Lavoro

Lavoratori subordinati, ok ad altre attività durante la malattia ma solo se non "ritardano" la ripresa del servizio

La Cassazione (sentenza 13063/2022) ha precisato che il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è irrilevante sul piano disciplinare

di Pietro Alessio Palumbo

Nel nostro ordinamento non sussiste un generale divieto per il dipendente privato di prestare altra attività, anche a favore di terzi, in costanza di assenza per malattia; per cui ciò non costituisce, di per sé, inadempimento degli obblighi imposti dalla legge. Tale principio trova fondamento nella nozione di malattia rilevante a fini di sospensione della prestazione lavorativa che ricomprende le situazioni nelle quali l'infermità abbia determinato, per gravità o per incidenza sulle mansioni svolte dal dipendente, una concreta ed attuale – ancorché transitoria - incapacità al lavoro. Anche laddove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività oggetto del rapporto di lavoro, può infatti accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al lavoratore altre ovvero diverse attività. Tuttavia - ha precisato la Corte di Cassazione (sentenza 13063/2022) - il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è irrilevante sul piano disciplinare. Anzi, in extremis, può persino giustificare il licenziamento per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e di quelli contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può accadere non solo nell'ipotesi in cui la diversa attività sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza dell'infermità addotta (una fraudolenta simulazione); ma anche quando l'attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata, nonché alle mansioni svolte nell'ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o anche solo "ritardare" la guarigione e il conseguente rientro in servizio del lavoratore.

Gli obblighi del lavoratore
Durante il periodo di sospensione del rapporto determinato dalla malattia permangono in capo al lavoratore tutti gli obblighi non inerenti allo svolgimento della prestazione. Un complesso di obbligazioni che riverbera i suoi effetti sulle condotte dei lavoratori; e che devono essere ispirate all'esigenza di salvaguardare l'interesse creditorio del datore di lavoro alla effettiva esecuzione della prestazione dovuta.
Se è vero che la disciplina civilistica del rapporto di lavoro in deroga ai principi generali, riversa entro certi limiti sul datore di lavoro il rischio della temporanea impossibilità lavorativa dovuta a infermità; è anche vero che tale deroga deve essere armonizzata con i princìpi di correttezza e buona fede che devono presiedere all'esecuzione del contratto. Principi che assumono rilevanza non solo sotto il profilo del comportamento dovuto in relazione a specifici obblighi di prestazione, ma anche sotto il profilo delle modalità di generico comportamento delle parti ai fini della concreta realizzazione delle rispettive posizioni di diritti e obblighi; imponendo a ciascuna di esse il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra. E ciò anche a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.

Osservare le cautele terapeutiche
Pertanto il lavoratore deve in ogni caso astenersi da comportamenti che possano ledere l'interesse del datore di lavoro alla corretta esecuzione delle obbligazioni dedotte in contratto. La mancata prestazione lavorativa in conseguenza dello stato di malattia del dipendente in tanto trova tutela nelle disposizioni contrattuali e codicistiche in quanto non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore medesimo, che operi scelte capaci di pregiudicare l'interesse datoriale a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa. In tale prospettiva assume particolare rilievo l'eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall'infermità. Ciò affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere la prestazione principale cui si è obbligati: sia che si intenda tale dovere quale riflesso preparatorio e strumentale dello specifico obbligo di diligenza; sia che lo si collochi nell'ambito dei più generali doveri di protezione scaturenti dalle clausole di correttezza e buona fede nell'esecuzione, evitando comportamenti che mettano in pericolo l'adempimento dell'obbligazione principale del lavoratore per la possibile protrazione dello stato di malattia.
Sul piano probatorio secondo un orientamento, nel caso di un lavoratore assente per malattia il quale sia stato sorpreso nello svolgimento di altre attività, spetta al dipendente dimostrare la compatibilità di esse con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa e quindi la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche. Secondo altro indirizzo invece la prova dell'incidenza della diversa attività lavorativa o extralavorativa nel ritardare o pregiudicare la guarigione ai fini del rilievo disciplinare resta comunque a carico del datore di lavoro. La Suprema Corte ha ritenuto più pertinente questo secondo orientamento.

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