Responsabilità

Più consulenze contro il greenwashing

Crescono le richieste da parte delle aziende di verificare in via preventiva la correttezza dei messaggi pubblicitari e delle campagne che richiamano la sostenibilità<br/>

di Valentina Maglione e Valeria Uva

Promuovere un prodotto o un marchio come “green” o come eticamente sostenibile può costare caro alle aziende. Per evitare di incappare in ricorsi o sanzioni, i produttori ormai si affidano sempre più alla consulenza legale contro il greenwashing.

Crescono i mandati per team trasversali, composti da avvocati selezionati tra gli esperti di proprietà intellettuale, penale, e diritto della concorrenza e dei consumatori.

Per tutti il lavoro si sta spostando alla fase di analisi preventiva della comunicazione e della messa in commercio dei prodotti green, anche se non manca un filone di contenzioso in crescita, alimentato dalle associazioni dei consumatori e dalle aziende concorrenti (si veda anche il box a fianco).

Secondo un report della Commissione europea le informazioni pubblicitarie basate sulla sostenibilità sono per più della metà, di fatto, false o quanto meno non dimostrabili appieno. Un fenomeno, appunto, quello del greenwashing che “sfrutta” il richiamo alla sostenibilità o al rispetto per l’ambiente senza effettivo fondamento.

«Dopo il Covid le aziende sono molto più agguerrite su questo fronte e sono pronte a contestare ai concorrenti qualsiasi comunicazione non dimostrabile - conferma Elena Varese, co head Consumer good food and retail di Dla Piper - per questo interveniamo prima del lancio, affiancando il marketing nella ricerca delle evidenze scientifiche a supporto dei claim». Così l’avvocato deve, a seconda del prodotto e della materia, trasformarsi in esperto di chimica o di energie rinnovabili. Il punto di riferimento normativo resta il Codice civile, ma anche quello di autodisciplina pubblicitaria che vietano di diffondere informazioni ingannevoli su qualità essenziali. Su tutti i mezzi e le piattaforme, compresi i canali social. «Purtroppo non c’è una norma chiara che indichi quale possano essere i messaggi ingannevoli - precisa Francesca Morra, partner, Corporate, energy and competition di Herbert Smith Freehills - quindi la compliance deve essere svolta anche sul piano penale per evitare di incappare in reati quali la truffa». L’interlocuzione è rivolta in prima battuta verso l’ufficio marketing. «Sempre più spesso comunichiamo attraverso il legal design - aggiunge Varese - ad esempio abbiamo sviluppato infografiche per una serie di aree di rischio, oltre al greenwashing anche sulla promozione di giochi e scommesse, alcolici, tabacco e cosmetici». Ma il fine è proteggere il management: «Per evitare responsabilità i vertici devono poter dimostrare di aver svolto verifiche puntuali contro il greenwashing» aggiunge Pietro Pouché, partner Ip di HSF.

Che la richiesta di consulenze preventive sui temi green sia in aumento, anche per limitare il rischio di futuri contenziosi e liabilities, lo conferma Francesca Gesualdi di Cleary Gottlieb: soprattutto, spiega, «in vista dell’obbligo di comunicazione societaria sulla sostenibilità, che dal 2024 si estenderà a molte aziende. Ora stiamo seguendo i nostri assistiti per prepararli a fare questa disclosure, ragionando sia sul perimetro degli elementi da comunicare, sia sull’inserimento dei parametri Esg nei modelli organizzativi interni».

La consulenza contro il greenwashing coinvolge anche i profili penalistici.

A partire dalle due diligence finalizzate all’acquisizione di una società: «Se la società target presenta al mercato fattori di sostenibilità non veritieri - spiega Andrea Puccio, socio fondatore di Puccio Penalisti Associati - il potenziale acquirente rischia di subire una truffa contrattuale. A noi viene spesso richiesto di occuparci della due diligence penale green».

Oltre ai rapporti tra imprese private, per il greenwashing, complice l’arrivo dei fondi del Pnrr, potrebbero allargarsi le ricadute sul fronte dei reati contro la pubblica amministrazione: «Per ottenere le sovvenzioni - ragiona Puccio - talvolta sono richiesti determinati standard di sostenibilità, o certificazioni ambientali. Chi li dichiara ma non li possiede rischia di essere indagato per aver indebitamente percepito i fondi».

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