Penale

Decreto 231, modelli organizzativi senza regole specifiche per i dipendenti semplici

Il l tribunale penale di Milano ha condannato la multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson perché non avrebbe adottato modelli organizzativi utili a rilevare ed evitare le mazzette elargite da due ex dipendenti all'ex primario del Cto-Pini per l'acquisto di protesi ortopediche

di Giovanni Negri

Nel contesto della responsabilità 231 non esiste un doppio modello organizzativo, uno per i dipendenti apicali e uno per tutti gli altri. Inoltre, non è sostenibile che i criteri per accertare l’idoneità e l’efficace attuazione del modello non sono diversi a seconda che il reato presupposto sia stato commesso dai vertici aziendali oppure da sottoposti: i criteri, anzi, sono gli stessi, solo declinati con sequenze diverse per la necessità di adattarli alla diversa posizione ricoperta dai responsabili dell’illecito. A queste conclusioni arriva la X Sezione penale del tribunale di Milano con la sentenza n. 3314 del 2023 , di condanna della multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson perché non avrebbe adottato modelli organizzativi utili a rilevare ed evitare le mazzette elargite da due ex dipendenti all’ex primario del Cto-Pini per l’acquisto di decine di protesi ortopediche.

Sul piano giuridico, uno degli snodi cruciali, rispetto al quale è pressoché assente qualsiasi precedente, è costituito dall’interpretazione dell’articolo 7 del decreto 231 del 2001 dedicato ai dipendenti non apicali e al teme dei modelli organizzativi a loro riferiti. A titolo di premessa, i giudici convengono con la prassi aziendalistica che non riconosce un doppio modello, uno per i vertici e uno per tutti gli altri dipendenti. Evidente, in caso contrario, l’intreccio perverso tra il moltiplicarsi di protocolli organizzativi e regole cautelari da una parte e il lievitare dei costi dall’altro.

Di fatto però il decreto 231 disciplina con l’articolo 6 i modelli organizzativi e i soggetti apicali e con l’articolo 7 i modelli organizzativi e i soggetti «sottoposti all’altrui direzione e controllo». Quanto a idoneità dei modelli allora, tema poi determinante nel fare decidere i giudici per la condanna, la tesi della difesa era, nel segno dell’autonomia normativa, di un’autonomia dei parametri di valutazione dei modelli per i dipendenti, con regole diverse da quelle previste nell’articolo 6.

Le conclusioni dei giudici però sono state di tenore diverso, dicendosi qu questo convinti dalla linea interpretativa dell’accusa. Si tratta infatti delle stesse regole solo espresse con diverse terminologie e con riferimento a specificità differenti proprio nel riconoscimento dei diversi soggetti cui si rivolgono. Ma, per esempio, articolo 6, da una parte c’è la richiesta della puntuale e precisa indicazione degli strumenti (i protocolli) e della definizione delle attività disciplinate dai protocolli medesimi, dall’altra un riferimento indeterminato a misure genericamente caratterizzate dall’obiettivo di rispettare la legge. Stesso discorso poi per quanto riguarda la disciplina di attuazione del modello e medesima conclusione per l’impossibilità di individuare, sia pure nel medesimo modello, criteri individualizzati per i non apicali.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©