Lavoro

Evasione contributiva, è onere del datore provare l'insussistenza dell'intento fraudolento

Nota a Cassazione – sezione Lavoro – Pres. Umberto Berrino- rel. Luigi Cavallaro- PM Mario Fresa concl: rigetto- sent n. 21831/2022 ud. 2.3.22 pubblicata 11.7.2022

di Valeria Cosentino

Con la recente pronuncia indicata il Supremo Collegio riafferma il principio già dettato in precedenti sentenze, per cui in caso di denunce omesse o non veritiere ricorre un'ipotesi di evasione ai sensi dell' art. 116 comma 8 lett b) legge 388/2000 in quanto si presume il fine fraudolento di voler occultare il rapporto di Lavoro o la retribuzione erogata; si tratta di una presunzione relativa che può esser vinta in presenza di circostanze dimostrative della buona fede datoriale o dell'assenza del fine fraudolento.

Il caso portato all'esame della Suprema Corte trae origine da un giudizio di opposizione a cartella esattoriale avente ad oggetto la richiesta di pagamento da parte dell'INPS di una somma a titolo di contributi, somme aggiuntive ed interessi di mora, nelle quale le somme aggiuntive erano state calcolate applicando il regime sanzionatorio più afflittivo della evasione contributiva.

La società nel ricorso in opposizione aveva allegato specifiche circostanze dalle quali era possibile innanzitutto evincere che l'importo portato dalla cartella opposta a titolo di contributi omessi era stato regolarmente pagato, tant'è che vi erano stati da parte dell'ente provvedimenti di sgravio e che per le residue somme non pagate erano intercorse trattative con l'Istituto in forza delle quali l'avviso bonario ritenuto errato era stato restituito in attesa dell'emanazione dell'avviso corretto.

Così prospettati i fatti, il Tribunale previa nomina di CTU, accoglieva parzialmente la opposizione ritenendo che, ai sensi dell'art. 116 co 8 lett b), gravasse sull'Istituto l'onere di provare l'intento fraudolento, statuendo che nella nuova formulazione, per configurare il regime sanzionatorio dell'evasione l'Istituto dovesse allegare elementi ulteriori rispetto alla mera omissione dell'invio delle denunce di legge, prova però non offerta dall'INPS, con la conseguenza che doveva esser applicato il regime sanzionatorio dell'omissione previsto dalla lett. a) dell'art. 116 co 8 citata legge.

Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società ed appello incidentale l'INPS richiamando l'orientamento secondo il quale era sufficiente l'omesso invio delle denunce obbligatorie per configurare l'evasione contributiva, dovendosi presumere in tale condotta datoriale l'intento fraudolento di voler occultare all'Istituto il rapporto di Lavoro o la retribuzione corrisposta e sottrarsi così l'obbligo contributivo.

La Corte di appello, con la sentenza poi cassata, ha accolto l'appello incidentale, ritenendo sufficiente a configurare l'evasione il solo mancato invio delle denunce obbligatorie (DM 10), in quanto in sé idoneo a provare l'intento fraudolento, tuttavia omettendo qualsivoglia esame delle circostanze addotte dal datore a sostegno della sua buona fede.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento nel solco tracciato da precedenti pronunce (Cass. 28966 del 2011, successive conformi 10509 del 2012 , 4188 del 2013, 10427 del 2018), ha ribadito il principio anche sopra ricordato per cui onde configurare l'evasione, ai sensi dell'art. 116 co 8 lett. b) L. 388/2000, è sufficiente che la denuncia obbligatoria sia mancata o incompleta o non conforme, in quanto così facendo il datore nasconde all'ente la sussistenza dei presupposti fattuali dell'imposizione, a nulla rilevando che le effettive retribuzioni vengano comunque registrate, ed eventualmente accertabili dall'Ente a seguito di verifica (in senso conforme si segnala, altresì, anche recente Cassazione Sezione L-Civile- Ordinanza-3 febbraio 2022 n. 3420).

Ricorda, inoltre, il Supremo Collegio che il sistema contributivo postula la collaborazione spontanea tra soggetti tenuti alla regolarità contributiva, di qui la presunzione che, in caso di omesso invio del DM 10 o di denuncia non conforme al vero o incompleta, vi sia l'intento del datore di voler occultare il rapporto di lavoro o la retribuzione, confidando nella possibilità che la mancanza di accertamenti o di riscontro da parte dell'Istituto entro i termini prescrizionali gli consenta di sottrarsi al corretto adempimento dell'obbligo contributivo.

Tuttavia, come aveva già statuito la Suprema Corte nella sentenza resa a SSUU (n. 28966 del 27.11.2017) l'elemento psicologico introdotto dall'art 116 comma 8 lett. b) consente di ritenere che la presunzione circa la sussistenza dell'intento fraudolento non è assoluta, bensì relativa e può esser vinta dalla prova, a carico del datore inadempiente, che l'omesso invio della denuncia o l'invio di una denuncia non veritiera, sia avvenuto in buona fede, sul punto allegando circostanze precise e dimostrative dell'assenza dell'intento fraudolento, con conseguente applicazione della più tenue sanzione prevista dalla lettera a).

Peraltro, anche l'INPS nella Circolare 106 del 5.7.2017 , previa ricostruzione del Quadro normativo che regola le sanzioni in caso di mancate trasmissioni, inoltri tardivi o contenenti informazioni non veritiere del flusso Uniemens, nell'individuare gli elementi sulla cui base poteva esser valutata la ricorrenza dei profili soggettivi (intenzione specifica di non versare i contributi o premi) ed oggettivi (denuncia omessa, incompleta o non conforme al vero), alla stregua della giurisprudenza creatasi dopo l'entrata in vigore della legge 388/2000, ammette che spetterà al Giudice di merito la verifica della sussistenza o meno della buona fede datoriale. Prova della buona fede che era stata fornita nel caso in esame, per cui il Supremo Collegio ha cassato la sentenza di appello per non aver valutato le circostanze di fatto allegate dal datore a sostegno della assenza dell'intento fraudolento e della sua buona fede.

Il Supremo Collegio, infatti, a fronte di specifiche allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, puntualmente richiamate in appello e in cassazione, ha ritenuto sussistente il vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360 n.5 cpc) ed ha, per tale ragione, accolto il ricorso proposto dalla Società e cassato la sentenza di appello.

In conclusione, con la sentenza in esame viene ribadito il principio già affermato dalle SSUU con la sentenza 28966/2011 , secondo il quale la mancata o infedele presentazione delle denunce obbligatorie all'INPS fa presumere l'esistenza di una volontà del soggetto inadempiente, tesa all'occultamento di informazioni, che integra la fattispecie della evasione contributiva, ferma restando la possibilità di dimostrare l'assenza di tale volontà, con prova a carico del datore, il quale non si potrà limitare a eccepire la corretta compilazione del Lul (o di altri documenti similari), ma dovrà fornire allegazioni idonee a provare la sua buona fede, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito.

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