Penale

Dalla Consulta un input al Legislatore a dar rilevanza al sostentamento familiare nell'informativa antimafia

Le misure di prevenzione personali prevedono l'esame del giudice sull'impatto reddituale al contario del provvedimento del Prefetto

di Paola Rossi

Il Prefetto emette l'informativa antimafia interdittiva se dalla consultazione della banca dati nazionale unica emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 deel Codice antimafia o di un tentativo di infiltrazione mafiosa. Lo fa senza essere obbligato a valutare l'impatto di dodici mesi di sospensione dell'attività economica svolta sul sostentamento personale e familiare del soggetto riguardato. Al contario il giudice che adotta le misure personali di prevenzione è tenuto a verificare le conseguenze sulle fonti di reddito a disposizione della persona colpita dalla misura e della sua famiglia. Il Tar Calabria ha rilevato un'illegittima disparità di trattamento per chi è attinto dalle misure prefttizie previste dall'articolo 92 del Codice antimafia in rapporto alla maggior ampiezza di giudizio nell'applicazione delle misure adottate dal giudice a norma dell'articolo 67 dello stesso Codice. Il rinvio pregiudiziale è stato dichiarato inammissibile - con la sentenza n. 180 deepositata oggi - per l'impatto irrazionale che avrebbe avuto una declaratoria di illegittimità della norma dove non prevede l'esame delle conseguenze economiche del provvedimento prefettizio. La Consulta sceglie di non poter decidere perché la conseguenza di attribuire al Prefetto poteri che esplicitamente la legge riserva al giudice porterebbe a una sorta di invasione di campo dei giudici in un terreno che compete al Legislatore e a cui chiede di agire con celerità attraverso l'esercizio del potere legislativo.

La vicenda nasce dal ricorso della titolare di un'impresa individuale nei cui confronti il prefetto aveva emesso un'informazione antimafia interdittiva di cui chiedeva l'annullamento. Il provvedimento prefettizio si fondava sui precedenti penali e sulle parentele del marito, imputato e detenuto per reati di mafia e accusato di essere al vertice di una cosca. La ricorrente era inoltre stata socia di un'impresa amministrata dal marito, operante nel medesimo settore della sua attività economica ora oggetto dell'informazione prefettizia. Dopo la sospensione cautelare del provvedimento prefettizio impugnato davanti al Tar questo rimetteva la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 92 del Codice antimafia.

Il dubbio di legittimità sostenuto dalla Consulta
Il rimettente Tar sottolineava che in relazione ai soggetti attinti da un provvedimento definitivo l'articolo 67, comma 5, stabilisce che per le licenze ed autorizzazioni di polizia - ad eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed esplosivi, e per gli altri provvedimenti di cui al comma 1 - le decadenze e i divieti previsti come conseguenza possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia.
Al contrario, per l'adozione dell'informativa antimafia interdittiva o liberatoria che sia al Prefetto non è attribuito analogo potere di valutazione dell'impatto sui mezzi di sostentamento personale o familiare della persona colpita dalla misura.
La rilevanza della questione nel giudizio a quo deriva dalla presenza di quattro figli conviventi della ricorrente, di cui tre minori, per i quali l'attività aziendale costituirebbe "l'unica fonte di reddito". E senza sottovalutare che la chiusura dell'esercizio commerciale comportava il licenziamento di otto dipendenti.

Il rinvio
Nel rinvio viene accolto il rilievo della ricorrente sul punto che al destinatario di una informazione antimafia non possono comunque essere negate condizioni di vita accettabili e dovrebbe essere assicurata la tutela dei bisogni primari. E anche quello che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il decorso dei dodici mesi non determina la perdita di efficacia del provvedimento, imponendo solo al prefetto di procedere a una rivalutazione della vicenda complessiva.

Infine, la parte segnala le novità introdotte con il decreto legge 6 novembre 2021 n. 152 (Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose) che modificato in sede di conversione è intervenuto sull'articolo 92, comma 2-bis introduceendo un contraddittorio necessario: quasi un'anticipazione della soluzione della questione di legittimità sottoposta alla Consulta.

La Consulta afferma che "alla luce di tali considerazioni, non è dubbio che l'ordinanza di rimessione sottolinei correttamente l'esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento, che necessita di un rimedio". Ma considera inidonea al completamento della norma in chiave costituzionalmente orientato la pronuncia di accoglimento delineata nell'ordinanza di rimessione, che chiede di trasporre, nella disciplina relativa alla informazione interdittiva, la deroga attualmente prevista dall'articolo 67, comma 5, cod. antimafia con riferimento alle sole misure di prevenzione personali.

Dice la Consulta che si tratterebbe di una pronuncia connotata da un «cospicuo tasso di manipolatività». Si determinerebbe l'innesto, nel sistema vigente, di un istituto inedito, e che presupporrebbe, oltretutto, l'attribuzione all'autorità prefettizia di nuovi, specifici poteri istruttori, allo stato inesistenti. Di qui l'allarmee lanciato al Legislatore affinché metta mano alla norma senza riproporre disparità di trattamento ingiustificate.

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