Lavoro

Da dipendente a socia: limiti rigorosi alla prova della dissimulazione

Il giudice rigetta in blocco la domanda di nullità/annullamento del contratto

di Alessandro Galimberti

Limiti rigorosi alla prova della simulazione delle prestazioni accessorie negli statuti delle Spa.

Il tribunale del lavoro di Firenze (giudice Anita Maria Brigida Davia, sentenza del 16 febbraio nella causa RG 1201/2020) ha rigettato la domanda di nullità/annullamento proposta da una parrucchiera “trasformata” in socia dai suoi ex datori di lavoro. Il giudice ha respinto la tesi della simulazione di default di questo tipo di operazioni, applicando invece il criterio rigido dello scrutinio sulla cause di nullità codicistiche. A fine 2018 la lavoratrice aveva ricevuto la proposta di diventare socia del salone con un conferimento simbolico (504 euro), con la prospettiva di un vincolo «a tempo indeterminato» e con una paga giornaliera di 15 euro, incrementabile con i dividendi del profitto.  A termini (teorici) di codice civile, si tratterebbe di prestazioni accessorie regolate dall’articolo 2345 «non consistenti in danaro» di cui è determinato «il contenuto, la durata, le modalità e il compenso» e stabilite «particolari sanzioni per il caso di inadempimento».

Dopo circa un anno la parrucchiera impugnava l’accordo chiedendone la nullità (in subordine l’annullamento) per dissimulazione di un contratto di lavoro subordinato, l’integrazione di 17 mila euro di retribuzione e l’accertamento di un contratto da dipendente a tempo indeterminato. La domanda è stata però rigettata in blocco dal tribunale fiorentino, che ha riconosciuto pienamente valido il contratto sociale nei suoi tre elementi costitutivi: stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico; liceità dell’oggetto sociale; presenza nell’atto costitutivo di indicazione riguardante la denominazione, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale, o l’oggetto sociale.

Per quanto riguarda i conferimenti in prestazioni accessorie, la simulazione e la frode sono escluse dal fatto che «la ricorrente nel corso di tutto il periodo oggetto di causa ha esercitato appieno i poteri e le facoltà connesse al suo status di socia: ha approvato i regolamenti disciplinanti il funzionamento della società e votato le delibere». In tale contesto «appare irrilevante per riconducibilità della sua attività ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, la circostanza che fosse tenuta all’osservanza di orari predeterminati, percepisse compensi commisurati alle giornate di lavoro e dovesse osservare direttive, in quanto le prestazioni rese appaiono rivolte a consentire alla società il conseguimento dei suoi fini istituzionali».

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