Civile

Imposta di pubblicità, legittimazione passiva solo con vantaggio immediato e diretto del messaggio

Solo il soggetto concedente e organizzatore dello spazio pubblicitario, ovvero - nel caso di specie - la concessionaria di auto "locale", possono essere assoggettati all'obbligazione tributaria, ma non il distributore nazionale estraneo ad essi (Corte di Cassazione Sezione TRI Civile Ordinanza 25 marzo 2022, n. 9696)

di Leonardo Maria Galieni*

In tema di imposta di pubblicità (d'ora in poi ICP), la pretesa dell'A.F. può ritenersi legittima a condizione che il destinatario della stessa tragga un vantaggio immediato e diretto dalla diffusione del messaggio pubblicitario, quale presupposto d'imposta, verso la platea dei potenziali acquirenti; il tutto, tenendo debitamente conto del contesto territoriale oltre che dell'estensione e/o fruibilità del messaggio.

Ed è da tale convincimento che la Suprema Corte, con Sent. n. 9696, depositata il 25/03/2022 , accogliendo nel merito il ricorso promosso da un distributore su scala nazionale, ne ha escluso la legittimazione passiva: lo stesso, al di là di fornire ai rivenditori al dettaglio le autovetture prodotte all'estero, non aveva tratto alcun vantaggio dalla diffusione, solo "locale", del messaggio pubblicitario.

Per quanto noto, la vicenda nasce da un avviso di accertamento con cui il Comune di Perugia contestava a una Società (distributore nazionale di autovetture per conto di casa madre) il mancato assolvimento dell'ICP a seguito dell'esposizione di uno striscione pubblicitario all'interno di un impianto sportivo.

Nell'approdare in appello la C.T.R. ribaltava l'esito favorevole ottenuto in primo grado sull'assunto che tale Società, indipendentemente dal fatto che non si occupasse direttamente delle vendite di auto sul territorio, fosse comunque tenuta al pagamento dell'imposta nella veste di soggetto passivo.

A fronte di tale pronuncia, veniva promosso ricorso innanzi la Suprema Corte con cui la Società, in buona sostanza, contestava il difetto di legittimazione passiva per ben due aspetti:
• da un lato, non era soggetto passivo d'imposta in via principale poiché era priva della disponibilità dell'impianto pubblicitario;
• dall'altro, neppure in via solidale, poiché non vendeva le autovetture "reclamizzate" nel messaggio pubblicitario.

Per tali ragioni, soltanto il soggetto concedente e organizzatore dello spazio pubblicitario ovvero la concessionaria di auto "locale" potevano essere assoggettati all'obbligazione tributaria, ma non il distributore nazionale ad essi estraneo.

Ebbene la Corte, dopo aver operato un recap della disciplina in oggetto, ha verificato se in capo al distributore nazionale potesse rinvenirsi o meno il presupposto impositivo richiesto dalla normativa, così da potersi considerare soggetto passivo d'imposta.

Al riguardo, nel condividere quell'orientamento già formatosi in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. V, n. 7314 del 07/04/2005, Cass., Sez. V, n. 20877 del 05/10/2007) per cui la responsabilità a titolo solidale del soggetto pubblicizzato implica che lo stesso abbia sostenuto la spesa pubblicitaria e, special modo, che il messaggio pubblicitario sia diffuso, ha concluso ritenendo che "In tale prospettiva, quindi, il distributore su scala nazionale che fornisce autovetture prodotte all'estero ai soli rivenditori al dettaglio, nel caso di insussistenza di un rapporto contrattuale con terzi per la fruizione degli spazi pubblicitari, non può ritrarre alcuna utilità (almeno diretta ed immediata) sul piano commerciale - e, quindi, non può subire alcun onere di natura fiscale - dalla pubblicità commissionata dal rivenditore di tali autovetture in ambito locale".

Prim'ancora di soffermarsi sulla tematica in esame, è doveroso premettere che a seguito della Legge di Bilancio 2020 la disciplina in esame, eccettuato il P.I. 2020 dove resta ancora in vigore, è stata abrogata: difatti, per effetto dell'art. 1, c. 816, della succitata Legge, a partire dal 2021 l'imposta di pubblicità è sostituita dal c.d. canone unico, di cui richiama anche parte dell'originaria impostazione.

Ciò detto, considerando che ai fini dell'accertamento l'A.F. dispone ai sensi dell'art. 1, c. 161 di un termine decadenziale pari a 5 anni (31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento dovevano effettuarsi), si intende approfondire la disciplina esaminata dalla Corte con particolare riguardo:
• al presupposto impositivo di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 507/1993 e
• alla figura del soggetto passivo d'imposta ex art. 6 del cit. Decreto.

Da una disamina della normativa, soltanto la combinazione di ben 2 elementi consente di integrare il presupposto impositivo dell'ICP: da un lato il messaggio pubblicitario e dall'altro il c.d. mezzo attraverso cui la pubblicità viene trasmessa.

Con riguardo al primo, esso si identifica in quelle forme di comunicazione atte a indurre e/o sollecitare la domanda di acquisto, creando nuovo impulso sul mercato; in sostanza, il messaggio pubblicitario assume rilevanza ai fini impositivi soltanto nella misura in cui sia "finalizzato al richiamo dell'attenzione del pubblico sul prodotto o sul servizio, con conseguente potenzialità ad incrementare il risultato positivo di attività commerciali" (cfr. Cass., Sez. V, del n. 17385 23/07/2010) e abbia, dunque, "lo scopo di promuovere la domanda di beni e servizi, ovvero quella di migliorare l'immagine aziendale" (cfr. C.T.P. Lecco, Sez. 1, Sent. n. 16 del 18/01/2016). A contrariis, laddove manchi questa finalità la comunicazione non assume dignità fiscale in quanto tale come confermato sia dall'A.F. prima, che dalla giurisprudenza poi.

In particolare, secondo il Ministero delle Finanze, "il presupposto dell'imposta va ravvisato nella diffusione di messaggi pubblicitari intesi nel normale significato del termine, con l'esclusione di tutte le forme di comunicazione prive di contenuto pubblicitario - quali ad esempio le forme di comunicazione ideologica - o comunque non ricollegabili ad alcun interesse economico" (cfr. M.E.F., Circ. n. 31/1974).

Sulla scia di tale interpretazione si è allineata anche la giurisprudenza - sia di legittimità che di merito - la quale, nell'appurare se il messaggio riprodotto sul mezzo "non ha alcun contenuto o richiamo pubblicitario come, ad esempio, le seguenti scritte: "aperto", "chiuso", "divieto di transito" (cfr. Cass.,. 2087 del 05/10/2007) e se "travalica la mera finalità distintiva, che è quella di consentire al consumatore di riconoscere i prodotti o servizi offerti sul mercato dagli altri operatori del settore" (cfr. Cass., Sez. V, n. 11530 dell'11/05/2018) ha ad esempio stabilito che l'apposizione della dicitura "Postamat" non può considerarsi messaggio pubblicitario ai fini impositivi in quanto "esplica dunque una funzione essenzialmente informativa e segnaletica del luogo di svolgimento di una determinata operatività sostanzialmente rispondente ad un servizio di pubblica utilità". (cfr. Cass., n. 1169 del 17/01/2019).

Che tale approdo sia ad oggi più che attuale lo conferma anche una recentissima pronuncia per cui "In materia di imposta sulla pubblicità, è corretto escludere dall'imposizione dei mezzi pubblicitari quei segnali che, al pari delle insegne, servono soltanto a trasmettere un'informazione, come nel caso del marchio apposto in corrispondenza di ogni singolo posto auto assegnato alla società di autonoleggio all'interno o del parcheggio il cui accesso è riservato solamente ai clienti delle varie società di noleggio operanti nell'aeroporto" (cfr. Cass., Sent. n. 530 dell'11/01/2022).

Non da meno, ad onor del vero, è stata anche la più autorevole giurisprudenza di seconde cure. Invero, partendo dal fatto che "Sono rilevanti, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulla pubblicità, i messaggi promozionali finalizzati a promuovere l'acquisito di determinati prodotti, ad orientare le scelte dei consumatori e a migliorare l'immagine degli enti pubblicizzati diffusi in luoghi pubblici o aperti al pubblico" ha conseguentemente ritenuto che " l'apposizione del marchio del centro commerciale sui cartelloni riportanti gli orari di apertura, nonché sui cestini, sugli ombrelli e sulla mappa dei negozi distribuita all'interno della galleria non costituiscono messaggi pubblicitari tassabili in quanto identificano nel centro commerciale il proprietario di tali beni, senza influire sulle scelte di acquisto da parte del pubblico" (cfr. C.T.R. Lombardia, Sez. 24, Sent. n. 5535 del 20/12/2017).

Peraltro, di notevole raffinatezza è il ragionamento che partendo dal distinguo tra: la pubblicità integrante il presupposto d' imposta - ovvero il messaggio sollecitatorio della domanda dei beni e servizi - e - la semplice informazione, ha ritenuto che "l'indicazione dei prodotti merceologici in vendita all'interno del negozio ... si qualifica come mera informazione e non come pubblicità" (cfr. C.T.R. Lazio, Sez. XXIX, n. 194 del 03/09/2012).

D'impatto per così dire "mediatico" (proprio perché ha coinvolto migliaia di attività del settore immobiliare) è la questione sorta in ordine alla configurabilità o meno del presupposto d'imposta nel caso dei cartelli di vendita e/o locazione esposti dalle agenzie immobiliari.

Al riguardo: - se da una parte si riteneva che, al di là del potenziale effetto propagandistico, la mera indicazione dell'agenzia e del contatto telefonico sull'avviso esposto sono indicazioni basilari che NON configurano un messaggio pubblicitario nell'accezione intesa for tax purpose (cfr. C.T.P. Treviso, Sez. n. 4, n. 570 del 29/07/2014; C.T.R. Veneto, Sez. 21, Sent. n. 53/21/12), così da esser meritevole dell'esenzione riconosciuta all'art. 17, c. 1, lett. b) del citato Decreto, per altro orientamento (poi risultato prevalente) - l'esposizione "nella vetrina dei locali di un'agenzia immobiliare, di cartelli contenenti fotografie e descrizioni degli immobili offerti in vendita integra il presupposto dell'imposta sulla pubblicità, perché assolve alla funzione di pubblicizzare…tali immobili, ossia di promuoverne la vendita o la locazione e, quindi e contestualmente, di promuovere l'accesso del pubblico ai servizi di mediazione offerti dall'agenzia; e ciò anche a prescindere dalla presenza, su detti cartelli, del logo e dei recapiti dell'agenzia" ( cfr. C.T.R. Lombardia, Sez. 30, Sent. n. 5739 del 08/11/2016).

Dinanzi a tale situazione d'empasse a partire dal 2014 la giurisprudenza di vertice con una importante sentenza ha stabilito che le inserzioni esposte dalle agenzie per "reclamizzare" gli immobili (e quindi con finalità di promozione del bene o servizio offerto dall'agenzia) non costituiscono avvisi al pubblico - e come tali meritevoli della citata esenzione - così da integrare il presupposto d'imposta (cfr. ex multis Cass., Ord. n. 21966 del 16/10/2014).

Riprendendo la disamina del presupposto impositivo, come sopra accennato il messaggio pubblicitario in sé non può esplicare alcun effetto se non nella misura in cui vi sia un mezzo (l'art. 5 cit. rinvia semplicemente alle "forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni" senza darne una specifica definizione, ad esempio: cartelli, insegne, impianto di affissione o, come nel caso esaminato dalla pronuncia in commento di uno striscione pubblicitario) con cui poterlo veicolare alla platea dei potenziali acquirenti; mezzo che, per espressa previsione di Legge, deve esser collocato in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile.

A tal riguardo, da parte della Suprema Corte si rintraccia una tendenza tutt'altro che restrittiva nel delimitare il concetto di luogo pubblico tanto che si è ritenuto idoneo a tal fine "quello comunque accessibile, sia pure nel rispetto di determinate condizioni, a chiunque si adegui al regolamento che disciplina l'ingresso" (cfr. Cass., n. 6714 del 15/03/2017), fino a includervi persino lo spazio interno della stazione ferroviaria il cui accesso era riservato ai soggetti muniti di biglietto di viaggio (cfr. Cass., n. 2167 del 15/02/2012).

Orbene, se è vero che la pretesa impositiva non può esplicare effetti senza un effettivo soggetto passivo cui destinarla, è altrettanto vero che in tema di ICP il legislatore ne abbia individuati ben 2:
• da un lato, e probabilmente anche per esigenze di ordine pratico, il detentore del mezzo pubblicitario in via principale e
• dall'altro, il beneficiario della pubblicità in via solidale.

A ben vedere, senza che la locuzione "in via principale" possa lasciar intendere che il beneficiario della pubblicità (soggetto obbligato in via solidale) vanti un beneficium excussionis rispetto al soggetto che detiene il mezzo, in realtà essi sono solidalmente responsabili nell'accezione civilistica di cui all'art. 1292 c.c.

Nel dettaglio, si è presenza di una vera e propria solidarietà c.d. paritetica (il presupposto impositivo, e cioè la diffusione del messaggio pubblicitario, è condiviso da entrambi i soggetti) e non dipendente - come adombrato da parte della dottrina - che invece caratterizza ad esempio la responsabilità del notaio nell'assolvimento dell'imposta di registro c.d. principale.

D'altro canto, che un tal - duplice - coinvolgimento sia ammissibile e non si presti a censure di costituzionalità è opinione oramai condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, a cui peraltro la pronuncia in commento si ispira precisando che esso "non è in contrasto con l'art. 53 Cost., giacché il principio della capacità contributiva non esclude che la legge possa stabilire prestazioni tributarie a carico, oltreché del debitore principale, anche di altri soggetti, purché non estranei al presupposto d'imposta - costituito dalla diffusione del messaggio pubblicitario -, come sono coloro che, svolgendo l'attività economica oggetto della pubblicità, da questa traggono immediato e diretto vantaggio; né in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto il beneficium excussionis riveste, nelle obbligazioni solidali, carattere eccezionale".

Inquadrati dunque i due elementi cardine dell'imposta, occorre prender atto che la giurisprudenza maggioritaria, a parer di chi scrive in modo erroneo rispetto al dettato normativo, ha ormai inquadrato il presupposto d'imposta nella mera disponibilità del mezzo destinato al potenziale uso pubblicitario, in quanto l'oggetto del tributo sarebbe dato dal "mezzo disponibile" (cfr. ex multis Cass., Sez. V, Ord. n. 16792 del 15/06/2021; Cass., Sez. V, Ord. n. 12783 del 23/05/2018; C.T.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. VI, Sent., n. 436 del 05/10/2020).

Da tale lettura emerge in tutta evidenza come i Giudici tributari, nel ritenere sufficiente ai fini impositivi la mera detenzione del mezzo e non l'effettiva diffusione del messaggio pubblicitario, abbiano reso una interpretazione distorta del testo di Legge.

Si badi bene che il rimando giurisprudenziale alla "mera disponibilità del mezzo pubblicitario":
• oltre a non rinvenirsi nella norma espressamente deputata a disciplinare il "presupposto dell'imposta" (ex art. 5 del D.Lgs. n. 507/1993) e
• a spostare l'attenzione su un elemento - la disponibilità - che attiene di contro al profilo soggettivo del tributo (ex art. 6 del D.Lgs. n. 507/1993), si pone in contrasto con la volontà legislativa secondo cui "Il presupposto impositivo dell'imposta di pubblicità è la diffusione di messaggi e comunicazioni nell'esercizio di un'attività di impresa al fine di promuovere un prodotto o un servizio e migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato" (cfr. C.T.P. di Como, Sez. 5, Sent. n. 284 del 27/07/2016).

Ecco che la pronuncia in esame nell'affermare, seppur incidenter tantum, che il presupposto d'imposta comune a entrambi i soggetti passivi (in priva principale e in via solidale) è "costituito dalla diffusione del messaggio pubblicitario" non solo sembra aver colto la reale finalità impressa dal legislatore al D.Lgs. n. 503/1997 ma, per di più, nell'escludere a tal fine ogni richiamo alla disponibilità tout court del mezzo pubblicitario, dimostra di aver ben interpretato la norma in ossequio al principio cardine di cui all'art. 12 delle "Preleggi".

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*A cura dell'Avv. Leonardo Maria Galieni, junior lawyer, contenzioso tributario, Studio Tributario Associato Mainardi Tasini

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