Penale

Resistenza a pubblico ufficiale, concorso formale omogeneo di reati se gli agenti sono più di uno

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul delitto di cui all'art. 337 c.p., confermando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando le condotte violente o minacciose sono dirette ad opporsi ad un atto di due o più pubblici ufficiali, è integrato un concorso formale di reati e non un singolo reato di resistenza a pubblico ufficiale.

di Francesco Giuseppe Vivone *

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul delitto di cui all'art. 337 c.p., confermando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando le condotte violente o minacciose sono dirette ad opporsi ad un atto di due o più pubblici ufficiali, è integrato un concorso formale di reati e non un singolo reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Questa, in sintesi, la vicenda processuale.

Il Tribunale di Brescia condannava l'imputato al minimo della pena edittale prevista dall'art. 337 c.p., ritenendo che la condotta violenta posta in essere nei confronti di due agenti di polizia locale dovesse qualificarsi come un unico episodio criminoso.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per saltum il Procuratore Generale presso la Procura locale, deducendo che, nel caso di specie, doveva configurarsi una pluralità di reati, in considerazione delle pluralità delle persone offese.

A parere della pubblica accusa, dunque, il Tribunale aveva errato nella qualificazione giuridica dei fatti e, per tale ragione, si chiedeva l'annullamento della sentenza.

Di parere contrario il Procuratore Generale presso la Suprema Corte, secondo cui l'impugnazione proposta sarebbe inammissibile per due ordini di ragioni.Innanzitutto la lettura della norma effettuata dal ricorrente non sarebbe univoca nella giurisprudenza di legittimità; in secondo luogo, il concorso formale non era stato contestato nella formulazione del capo di imputazione e, dunque, non potrebbe riconoscersi nell'ambito di un giudizio per Cassazione.

La questione giuridica posta all'esame della Suprema Corte è connotata da particolare interesse; per una corretta interpretazione della norma, infatti, è necessaria la trattazione di distinti ma connessi temi di indagine.

Il primo concerne le disposizioni di cui all'art. 81, c. 1, c.p. ed in particolare la corretta individuazione dell'ambito del concorso formale omogeneo di reati.

Secondariamente ed in stretta correlazione, si impone un'attenta analisi degli elementi strutturali del delitto di resistenza a pubblico ufficiale focalizzandosi, nello specifico, su quale sia il bene giuridico tutelato dalla norma in parola.

Con riferimento al primo tema di analisi, è opportuno ricordare che il concorso formale omogeneo di reati può dirsi realizzato quando, con un'unica azione, sia violata più volte la medesima disposizione di legge.

L'azione è da intendersi unica tanto quando sia stato posto in essere un unico atto quanto nell'ipotesi in cui gli atti siano molteplici ma legati tra loro da un punto di vista temporale, spaziale e di finalità criminose.

Da un punto di vista pratico e applicativo, è necessario scindere idealmente la vicenda in tante parti quanti sarebbero gli eventi giuridici, da intendersi questi ultimi come la realizzazione della offesa al bene giuridico tutelato attraverso la condotta tipica descritta dalla norma.

Orbene, si avrà concorso formale omogeneo di reati quando ognuno degli eventi giuridici di cui è composta complessivamente la condotta sia sussumibile alla fattispecie astratta di reato.

In ossequio al principio di colpevolezza, non si può far derivare la pluralità o l'unicità dell'azione esclusivamente dal mero calcolo dei beni giuridici offesi; non può prescindersi, infatti, da un'attenta analisi dell'elemento piscologico del reato.

Alla luce di tali premesse, perché vi sia concorso formale sarà necessario verificare che nel caso concreto il dolo investa ciascuno dei singoli frammenti del fatto, ciascuna delle offese al bene giuridico tutelato e leso dalla realizzazione del fatto tipico di reato.

Tutto ciò premesso, si rende necessaria l'individuazione del bene giuridico tutelato e protetto dal delitto di resistenza a pubblico ufficiale, compiendo un approfondito esame del delitto di cui all'art. 337 c.p, con particolare riferimento alla struttura della fattispecie legale.In seno alla Corte di cassazione si sono per lungo tempo alternati due orientamenti contrapposti.

Secondo il primo indirizzo, la violenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto verso molteplici pubblici ufficiali, pur ledendo unitariamente l'interesse del regolare funzionamento della Pubblica Amministrazione, sono offensive in maniera distinta del libero espletamento delle attività di ogni singolo pubblico ufficiale coinvolto.

Secondo un secondo orientamento, la lesione dell'interesse protetto è da individuarsi esclusivamente nell'ostacolo all'esecuzione dell'atto che deve essere eseguito.

L'integrità dei pubblici ufficiali coinvolti sarebbe, invece, tutelata dalle norme poste a tutela dei suddetti beni giuridici e potrebbero trovare spazio applicativo nella imputazione ogniqualvolta sia oltrepassata la soglia delle percosse o minacce lievi poste in essere per opporsi all'atto richiesto.

Per comporre il suddetto contrasto giurisprudenziale, nel 2018 è intervenuta la cassazione nel massimo consesso.

Le Sezioni Unite, preliminarmente, mettono un punto fermo sull'individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma: la collocazione codicistica e la stessa intitolazione della disposizione in esame non lasciano spazi a dubbi interpretativi sul fatto che esso sia rinvenibile nel "regolare funzionamento della Pubblica Amministrazione".

Esso, a parere della Corte, non è da intendersi esclusivamente come "mancanza di manomissione dei beni pubblici o la loro distrazione dagli scopi istituzionali" bensì, in una visione più ampia, come "mancanza di interferenze nel processo volitivo od esecutivo di colui che personifica l'amministrazione esprimendone la volontà".

In ossequio al principio di immedesimazione organica, infatti, il pubblico ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio è esso stesso la pubblica amministrazione, costituendo la sua estrinsecazione nel mondo giuridico.

Pertanto, l'interesse al normale funzionamento della PA è da intendersi in senso ampio, ricomprendendo anche la sicurezza e la libertà di determinazione e di azione del singolo pubblico ufficiale.

Nella sentenza in commento, la sesta sezione della Corte aderisce alla ricostruzione operata dalle Sezioni Unite sottolineando, peraltro, che l'orientamento evocato dal Pubblico ministero in sede è "precedente e superato" e, dunque, privo di fondatezza.

A parere dei giudici, inoltre, è da ritenersi priva di fondamento anche l'osservazione sulla mancata contestazione del concorso nel capo di imputazione.

La continuazione e il concorso di reati, infatti, sono istituti che incidono esclusivamente sulla misura della pena e, dunque, rimangono estranei alle relative condotte tipiche.In conclusione, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal procuratore generale e rinvia al Giudice di appello per la rideterminazione della pena, alla luce della pluralità di reati commessi in concorso formale tra loro.

*a cura dell'avv. Francesco Giuseppe Vivone


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