Professione e Mercato

False dichiarazioni e "ne bis in idem" nell'ordinamento sportivo

L'assenza di enunciazione dei principi nell'ordinamento sportivo è verosimilmente determinata dall'impostazione sistematica del Codice della Giustizia Sportiva del Coni che prevede la piena tutela di tutti i soggetti secondo i principi del giusto processo di stampo civilistico

di Stefania Cappa e Michele Rossetti*

Nell'ordinamento statale valgono due principi processuali: il "nemo tenetur se detegere" e il "ne bis in idem".

Il primo attiene al diritto riconosciuto alla persona, chiamata a rendere dichiarazioni innanzi l'Autorità Giudiziaria o alle Forze di polizia, di non rispondere - o non dire la verità - su domande la cui risposta possa consentire di affermare la propria responsabilità e, quindi, autoincriminarsi.

Il "diritto al silenzio" trova ampio riconoscimento nella disciplina codicistica; in particolare per la persona che ha già assunto la veste di indagato, la legge prevede che deve essere espressamente avvertito che, salvo l'obbligo di dichiarare le proprie generalità e quant'altro valga ad identificarlo (articoli 66, comma 1, c.p.p. e 21 disp. att. c.p.p.), "ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda" (articolo 64, comma 3, lett. b) c.p.p.): tale avviso è obbligatorio, a pena d'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'interrogato (articolo 64, commi 3, lett. b) e 3-bis, c.p.p.). Tale garanzia è vigente anche per la persona ascoltata quale testimone o persona informata sui fatti che, pur non avendo diritto a ricevere i medesimi avvisi, è tutelata dalla garanzia di cui all'articolo 198 c.p.p., che prevede espressamente tale diritto.

Il secondo principio, invece, "ne bis in idem" - letteralmente "non due volte per la stessa cosa" - garantisce che non possa esserci, per uno stesso fatto, un nuovo procedimento nei confronti di un imputato, prosciolto o condannato, già giudicato in via definitiva.

Nell'ordinamento italiano il divieto del doppio giudizio per il medesimo fatto è stabilito dall'articolo 649 c.p.p. che recita "l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.".

Nell'ordinamento sportivo non è espressamente enunciato il principio "nemo tenetur se detegere", né il "ne bis in idem". Tale assenza è verosimilmente determinata dall'impostazione sistematica del Codice della Giustizia Sportiva del Coni che, nei "Principi del processo sportivo" prevede la piena tutela di tutti i soggetti dell'ordinamento, ma secondo i principi del giusto processo di stampo civilistico (contraddittorio, parità delle parti, ragionevole durata); impostazione ripresa in tutti i Regolamenti di giustizia federali.

Considerata la impossibilità di negare la sussistenza delle predette garanzie, è inevitabile la "contaminazione" penalistica del sistema, considerato, peraltro, che se si dovesse applicare il rito civile al processo disciplinare molti procedimenti non potrebbero nemmeno essere avviati, stante ad esempio la impossibilità - nel processo civile - di testimoniare da parte della persona offesa.

Tanto premesso, occorre analizzare come vengano (o non vengano) riconosciuti detti istituti nell'ordinamento sportivo.

Per quanto attiene al "nemo tenetur se detegere" una recente sentenza della Corte Federale D'Appello di una Federazione Sportiva Nazionale, confermando la decisione di primo grado, ha stabilito che "appare corretto il riferimento al c.d. diritto alla "menzogna", quale corollario del più generale diritto alla difesa (alla non auto incriminazione). Tale generale principio di diritto non può non trovare propria estrinsecazione anche nell'ordinamento sportivo della Federazione che qui occupa, trattandosi di principio di diretta derivazione Costituzionale (att. 24 Cost.).".

Tale decisione è relativa alla posizione di un atleta che era stato sentito dalla Procura Federale per asseriti illeciti che avrebbe consumato e le sue dichiarazioni non corrispondevano al vero. L'atleta in questione veniva deferito a giudizio ove gli si contestavano, fra gli altri illeciti, anche le false dichiarazioni rese in fase di indagine.

Sul punto, la Corte ha statuito che "È di tutta evidenza come il "diritto alla menzogna" si debba, senz'altro, applicare nel momento in cui vi è una formale apertura di procedimento a carico, ma debba trovare la sua più generale, e si ritiene, corretta estrinsecazione anche in una fase di poco precedente all'apertura di un procedimento a proprio carico, ovvero per impedire che tale apertura abbia luogo, ovvero al fine di salvare se medesimo da un grave e inevitabile danno alla libertà o all'onore. (…)"(Cfr. Corte Federale D'appello FIDS – Federazione Italiana Danza Sportiva, n. 1/2023).

La circostanza che la decisione sia stata presa in "doppia conforme", in assenza di precedenti contrari, consente di affermare che il diritto di mentire per tutelare se stessi trova pacificamente applicazione anche nell'ordinamento sportivo.

Per quanto riguarda il principio del "ne bis in idem" una recente decisione del Tribunale Federale di una Federazione Sportiva Nazionale ha stabilito che il divieto del doppio giudizio trova applicazione anche nell'ordinamento sportivo e, precisamente "il principio del ne bis in idem si applica certamente al diritto sportivo, ma nel senso di impedire di ritornare sul "già deciso" attraverso un nuovo giudizio e quindi al di fuori di una serie procedimentale prevista espressamente (e composta da una pluralità di gradi processuali). L'elemento comune di tale principio può essere tendenzialmente identificato nel divieto di ritornare sul già deciso, di ripetere un giudizio, in altri termini di compiere una seconda volta (un bis) un'attività svolta, o in via di svolgimento, in quanto forma di sovrapposizione ripetitiva e successiva con un nuovo giudizio processuale sulla medesima regiudicanda, al di fuori, si noti, di una serie procedimentale prevista espressamente (pluralità di gradi o di fasi in un sistema di impugnazione o di riesame o di separazione di giudizi). Pertanto il divieto del bis in idem non può, in modo assolutamente certo, essere riferito a tutte le previsioni di successive fasi processuali o gradi di procedimento espressamente previste (principio di legalità) nei diversi sistemi processuali (rimedi e specifici istituti di carattere impugnatorio, o di revisione, o di riesame o di separazione)." (Cfr. Alta Corte di Giustizia Sportiva, 11 maggio 2012, n. 9).

Ancora, "Pertanto, quando, come nel caso che occupa, si è all'interno di una tale progressione di fasi processuali o gradi di procedimento successivi, espressamente disciplinati dall'applicabile ordinamento (principio di legalità), si è anche all'interno del medesimo processo e non vi è alcun possibile spazio all'applicazione del divieto del ne bis in idem" (Cfr. Corte federale d'appello, Sez. II, n.76/CFA/2019-2020).

Sul punto si segnala la recente pronuncia della Corte Federale D'Appello a Sezioni Unite della FIGC - Federazione Italiana Giuoco Calcio, Decisione/0063/CFA-2022-2023.

In conclusione, quindi, anche il principio del ne bis in idem viene riconosciuto nell'ordinamento sportivo sebbene manchi una vera e propria norma che lo codifichi.

Su tale istituto appare doveroso distinguere il ne bis in idem propriamente detto, e cioè un doppio giudizio da parte dello stesso Organo giudicante, dal giudizio sullo stesso fatto da parte di Organi appartenenti ad altre giurisdizioni. Il Codice di Giustizia Sportiva del CONI, infatti, si occupa di normare solo i rapporti tra giudizio disciplinare e penale (essendo tra loro evidentemente speculari), lasciando alle interpretazioni giurisprudenziali i rapporti tra le decisioni sportive e Amministrative, limitandosi a prevedere che il Tribunale Amministrativo (di seguito "TAR") possa essere adito solo dopo aver esaurito i gradi della giustizia sportiva.

Purtroppo l'annoso problema della concreta possibilità che, proprio in ragione della competenza in successione della giustizia sportiva e amministrativa, si possano celebrare cinque gradi di giudizio, non appare risolvibile se non con un intervento del legislatore; diverso è il caso del possibile ne bis in idem tra organi che appartengano alla Giustizia sportiva, in particolare tra organi di giustizia nazionali e internazionali. La possibile sussistenza della violazione del divieto del doppio giudizio, nell'ipotesi che un tesserato venga doppiamente giudicato appare concreta atteso che, oltre al medesimo fatto, il giudizio avrebbe la stessa natura e anche lo stesso tipo di sanzione, non potendosi così invocare l'autonomia dei giudizi per la diversità dell'oggetto della decisione (il TAR per le questioni economiche e il Giudice penale per le obbligatorie sanzioni di esclusiva competenza dello Stato).

Il Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, con sentenza recentissima, ha ritenuto insussistente la violazione del ne bis in idem in tale ipotesi, affermando che: "La giurisdizione sportiva nazionale e quella internazionale rappresentano sistemi di giustizia distinti, con autonome e differenti competenze, essendo gli stessi volti a sanzionare la violazione di norme diverse: da un lato, quelle attinenti alla disciplina della competizione internazionale; dall'altro quelle disciplinari dell'affiliato alla Federazione nazionale; di tal ché il fatto che due procedimenti siano condotti in parallelo su medesimi fatti, vale a dire uno dinanzi ai Tribunali Federali Nazionali e uno avanti ai tribunali internazionali, non viola il principio del "ne bis in idem" e ciò in considerazione del fatto che le competenze e le attribuzioni delle due giurisdizioni sono distinte." (Cfr. Collego di Garanzia dello Sport del CONI, Sez. IV, Decisione N. 1/2022).

Pertanto, sulla scorta di tale decisione, la giurisdizione sportiva nazionale ed internazionale si ritengono distinte ed indipendenti; rimane insoluto il problema relativo al coordinamento della esecuzione delle sanzioni, onde evitare che possano determinarsi duplicazioni eccessivamente afflittive, che potrebbero violare il principio, anche questo costituzionalmente garantito, della funzione rieducativa della pena.

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*A cura di

Stefania Cappa, Avvocato specializzato in Diritto dello Sport e Diritto Penale; Partner dello Studio Legale Ermanno Cappa & Partners; Procuratore Federale FISI - Federazione Italiana Sport Invernali; Giudice Sportivo Territoriale Area Nord FGI - Federazione Ginnastica d'Italia e Membro della Commissione Diritto dello Sport ed Eventi Sportivi dell'Ordine degli Avvocati di Milano.

Michele Rossetti, Avvocato penalista abilitato al patrocinio innanzi le giurisdizioni superiori dal 2002. Docente presso la Scuola di Formazione Forense di Taranto, componente dell'Osservatorio delle scuole di alta specializzazione dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Coautore di testo scientifico sul diritto sportivo, nonché autore e coautore di diversi articoli scientifici in diritto sportivo. Procuratore Federale FGI - Federazione Ginnastica d'Italia.

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