Lavoro

L’assegno d’invalidità va integrato al minimo anche se liquidato col sistema contributivo

Lo ha stabilito la Consulta, sentenza numero 94 di oggi, accogliendo la questioni di legittimità costituzionale sollevata dalla Sezione Lavoro della Corte di cassazione

PALAZZO INPS

È illegittimo l’articolo 1, co. 16, della legge 8 agosto 1995, numero 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui non esclude, dal divieto di applicazione delle disposizioni sull’integrazione al minimo di tutti i trattamenti pensionistici, l’assegno ordinario d’invalidità liquidato interamente con il sistema contributivo. È quanto si legge nella sentenza numero 94, depositata oggi, con la quale è stata accolta una delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla sezione lavoro della Corte di cassazione, in riferimento agli articoli 3 e 38, secondo comma, della Costituzione.

La Corte ha ritenuto che a tale divieto - introdotto dalla cosiddetta “Riforma Dini” relativa al sistema previdenziale, nel contesto del graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo - debba essere sottratto l’assegno ordinario d’invalidità, spettante al lavoratore che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, vede diminuita a meno di un terzo la sua capacità di prestare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini.

Sin dalla sua introduzione a opera della legge numero 222 del 1984, sotto il regime di computo retributivo, l’assegno di cui si discute è stato sempre oggetto di una disciplina peculiare e più benevola, in quanto volta a fronteggiare uno stato di bisogno meritevole di particolare tutela.

A fronte di ciò, anche il modello di integrazione al minimo è sempre stato diverso rispetto a quello previsto per gli altri trattamenti pensionistici: non l’equiparazione automatica al trattamento minimo INPS, ma l’aggiunta di un importo - dapprima pari a quello della pensione sociale, poi sostituita dall’assegno sociale - posto integralmente a carico del fondo sociale, oggi sostituito dalla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (GIAS).

Di conseguenza, secondo la Corte, l’eliminazione dell’integrazione al minimo per l’assegno ordinario d’invalidità liquidato con il sistema contributivo previsto dalla riforma del 1995 non è tale da realizzare il principale obiettivo della stessa, ossia la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, perché la tutela aggiuntiva dell’integrazione al minimo era già finanziata tramite la fiscalità generale, come le prestazioni del sistema assistenziale.

Ulteriore peculiarità dell’assegno ordinario d’invalidità è rappresentata dal fatto che di tale trattamento il lavoratore può aver bisogno anche molto prima del raggiungimento dell’età prevista per il godimento dell’assegno sociale, oggi erogato solo ai cittadini ultrasessantasettenni. E, in caso di assegno ordinario d’invalidità di importo modesto, il soggetto in età attiva bisognoso della tutela di cui si discute, in ragione dell’invalidità, potrebbe essere esposto al rischio di rimanere, anche per lungo tempo, privo di qualsiasi ulteriore supporto economico, là dove: a) non sussistano i requisiti per ricevere anche l’assegno d’invalidità civile; b) non abbia una composizione familiare oppure una situazione reddituale o personale che gli consenta di usufruire di ulteriori sostegni, come l’assegno unico e universale oppure l’assegno di inclusione; c) non abbia la possibilità di trovare altre «occupazioni confacenti alle sue attitudini», nonostante le misure previste dalla legge numero 68 del 1999, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili.

Infine, la Corte ha evidenziato che l’assegno in esame si sottrae al giudizio di disvalore espresso dall’ordinamento nei confronti della fuoriuscita anticipata dal mercato del lavoro di soggetti che, pur ancora in possesso di capacità lavorativa, non abbiano tuttavia accumulato una provvista finanziaria idonea a garantire loro, in vecchiaia, un adeguato trattamento pensionistico. L’assegno ordinario d’invalidità, infatti, è destinato a sopperire a situazioni in cui il lavoratore ha perso, per via dell’invalidità, una rilevante percentuale della sua capacità lavorativa e, quindi, la possibilità di accumulare un montante contributivo adeguato.

Per tutte queste ragioni, la scelta operata dall’articolo 1, comma 16, della legge numero 335 del 1995, di assimilare l’assegno ordinario d’invalidità agli altri trattamenti pensionistici liquidati con il solo sistema contributivo, per assoggettare anche il primo alla previsione di inapplicabilità delle disposizioni sull’integrazione al minimo, è stata ritenuta lesiva dell’articolo 3 della Costituzione, con assorbimento della censura relativa all’articolo 38, secondo comma, della Costituzione.

In considerazione del fatto che una pronuncia di accoglimento avrebbe determinato, in ragione degli ordinari effetti ex tunc, un ingente e improvviso aggravio, per l’anno in corso, a carico della finanza pubblica, in gran parte connesso al recupero degli arretrati, la Corte ha deciso di far decorrere gli effetti temporali della decisione dal giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale.

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