Penale

I paletti della Cassazione sull’omicidio colposo di non dipendenti

Si trovano nelle motivazioni della sentenza sulla strage di Viareggio

di Giovanni Negri

È stato elemento centrale nella valutazione della Cassazione sulle responsabilità penali per la strage di Viareggio che, nel 2009, costò la vita a 32 persone. È l’interpretazione data all’aggravante per il reato di omicidio colposo, delitto ordinariamente punito con la detenzione da 6 mesi a 5 anni, ma che, se commesso in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, vede una sanzione compresa tra un minimo di due anni e un massimo di sette.

Nelle motivazioni della Cassazione, alla base del riconoscimento della prescrizione (sentenza n. 32899 della quarta sezione penale), si chiarisce come la circostanza prevista dal comma 2 dell’articolo 589 del Codice penale deve essere interpretata come riferita ad eventi nei quali risulta concretizzato il rischio lavorativo, quelli cioè causati dalla trasgressione di doveri cautelari collegati a quello specifico tipo di rischio.

E per rischio lavorativo deve essere inteso «quello derivante dallo svolgimento di attività lavorativa e che ha ordinariamente ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma può concernere anche la sicurezza e la salute di terzi, ove questi vengano a trovarsi nella medesima situazione di esposizione del lavoratore».

Così, sottolinea ancora la sentenza, perché possa essere riconosciuta l’aggravante è necessario innanzitutto che sia stata violata una norma a tutela della sicurezza dei lavoratori e che l’evento, anche quando la vittima sia un terzo, rappresenti comunque la concretizzazione del rischio lavorativo.

A titolo di esempio, la Cassazione ricorda un precedente (sentenza n. 51142 del 2019) nel quale l’aggravante è stata esclusa nel caso di un vigile del fuoco, intervenuto per estinguere un incendio di sterpaglie e folgorato da un conduttore della linea elettrica sganciatosi da un palo a causa della omessa manutenzione della linea elettrica stessa. Viceversa, l’aggravante è stata riconosciuta (Cassazione n. 27975 del 2003) per la malattia della moglie di un operaio, malattia provocata dal lavaggio delle tute del coniuge esposto all’amianto.

Quello che la Cassazione rimprovera ai giudici di appello, che avevano riconosciuto l’aggravante nei confronti degli imputati, è innanzitutto di non avere considerato che «il rischio tipico dell’imprenditore ferroviario attiene alla sicurezza della circolazione ferroviaria ; esso può concretizzarsi anche nei confronti dei lavoratori dipendenti, senza per questo mutarsi, addirittura per chiunque ne risulti investito, in rischio lavorativo».

Piuttosto, visto che quell’imprenditore è anche datore di lavoro, a lui tocca assicurare la sicurezza del lavoro a chi è esposto ai rischi dell’attività lavorativa.

I 32 omicidi sono poi stati considerati in maniera generalizzata senza valutare caso per caso e per ciascun imputato, nella rispettiva considerazione delle diverse sfere di rischio assegnate, la violazione specifica delle misure antinfortunistiche.

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