Civile

Obblighi informativi nell'e-commerce: i chiarimenti della giurisprudenza

Numerosi sono gli adempimenti che il legislatore, europeo e italiano, ha imposto ai "venditori elettronici". Tra questi, rileva il fatto che il soggetto che intende vendere i propri beni e servizi on-line ha un dovere di informazione, che si concretizza nella necessità di fornire all'utente determinate informazioni, sia a carattere generale sia a carattere specifico a seconda del bene o servizio offerto

di Manuela Soccol e Irene Negri *

Posto che il commercio elettronico può essere utilizzato anche tra imprese nei loro rapporti commerciali (business to business), è sicuramente il commercio elettronico rivolto ai consumatori (business to consumer), ovvero le persone fisiche che agiscono con finalità non riferibili alla propria attività commerciale, imprenditoriale o professionale, a mostrare le maggiori criticità e, conseguentemente, a richiedere maggiore attenzione e tutele per l'acquirente.

Numerosi sono gli adempimenti che il legislatore, europeo e italiano, ha imposto ai "venditori elettronici". Tra questi, rileva il fatto che il soggetto che intende vendere i propri beni e servizi on-line ha un dovere di informazione, che si concretizza nella necessità di fornire all'utente determinate informazioni, sia a carattere generale sia a carattere specifico a seconda del bene o servizio offerto.

Contratti a distanza e pratiche commerciali scorrette

A tale riguardo, la disciplina del Codice del consumo ( d . lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ) e in particolare l'art. 49 integrano quanto previsto dal d.lgs. 70/2003 relativo al commercio elettronico. Il Codice del consumo prevede altresì che, nel caso di contratti conclusi attraverso un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni, il professionista è tenuto a dare solo parte delle "informazioni obbligatorie", ai sensi dell'art. 51, co. 4 Cod. cons.

Si rileva altresì che, nelle ipotesi di mancato corretto adempimento agli obblighi informativi posti a tutela dei consumatori, si possono talvolta configurare anche pratiche commerciali "scorrette" oppure configuranti atti di pubblicità ingannevole (ai sensi del d. lgs. 145/2007 ).

Le pratiche commerciali scorrette, in particolare, sono disciplinate dagli artt. 18-27 quater Cod. cons. Tale disciplina amplia la tutela del consumatore perché egli risulta protetto da qualsiasi pratica commerciale che possa recargli danno, indipendentemente dal momento in cui questa è posta in essere.

Le pratiche commerciali scorrette si distinguono in aggressive ed ingannevoli. Si ha una pratica ingannevole quando vengono riportate informazioni non rispondenti al vero o che, seppure di fatto corrette, per la loro presentazione complessiva, siano tali da indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più elementi e, in ogni caso, da indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 21, co. 1 Cod. cons.).

La giurisprudenza amministrativa ha, negli anni, ampliato la definizione di "ingannevolezza", specificando il contenuto dell'obbligo di chiarezza e di completezza informativa.

L'elenco degli obblighi informativi è facilmente reperibile all'interno dei testi normativi citati, tuttavia, per garantire un'effettiva tutela e consapevolezza del consumatore, si ritiene opportuno specificare nel presente contributo l'esatto contenuto di alcuni di questi obblighi, facendo riferimento alle interpretazioni giurisprudenziali più recenti.

Indicazione del costo complessivo del prodotto o servizio

In primo luogo, con riferimento all'obbligo di indicare il costo del prodotto o del servizio comprensivo di tutte le voci (imposte, costi di spedizione, costi per la restituzione per recesso) (art. 49, co. 1, lett. e) Cod. cons.) nonché le modalità di calcolo del prezzo definitivo, si segnala che la giurisprudenza amministrativa ( Consiglio di Stato, sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6033 ) ha condannato la società titolare di un sito di vendita online per il settore turistico in cui:

- erano presenti offerte di voli, alberghi o pacchetti turistici prospettando, contrariamente al vero, la disponibilità di offerte a prezzi particolarmente vantaggiosi che, peraltro, non indicavano alcune rilevanti componenti di costo;

- era stato offerto un servizio accessorio, consistente in una polizza assicurativa facoltativa, per la quale era previsto un sistema automatico di preselezione (salva la deselezione in caso di disinteresse all'acquisto di detta polizza) ed implicante un ulteriore onere per il consumatore, con il risultato di creare una notevole divergenza tra l'offerta pubblicizzata sulla homepage ed il prezzo finale.

Se il venditore non indica tutte le informazioni con chiarezza, esime il consumatore dall'obbligo di sostenere dette spese o costi aggiuntivi (art. 49, co. 6 Cod. cons.), con onere della prova circa l'adempimento degli obblighi informativi a carico del professionista (ai sensi dell'art. 49, co. 10 Cod. cons.). Altresì, il contratto o l'ordine risultano non vincolanti ove manchi una chiara e preliminare

indicazione di tutti i costi e manchi quindi una conferma di accettazione esplicita ed univoca da parte del consumatore. L'addebito di costi ulteriori deve infatti avvenire solo in seguito ad una scelta esplicita (opt-in) e il consumatore ne deve essere consapevole.

Vincolatività delle azioni del consumatore

Sempre con riferimento agli obblighi di pagamento del consumatore, si rileva che, in generale, nei casi di adozione della c.d. button solution devono essere rispettati i parametri sopra descritti e deve essere altresì presente una chiara dicitura con riferimento all'assunzione di un dovere vincolante di pagamento.

Questo è stato di recente ribadito nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea nella causa C-249/21, del 7 aprile 2022 , che ha ricordato come sia necessario verificare, all'interno di un sito web, se per il consumatore risulti chiaro che cliccando un determinato bottone si vincoli al pagamento di un prezzo definito e finale, anche eventualmente da effettuare in un momento successivo.

Nel caso in commento, infatti, una società proprietaria di un hotel offriva camere per mezzo del sito booking.com. Un consumatore, avendo deciso di riservare quattro camere doppie, dopo aver cliccato sul pulsante "prenoto", aveva inserito i suoi dati personali, nonché i nomi delle persone che l'accompagnavano, e aveva poi cliccato su un pulsante recante la dicitura "completa la prenotazione".

Tale soggetto non si presentava tuttavia all'hotel nella data prestabilita, ma si era visto comunque addebitare le spese di cancellazione. Il giudice del rinvio aveva quindi sostenuto, al riguardo, che il termine "prenotazione" che figura nella dicitura "conferma la prenotazione" non necessariamente è associato, nel linguaggio corrente, all'obbligo di pagare un corrispettivo, bensì viene spesso utilizzato anche come sinonimo di "riservare o ordinare preventivamente a titolo gratuito".

Una diversa corrente giurisprudenziale riterrebbe invece necessario prendere in considerazione l'insieme delle circostanze che accompagnano il processo di inoltro di un ordine e, segnatamente, il modo in cui si svolge quest'ultimo, al fine di valutare chiarezza della dicitura riportata.

La Corte di giustizia, tuttavia, ha confermato che, al fine di verificare se la terminologia utilizzata corrisponda nella sostanza alla dicitura "ordine con obbligo di pagare", prevista per legge, occorre basarsi sulla sola dicitura riportata su tale pulsante o su tale funzione analoga, indipendentemente dalle circostanze che accompagnano il processo di prenotazione (per l'Italia, si veda l'art. 51, co. 2 Cod. cons.).

Indicazione dei contatti del professionista

Con riferimento all'obbligo di indicare i contatti del professionista (art. 49, co. 1 lett. c) Cod. cons.), in un noto caso ( causa C-649/17) la Corte di giustizia UE ha affermato che il professionista non è obbligato ad attivare una linea telefonica e a comunicare il proprio contatto telefonico al consumatore prima della conclusione del contratto, se è previsto un altro mezzo di comunicazione che consenta un contatto rapido ed efficace. Lo stesso vale per le società che dispongano di una linea telefonica non utilizzata però per la gestione dei rapporti con i consumatori nell'attività commerciale.

Ai sensi dell'art. 49, co. 1, lett. c) Cod. cons., infatti, il professionista deve tra l'altro indicare "il suo numero di telefono, di fax e l'indirizzo elettronico, ove disponibili, per consentire al consumatore di contattare rapidamente il professionista e comunicare efficacemente con lui".

La Corte di giustizia ha affrontato anche il tema dell'indicazione di un contatto telefonico al fine di garantire l'esercizio del diritto di recesso, in un caso in cui il numero era sì indicato nelle note legali e nella homepage del sito, ma non veniva riportato nella procedura relativa all'esercizio del recesso ( sent. 14 maggio 2020 nella causa C-266/19 ).

In tale contesto, la Corte ha ritenuto che se il numero di telefono è indicato in modo tale da suggerire, agli occhi di un consumatore medio, che il professionista utilizzi tale numero di telefono per i suoi contatti con i consumatori, detto numero di telefono deve essere considerato "disponibile", così che quando il professionista fornisce le informazioni relative alle modalità di esercizio del diritto di recesso, è tenuto a indicare lo stesso numero di telefono in tali istruzioni, in modo da consentire a tale consumatore di comunicargli mediante quest'ultimo la sua eventuale decisione di esercitare detto diritto.

Si precisa altresì che l'indicazione dei dati di contatto del professionista non risulta completa nel caso in cui si preveda come unico mezzo di contatto una linea telefonica a tariffazione maggiorata (TAR Lazio Roma, sez. I, 2 maggio 2019, n. 5524).

Indicazione delle caratteristiche principali di beni e servizi

Infine, con riferimento all'obbligo informativo consistente nell'indicazione delle "caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi", ai sensi dell'art. 49, co. 1, lett. a) Cod. cons., si segnala una recente pronuncia dell'AGCM (22 aprile 2020, n. 28232), relativa ad un caso in cui un farmaco era stato presentato su una pagina web come idoneo a curare il COVID-19. L'AGCM valorizzava al riguardo il fatto che il contesto complessivo del sito comportasse un'enfasi sulla comprovata efficacia del farmaco, basandosi tuttavia su informazioni prive di fondamento scientifico e "particolarmente insidiose" per i consumatori. L'AGCM, pertanto, ha disposto in via cautelare l'inibizione dell'accesso al sito.

Dove e quando è possibile adempiere agli obblighi informativi

Con riferimento al tempo in cui il consumatore deve poter avere accesso alle informazioni prescritte per legge, si rileva che, con la sentenza n. 4976 del 15 luglio 2019 , il Consiglio di Stato ha ribadito il principio secondo cui il consumatore medio dev'essere messo in condizione di "autodeterminarsi" sin dal primo contatto pubblicitario. Con tale sentenza è stata riconosciuta una pratica commerciale ingannevole nei claim adottati da Tripadvisor che inducevano il consumatore a confidare nella genuinità e attendibilità delle recensioni presenti sul sito, senza informare invece in modo chiaro gli utenti circa l'inadeguatezza del sistema di controllo delle recensioni adottato. Infatti, era emerso che a detta attività di controllo erano dedicate scarse risorse umane ed era altresì estremamente facile per gli utenti registrarsi, data l'assenza di "captcha" e la possibilità di rilasciare recensioni anche mediante "nickname".

Da questa sentenza emerge altresì come gli obblighi informativi si impongano anche alle persone che agiscano per conto di altri professionisti, in qualità di intermediari.

Un tema poi discusso riguarda la possibilità di indicare le informazioni obbligatorie solo all'interno di una sezione del sito internet tramite cui viene offerto un prodotto o un servizio, oppure se le stesse debbano comparire, in alternativa o in aggiunta, anche all'interno del documento dedicato alle condizioni generali di vendita o fornitura.

La Corte di giustizia UE, al riguardo, ha specificato che le informazioni che il professionista deve necessariamente fornire prima della conclusione del contratto possono essere inserite anche solo nelle condizioni generali per la prestazione di servizi, purché siano rese accessibili e approvate dal consumatore prima della conclusione del contratto sul sito dell'intermediario e siano espresse in modo semplice e comprensibile ( sent. 24 febbraio 2022, causa C-536/20). Dopo la conclusione del contratto, si rende comunque necessaria la consegna al consumatore della conferma del contratto su un supporto durevole.

In un altro caso che ha riguardato l'omessa indicazione dell'adesione del professionista ad un organismo di risoluzione alternativa delle controversie, la Corte di giustizia UE ha altresì precisato che questa informazione, insieme alle altre obbligatorie, oltre a essere fornite sul sito, devono anche essere inserite nelle condizioni generali quando sono disponibili su detto sito e rese accessibili in tempo utile prima della conclusione del contratto (sent. 25 giugno 2020, nella causa C-380/19 ).

Limiti normativi e fattuali alla tutela dei consumatori

In ogni caso, preme rilevare che la giurisprudenza sia europea sia nazionale è allineata nell'affermare che il consumatore che lamenta un pregiudizio solo nominale, ovvero non possa dimostrare che dall'omissione di informazioni gli sia derivato un reale pregiudizio e/o abbia inciso sul suo consenso, debba essere considerato negligente e non possa esperire i rimedi previsti. Anche nell'applicazione della normativa consumeristica, infatti, è necessario applicare il principio di ragionevolezza onde evitare applicazioni abusive ( Cass civ., 8 luglio 2020, n. 14257 ).

Nel caso di specie, la Cassazione ha privilegiato la soluzione ispirata al principio di autoresponsabilità del consumatore e ha ritenuto che la disponibilità per iscritto, qualche giorno prima della partenza, anche se non prima della conclusione del contratto, dell'informazione di cui il consumatore aveva bisogno, evidentemente non utilizzata per negligenza, fosse idonea ad impedire qualsiasi conseguenza pregiudizievole per il consumatore stesso, suscettibile di essere risarcitoriamente compensata.

A margine di questi approfondimenti, si ritiene tuttavia necessario richiamare l'attenzione su alcuni studi svolti principalmente nel campo delle scienze cognitive e dell'economia comportamentale secondo cui l'eccesso di informazioni riversate sul consumatore rischierebbe di determinare effetti opposti a quelli desiderati. Questo è tanto più vero se si considera che l'attuale modello di informazioni obbligatorie comporta il dovere di fornire una serie di informazioni minime, per cui è rimessa alla scelta del professionista la possibilità di fornire anche informazioni ulteriori, che potrebbero essere utilizzate proprio con lo specifico scopo di disorientare e il consumatore (cf. ad esempio, AGCM, provvedimento n. 25911 del 9 marzo 2016).

Un ulteriore aspetto critico è dato dal fatto che le regole a protezione del consumatore sono basate esclusivamente su un sistema di sanzioni di carattere amministrativo e sulla possibilità di richiedere al giudice ordinario l'inibizione a proseguire la pratica (azione inibitoria).

Il singolo consumatore incontra invece notevoli ostacoli quando agisce per via giudiziaria ordinaria, ove non si inserisca all'interno di un'azione di classe. La principale incertezza deriva dalla difficoltà di individuare il rimedio per impugnare il contratto concluso in conseguenza di una prassi ingannevole o aggressiva del professionista e sul punto c'è una quasi totale assenza di precedenti giudiziari.

Si aggiunga che, nel caso in cui il singolo consumatore presenti domanda di risarcimento danni basandosi sull'art. 2043 c.c., l'onere probatorio è a suo carico e deve quindi dimostrare la natura scorretta della pratica, la colpevolezza de professionista, i danni subiti e il nesso causale tra la pratica e i danni. Tale onere risulta attenuato soltanto qualora l'azione risarcitoria sia stata preceduta da un accertamento dell'AGCM. Un rimedio alle pretese risarcitorie del singolo consumatore potrebbe essere rappresentato dall'art. 1337 c.c., per violazione del dovere di buona fede nelle trattative, tuttavia solo per i casi in cui la prassi commerciale scorretta sia intervenuta nella fase precontrattuale.

I professionisti dovrebbero quindi prestare molta attenzione non solo al requisito della completezza delle informazioni obbligatorie, ma anche a quello della loro chiarezza, per evitare contestazioni e sanzioni nonché la dichiarazione di inefficacia di parte delle clausole contrattuali.

D'altra parte, dall'analisi sopra svolta risulta che i consumatori sono tutelati dal sistema normativo, ma nel caso in cui subiscano ingenti danni rischiano di riscontrare difficoltà nell'esperirei rimedi posti a loro tutela.

*a cura degli avv.ti Manuela Soccol e Irene Negri, Partner 24 ORE Avvocati

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