Penale

Divieto di usare web e telefono alla Consulta

Con l'ordinanza 46076 la Suprema corte rinvia alla Consulta la questione di costituzionalità

di Patrizia Maciocchi

Per la Cassazione l’avviso orale con cui il questore vieta l’uso e il possesso di apparecchi di telecomunicazione, dal Pc, al telefono, alla televisione, senza prevedere una durata minima e massima della misura di prevenzione non è in linea né con la Carta né con la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La Suprema corte, che rinvia alla Consulta la questione di costituzionalità, (ordinanza 46076) sottolinea che il divieto, previsto dal Codice antimafia, incide sulla libertà fondamentale dell’individuo di informarsi e di informare. E perché una limitazione tanto incisiva, adottata in un’ottica di prevenzione, sia legittima, sono necessarie alcune condizioni: il rispetto della riserva di giurisdizione e di legge.

Nel primo caso la giurisdizione non viene rispettata perché i divieti sono imposti da un’autorità amministrativa e non giudiziaria. Compromessa e vanificata anche la riserva di legge. Nell’impedire l’esercizio dei diritti convenzionali non sono, infatti, riconosciute le garanzie legate alla predeterminazione della durata.

L’assenza di tempo massimo si traduce in una spada di Damocle permanente, visto che, in caso di trasgressione, sono previste una pena detentiva, la multa e la confisca. Così disegnato l’articolo 3 comma 4 del Dlgs 159/2011 non è dunque proporzionato allo scopo, legittimo, perseguito.

La Cassazione ricorda che sotto l’ombrello dell’articolo 15 della Carta, sul diritto alla corrispondenza e a ogni altra forma di comunicazione, rientra ormai tutto: da whatsapp alle mail. Mentre Strasburgo da tempo insiste sull’importanza sempre maggiore di Internet come forma di partecipazione e di diritto sociale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©