Penale

Doping: incostituzionale (per eccesso di delega) il dolo specifico del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti

La sentenza costituzionale n. 105/2022 ha dichiarato parzialmente illegittimo, per violazione dell'articolo 76 della Costituzione, il delitto di cui all'articolo 586, comma 7, del Cp

di Aldo Natalini

Commercio illecito di sostanze dopanti: è incostituzionale, per eccesso di delega, la previsione del dolo specifico del "fine di alterare le prestazione agonistiche degli atleti", aggiunto dal legislatore delegato del 2018, in attuazione al principio di "riserva di codice" ma in difetto di una valida legge di delegazione, essendo il governo autorizzato a trasferire nel codice penale, in forza dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 103/2017, solo le figure criminose già contemplate dalla legislazione di settore, tra cui quelle ad oggetto la "tutela della salute", mentre non era autorizzato ad abbassare il livello di contrasto delle condotte costituenti reato.
Così la sentenza costituzionale n. 105/2022 (deliberata lo scorso 9 marzo e depositata il 22 aprile) che ha dichiarato parzialmente illegittimo, per violazione dell'articolo 76 della Costituzione, il delitto di cui all'articolo 586, comma 7, del Cp – come introdotto nel Codice penale dall'articolo 2, comma 1, lettera d), del Dlgs 21/2018 – nella parte in cui, sostituendo l'articolo 9, comma 7, della legge 376/2000, del pari abrogato dall'articolo 7, comma 1, lettera n, del medesimo Dlgs 21/2018) – reca il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti».
La Consulta ha così ripristinato l'originaria formulazione della norma incriminatrice, già prevista – in termini di dolo generico – dall'abrogato articolo 9, comma 7, della legge 376/2000, il quale non prevedeva alcun filtro selettivo di penale rilevanza della condotta, laddove puniva la commercializzazione tout court di sostanze dopanti, a prescindere dalla finalità del soggetto attivo; finalità richiesta nelle (autonome) incriminazioni di eterodoping e di autodoping (ora rifluite ai commi 1 e 2 dell'articolo 586-bis del Cp) e che è stata annessa dal legislatore delegato nel 2018 anche alla fattispecie di commercio di sostanze dopanti (comma 7 dell'articolo 586-bis del Cp) ma in spregio al criterio di delega, che non autorizzava l'esecutivo ad una riduzione della fattispecie di reato nella sua trasposizione nel codice penale.
Infatti, l'effetto di tale "aggiunta" – scorrettamente operata, sentenzia la Corte costituzionale, perché contrasta con la ratio sottesa ai criteri e principii della delega, "che non autorizzava un abbassamento del livello di contrasto delle condotte costituenti reato secondo la legislazione speciale" – è stata la realizzazione di una parziale abolitio criminis, non essendo più punito il commercio di sostanze dopanti in assenza dello specifico fine (ovvero della prova della volontà) "di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti" o di modificare i risultati dei controlli (non essendo ovviamente richiesto, come in tutti i reati a dolo specifico, che quel fine fosse effettivamente conseguito).

La norma censurata e le ordinanze di rimessione
Erano stati il Tribunale di Busto Arsizio e la Terza sezione penale della Corte di cassazione, con ordinanza n. 26326/2020, a sollevare analoghe questioni di legittimità costituzionale – per contrasto con l'articolo 76 della Costituzione – dell'articolo 586-bis, comma 7, del Cp («Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche che degli atleti ovvero idonei a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente») nella parte in cui prevede il dolo specifico del "fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti".
In particolare, la censura dei Supremi giudici muoveva dal rilievo – oggi pienamente accolto dalla Consulta – secondo il quale il legislatore delegato del 2018, nel dare attuazione alla delega contenuta nella "legge Orlando" n. 103/2017 relativa all'introduzione del principio della cosiddetta "riserva di codice" nel nostro ordinamento penale – non si sarebbe limitato a traslare "tal quale" all'interno del Codice penale la fattispecie di commercio di sostanze dopanti già prevista dall'articolo 9, comma 7, delle legge 376/2000, ma ne avrebbe altresì modificato il precetto penale in punto di nesso psichico.
L'aggiunta del dolo specifico, infatti, sia pure incidendo sul solo elemento soggettivo, ha determinato una parziale abolitio criminis delle condotte di commercio clandestino di sostanze dopanti che, stando alla riformulazione dell'articolo 586-bis, comma 7, del Cp, dovrebbero essere sanzionate penalmente soltanto quando finalizzate all'alterazione delle prestazioni agonistiche degli atleti.
La riduzione dell'area penalmente rilevante così operata in assenza di una legittimazione nella legge delega ha integrato – a parere del Cassazione – una violazione dell'articolo 76 della Carta costituzionale, con la conseguente illegittimità della disposizione normativa introdotta e la ritenuta
La Cassazione aveva premesso l'ammissibilità ai sensi dell'articolo 25, comma 2, della Costituzione della sollevata questione di costituzionalità, ancorché determinante il ripristino di una norma incriminatrice abrogata, vertendosi in ipotesi di scorretto esercizio del potere legislativo da parte del governo, che ha abrogato mediante decreto legislativo una disposizione penale, senza a ciò essere autorizzato dalla legge delega. In tal caso, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale, "qualora la disposizione dichiarata incostituzionale sia una disposizione che semplicemente abrogava una norma incriminatrice preesistente (...) la dichiarazione di illegittimità costituzionale della prima non potrà che comportare il ripristino della seconda, in effetti mai (validamente) abrogata" (Corte costituzionale n. 37/2019).
La Suprema corte remittente aveva proposto quale petitum dell'ordinanza di rimessione – oggi perfettamente accolto dalla Consulta – quello di elidere dalla disposizione censurata solo l'inciso che ha introdotto il dolo specifico "del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti": soluzione ritenuta la più idonea ad eliminare quella sola parte della nuova disposizione che ha prodotto un illegittimo effetto modificativo rispetto a quelle che erano state le scelte di penalizzazione compiute dal Parlamento.

Il dictum: l'eccesso di delega
La Corte costituzionale ha accolto le questioni di costituzionalità sollevate dai giudici a quibus ritenendo che la scelta del legislatore delegato del 2018 di inserire l'elemento soggettivo del «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti» nella fattispecie incriminatrice del commercio illecito delle sostanze dopanti, contrasta con l'articolo 76 della Costituzione in quanto effettuata al di fuori della delega legislativa.
Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento e lo stato della giurisprudenziale di legittimità in materia di doping, la Corte costituzionale sottolinea che l'inserimento della nuova disposizione nel codice penale doveva tradursi – secondo il criterio di delega dettato dalla "legge Orlando" – in una operazione di mera trasposizione nel codice penale delle figure criminose già esistenti.
La norma di delega di cui all'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 103/2017 mirava all'attuazione, sia pure tendenziale, del principio della "riserva di codice nella materia penale", al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettività della funzione rieducativa della pena: si trattava – come chiarito nella Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo – di un mero progetto di "riordino" della materia penale "ferme restando le scelte incriminatrici già operate dal Legislatore", così da preservare la centralità del codice penale secondo la gerarchia di interessi che la Costituzione delinea, dovendosi "escludere che l'attività delegata possa consistere in modifiche alle fattispecie vigenti, contenute in contesti diversi dal codice penale".
La delega, nel demandare al Governo "l'inserimento nel codice penale delle fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore", assumeva l'univoco significato di precludere, al legislatore delegato, di modificare in senso, sia ampliativo, sia restrittivo, le fattispecie criminose vigenti nella legislazione speciale.
Di contro il legislatore delegato, nel compiere l'operazione di "riassetto normativo" nel settore del doping, ha invece arricchito la descrizione della fattispecie del reato di commercio illecito di sostanze dopanti, idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, con l'introduzione del «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti »; fine che – rammenta opportunamente la Consulta – è presente con la stessa formulazione testuale nei primi due commi, sia del medesimo articolo 586-bis Cp, sia dell'articolo 9, comma 7, delle legge 376/2000, e che dalla giurisprudenza di legittimità è stato qualificato come dolo specifico.
In tal modo l'esecutivo, nell'esercizio della delega, ha sensibilmente ridotto la fattispecie penale del commercio di sostanze dopanti alla sola ipotesi in cui il suo autore persegua il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti», al pari di chi procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di sostanze dopanti. Ma questa limitazione – secondo i giudici della Consulta – mentre è conforme alla legge-delega quanto alle condotte del primo e del secondo comma dell'articolo 586-bis del Cp, perché già presente nei corrispondenti primi due commi dell'articolo 9 della legge 376/2000, si pone invece in contrasto con il criterio di delega quanto alla condotta di commercio di sostanze dopanti di cui al settimo comma della disposizione codicistica perché non presente nel citato comma 7 dell'articolo 9.
In definitiva, la novella censurata altera significativamente la struttura della fattispecie di reato che, per effetto di tale innovazione, punisce la condotta di commercio delle sostanze dopanti solo se posta in essere al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti e quindi solo se sussiste, in questi termini, il dolo specifico. Anche il baricentro del bene giuridico protetto risulta deviato dalla salute, individuale e collettiva, delle persone alla correttezza delle competizioni agonistiche.
Per la Consulta il Governo ha operato una riduzione della fattispecie penale, perché, richiedendo il dolo specifico, ha ristretto l'area della punibilità della condotta di commercio di sostanze dopanti: ciò si pone in contrasto con le indicazioni vincolanti della legge delega, che non attribuiva il potere di modificare le fattispecie incriminatrici già vigenti, e quindi viola l'articolo 76 della Costituzione.

L e ricadute intertemporali del dictum sui fatti pregressi e futuri
Per effetto dell'odierna caducazione si "allarga" l'area di penale rilevanza della fattispecie incriminatrice in disamina – trattasi, infatti, di declaratoria di incostituzionalità che determina pro futuro effetti in malam partem (a decorrere dal giorno successivo della pubblicazione in Gazzetta della decisione della Corte: articolo 136, comma 1, della Costituzione) – essendo d'ora in poi richiesto, a fini di perfezionamento del nesso psichico, il solo dolo generico (come in passato, fino al 5 aprile 2018: vedi Cassazione, sezione III, n. 30889/2018; Id., n. 19198/2017; Id., n. 11277/2002) e non più il dolo specifico di ulteriore offesa, che svolgeva funzione selettiva, cioè restrittiva della punibilità, perché esigeva l'ulteriore requisito (sia pure meramente psichico) della volontà di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, in difetto del quale il fatto non costituiva reato.
Sotto il profilo intertemporale, il dictum in commento fa "rivivere" il delitto di commercializzazione di sostanze dopanti, nella sua formulazione originaria di cui all'articolo 9, comma 7, della legge 376/2000 (quindi "epurato" del dolo specifico), nei confronti di tutti quei soggetti che commisero il fatto-reato prima del 6 aprile 2018 (data di entrata in vigore del Dlgs 21/2018 , che ha attuato il principio della "riserva di codice"), e nei confronti di soggetti che lo commetteranno in data successiva alla pubblicazione della sentenza costituzionale sulla Gazzetta ufficiale (articolo 136, comma 1, della Costituzione).

LA MASSIMA
Reati e pene - Reato di commercio illecito di farmaci o di altre sostanze dopanti al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti – Articolo 586-bis, comma 7, del Cp, introdotto dal Dlgs 21/2018 - Previsione del dolo specifico del "fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti".
(Costituzione, articolo 76; Cp, articolo 586, comma 7; Dlgs 21/2028, articolo 2, comma 1, lettera d)
È costituzionalmente illegittimo – per violazione dell'articolo 76 della Costituzione – l'articolo 586-bis, settimo comma, del Codice penale, introdotto dall'articolo 2, comma 1, lettera d), del Dlgs 1° marzo 2018, n. 21 (recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103»), limitatamente alle parole «al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti».
Corte costituzione, sentenza 9 marzo-22 aprile 2022, n. 105 – Pres. Amato; Rel. Amoroso

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©