Civile

Opponibilità ai terzi della comunione degli utili e degli acquisti, costituita prima della riforma del diritto di famiglia

L'ordinanza della Cassazione permette di inquadrare alcuni aspetti della comunione legale, istituto che mette a dura prova le capacità di un giurista

di Valeria Cianciolo

L'opponibilità ai terzi della comunione legale, costituita prima della riforma, è condizionata solo all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio. Lo ha ribadito la Cassazione civile con l'ordinanza 17207/2021.

Il caso. Tizia, vedova di Caio, socio di una società di fatto, conveniva in giudizio i soci e il curatore fallimentare, affermando che con atto antenunziale trascritto nei registri immobiliari nel 1955, aveva pattuito con l'allora futuro marito, il regime patrimoniale della comunione dei beni, in ragione della quale tutti i beni mobili e immobili acquistati dal defunto in costanza di matrimonio erano caduti in comunione. Tale convenzione era perciò opponibile al Fallimento.
Nel 1980 il marito aveva ceduto a Tizia una serie di immobili ereditati, di sua esclusiva proprietà e anche beni in comunione senza che venisse mai stipulato l'atto pubblico di trasferimento.
Sia il Tribunale che la Corte d'Appello dichiaravano l'inopponibilità alla curatela della convenzione antenunziale, perché non annotata a margine dell'atto di matrimonio secondo quanto richiesto dall'art. 162 cod. civ.

Gli Ermellini (Cass. Civ., Sez. I, ord. 16 giugno 2021, n. 17207) nel rigettare le istanze della ricorrente, confermano la correttezza dell'assunto della Corte territoriale che bene ha applicato il principio, già affermato dalla Corte di legittimità, fin dal lontano 1990, in forza del quale: "L'opponibilità ai terzi della comunione degli utili e degli acquisti, costituita prima della riforma del diritto di famiglia (L. 19 maggio 1975, n. 151), è condizionata soltanto alla annotazione a margine dell'atto di matrimonio, prevista dallo art. 162 c.c., per le convenzioni matrimoniali, senza che sia richiesta la trascrizione della relativa convenzione a norma dell'art. 2647 c.c., atteso che la L. n. 151 del 1975, art. 227 non ha previsto l'ultrattività delle precedenti norme per tale comunione, come invece ha disposto per le doti e i patrimoni familiari."

Comunione legale e regime transitorio. Probabilmente, l'intestazione dei beni sia in comproprietà sia personali da parte del de cuius alla moglie e che ha dato luogo alla controversia con il fallimento e i soci, si basava su di un accordo fiduciario di tipo statico fra i coniugi finalizzato alla sottrazione beni all'aggressione dei creditori. Questa considerazione è avvalorata dal contegno tenuto dalla stessa parte attrice che afferma di aver posseduto tutti i beni in questione uti dominus sin dal 1980 e di averne perciò, in ogni caso, acquisito la proprietà per usucapione.

Detto questo, l'ordinanza però, permette di inquadrare alcuni aspetti della comunione legale - istituto che mette a dura prova le capacità di un giurista - e in particolare, dell'art. 227 della L. 19 maggio 1975, n. 151, spesso al vaglio dei giudici di legittimità, e in forza del quale: "Le doti e i patrimoni familiari costituiti prima dell'entrata in vigore della presente legge continuano ad essere disciplinati dalle norme anteriori." In buona sostanza, le doti costituite anteriormente all'entrata in vigore della legge medesima, mantengono validità e sono regolate dalle norme previgenti, sebbene la dottrina abbia evidenziato delle perplessità in ordine alla legittimità costituzionale di questa disciplina – posto che la dote consiste nei beni che la moglie o altri per essa apporta espressamente a questo titolo al marito per sostenere i pesi del matrimonio e dove la potestà di governo dei beni, è attribuita al solo marito - che continua a trovare applicazione alle doti anteriori alla legge del 1975 (Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, 4ª ed., Milano, 2005, 60, Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, I, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 159-230, Bologna-Roma, 2003, 97).
Particolare attenzione, merita il c.d. regime transitorio di separazione dettato dalla riforma del diritto di famiglia (art. 228 L. 19 maggio 1975, n. 151), che interessa il periodo dal 20 settembre 1975 - data di entrata in vigore della riforma - al 15 gennaio 1978 (per alcuni 16 gennaio 1978, cadendo il 15 di domenica).

Dall'art. 228 L. n. 151 del 1975, si evincono le seguenti regole:
- il regime legale ante riforma del 1975 è quello della separazione dei beni;
- le famiglie costituite prima del 20 settembre 1975, decorso il termine di due anni (prorogato al 16 gennaio 1978), sono assoggettate automaticamente al regime della comunione legale dei beni per gli acquisti successivi al 20 settembre 1975, salvo volontà contraria di uno dei coniugi manifestata entro lo stesso termine con convenzione o atto unilaterale notarile o dell'ufficiale civile del luogo in cui è stato celebrato il matrimonio con cui si assoggettano alla separazione dei beni gli acquisti successivi al 20 settembre 1975 (art. 228, primo comma);
- entro il 16 gennaio 1978, i coniugi possono altresì stipulare una convenzione per assoggettare gli acquisti ante '75 al regime di comunione dei beni, escludendoli dalla regola della separazione dei beni, e salvi i diritti dei terzi (art. 228, secondo comma);
- sono compresi alle regole del periodo transitorio i trasferimenti eventuali e conseguenti (art. 228, terzo comma);
- gli atti di trasferimento sono annotati a margine dell'atto di matrimonio ai fini di opponibilità dei terzi (art. 228 terzo comma);
- il regime di comunione legale dei beni entra con efficacia ex nunc dal 16 gennaio 1978 investendo automaticamente anche gli acquisti di ciascun coniuge effettuati nel periodo transitorio, ma solo qualora al 15 gennaio 1978 detti beni appartengano al patrimonio di ciascun coniuge e nello stato giuridico in cui si trovavano.

Nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, la comunione legale istituita fra parte attrice e il marito prima del matrimonio nel 1953, non era una dote (quindi, il richiamo all'art. 227 della Legge 151 del 1975 era inconferente), ma era una convenzione matrimoniale (come oggi lo sarebbe la separazione dei beni o il fondo patrimoniale) e come tale doveva essere annotata a margine dell'atto di matrimonio.

La trascrizione delle convenzioni matrimoniali. Il regime di separazione dei beni quale regime legale sancito dal codice civile del 1942 eliminava in radice ogni rilevanza dello status coniugale sui rapporti patrimoniali tra coniugi, rimettendoli all'autonomia privata di essi e, quanto alla pubblicità, a quella nei registri immobiliari. Seguendo lo stesso schema, ma complicando non di poco per gli operatori le cose, vista la diversità degli istituti, poiché la comunione dei beni costituisce oggi il regime ordinario, non ne è stata prevista, in positivo, alcuna forma di pubblicità. Non sussiste, infatti, alcuno specifico strumento di pubblicità, diretto a indicare che, tra due persone unite in matrimonio, è vigente la comunione dei beni, poiché tale regime si instaura automaticamente, per effetto del matrimonio stesso. Si è reputato più che sufficiente, per renderlo conoscibile ai terzi, che fosse data pubblicità all'atto di matrimonio. La vigenza del regime legale di comunione dei beni si deduce dai registri di stato civile, nei quali l'atto di matrimonio viene iscritto o trascritto.

Le convenzioni matrimoniali, come pure le loro modificazioni, invece, sono soggette a un regime pubblicitario complesso che viaggia su un doppio binario: la pubblicità a mezzo degli atti di stato civile (art. 162, 4 comma, e art. 163, 3 comma, cod. civ.) che ha efficacia dichiarativa e la pubblicità a mezzo dei registri immobiliari e mobiliari (art. 2647 e art. 2685 cod. civ.) che ha efficacia di mera notizia, precisando sotto quest'ultimo aspetto, che non tutte le convenzioni, sono soggette a trascrizione. Secondo la tesi prevalente, infatti, la convenzione di separazione stipulata prima o contestualmente alla celebrazione del matrimonio, non va trascritta, in quanto non ha ad oggetto alcun bene e non produce effetti traslativi (Roppo, Convenzioni matrimoniali, in EG, IX, Roma, 1988, 4). È stato sostenuto, inoltre, che non debba essere trascritta la convenzione di separazione stipulata dopo le nozze, se non contiene disposizioni espresse in ordine ai beni immobili o mobili registrati appartenenti alla comunione (Gazzoni, La trascrizione immobiliare, II, Milano, 1991, 75).
Invece, l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della convenzione matrimoniale, e delle sue eventuali modifiche, è richiesta ai fini dell'opponibilità ai terzi e secondo la formula ministeriale n. 184 (d.m. 5 aprile 2002), ha il seguente testo: "Con atto in data … a rogito del notaio … del distretto notarile di … gli sposi … (indicare le complete generalità) hanno stipulato convenzioni matrimoniali (ovvero: hanno scelto il regime della separazione dei beni)." Nulla di più o di meno: nulla si dice in merito all'oggetto della convenzione né in merito al numero di repertorio che renderebbe eventualmente più facile la ricerca dell'atto pubblico. Il notaio che ha rogato la convenzione ha l'obbligo, ai sensi dell'art. 34-bis disp. att. cod. civ., di richiedere all'ufficiale di stato civile l'annotazione della convenzione stessa o dell'atto di modifica. La richiesta deve essere fatta nel termine di trenta giorni «dalla data del matrimonio o dalla data dell'atto pubblico di modifica delle convenzioni».

In assenza di annotazione, dunque, il terzo è ammesso a far valere nei confronti di coniugi, e degli altri terzi, il regime legale di comunione dei beni. Le stesse considerazioni devono farsi anche, nell'ipotesi in cui sia stata annotata una convenzione matrimoniale, ma non la sua successiva modifica: il terzo potrà far valere il previgente regime convenzionale.
In particolar modo, con riferimento alla mancata annotazione di un fondo patrimoniale, le Sezioni Unite già nel 2009 hanno chiarito che l'opponibilità ai terzi dipende dall'annotazione del contratto a margine dell'atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647, resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo (Cass. civ. Sez. Unite, 13 ottobre 2009, n. 21658).

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