Responsabilità

Danno parentale al figlio concepito

Il ristoro va riconosciuto anche se la nascita non è ancora avvenuta

di Antonio Serpetti di Querciara

Ha diritto al risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale anche il figlio concepito, ma non ancora nato, al momento dell’infortunio del genitore. Lo ha ricordato la Cassazione, con l’ordinanza 4571 del 14 febbraio 2023.

Il caso riguarda un meccanico che, mentre stava andando al lavoro, fu investito da un’auto e riportò gravi lesioni, tanto da subire la parziale amputazione del piede sinistro. La vicenda giunge in Cassazione, tra l’altro, per il mancato riconoscimento – da parte del Tribunale prima e della Corte d’appello poi – del danno da lesione del vincolo parentale ai due figli del danneggiato; il primo, al momento del sinistro, già nato, mentre il secondo solo concepito.

Sul punto, la Corte Suprema afferma che, a seguito dell’incidente stradale occorso al padre, il diritto al risarcimento del danno parentale sussiste per entrambi i figli, sia in riferimento a quello già nato, sia a quello che era già stato concepito, ma non era ancora nato. Erra, secondo la Cassazione, il giudice di merito che neghi il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale al figlio (nato o anche solo concepito) del macroleso, rilevando la mancata allegazione di concrete voci di danno e asserendo che il pregiudizio invocato non sarebbe superabile da presunzioni. È, infatti, l’esistenza stessa del rapporto di parentela che fa presumere la sofferenza del familiare. Questo perché il danno parentale si configura in presenza di una mera lesione del rapporto parentale, in quanto rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale e consiste non nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, ma nello sconvolgimento dell’esistenza, nei fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita e nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto o dalla sua inevitabile modifica.

Inoltre, trattandosi di un danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, se ritenuto spettante, può essere allegato e dimostrato anche ricorrendo a presunzioni semplici, a massime di comune esperienza, al fatto notorio.

La Cassazione ha stabilito, infatti, che nel caso di morte o grave lesione all’integrità psico-fisica di un prossimo congiunto – coniuge, genitore, figlio, fratello – deve ritenersi che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza e di norma, connaturata all’essere umano. Infatti, qualora si tratti di congiunti appartenenti alla famiglia nucleare (e cioè coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle) la perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto può essere presunta in base alla loro appartenenza al medesimo “nucleo familiare minimo”, nell’ambito del quale l’effettività dei rapporti costituisce la regola, fatta salva la prova contraria da parte del convenuto.

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