favorevole, ovvero una situazione patologica. La specificità della chance non patrimoniale si apprezza altresì sul piano risarcitorio, richiedendo essa una liquidazione del danno in via equitativa e commisurata alla possibilità di realizzare il risultato perduto, possibilità che deve attingere ai parametri dell'apprezzabilità, serietà, consistenza, rispetto ai quali il valore statistico/percentuale - se in concreto accertabile -potrà costituire al più criterio orientativo, in considerazione dell'infungibile specificità del caso concreto.
• Tribunale Torino, sezione II, 22 marzo 2023 n. 1259

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