Accertamento del Giudice penale, legittima la quantificazione dell'imposta evasa senza la detrazione dei costi non contabilizzati
Con la pronuncia in commento la Corte torna sull'autonomia del giudizio penale e la nozione di "ragionevole dubbio"
Con la decisione 5577 del 2023 la Corte di Cassazione torna sui criteri di accertamento dell'imposta evasa (e della soglia di punibilità) per quanto concerne il reato di omessa dichiarazione (art. 5 del DLgs. 74/2000), imposta evasa in rapporto alla normativa fiscale e civilistica.
La Corte torna sul punto affermando
1) l'autonomia del giudizio penale (ma precisando anche che ciò non significa che in sede penale si possa prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale nella determinazione del reddito) e quindi ponendo
2) l'attenzione anche sulla nozione del "ragionevole dubbio" così come sancita dall'art. 533 c.p.p.
Entrando nello specifico dobbiamo evidenziare che il caso portato alla attenzione della Corte di Cassazione si riassume dicendo che "…Gli odierni ricorrenti rispondono del reato di cui all'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, perché, la G. quale legale rappresentante della società «E. [...] S.n.c.», il B. quale amministratore di fatto, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non avevano presentato le dichiarazioni relative a dette imposte per gli anni di imposta 2010 (capo D), 2011 (capo E) e 2012 (capo F), evadendo la relativa imposta sul valore aggiunto. La G. degli ulteriori reati di cui ai capi M), N) ed O) perché aveva evaso, quale socia, anche le imposte sul reddito; il B. dei reati di cui ai capi S), T) ed U) perché aveva evaso, quale socio, anche le imposte sul reddito …".
Il primo concetto di cui la Corte di Cassazione esplicita la nozione è riferito alla imposta evasa e i giudici affermano che "… Ai sensi dell'art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000, per «imposta evasa» si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione …".
Stabilito questo elemento il collegio entra nell'ambito della determinazione della imposta evasa che nel caso di specie "… in assenza di scritture contabili relative proprio agli anni di imposta in contestazione (2011, 2012, 2013), tale differenza è stata ottenuta nel seguente modo: calcolando i ricavi in base agli scontrini emessi (e dunque il totale degli incassi) e detraendo i costi presumibilmente sostenuti secondo l'incidenza percentuale che essi avevano certamente avuto negli anni precedenti, nei quali erano stati documentati. Nè, afferma la Corte di appello, con riferimento agli anni di imposta in contestazione (2011-2013) «sono stati documentati ulteriori costi sostenuti non emergenti dalle scritture contabili o dai misuratori fiscali esaminati dagli operanti». Di qui la non necessità, per i Giudici distrettuali, di una perizia volta ad accertare il superamento o meno della soglia di punibilità …".
Molto importante è l'affermazione del supremo collegio secondo cui "… il giudice penale non è certamente vincolato ai risultati degli accertamenti effettuati ai sensi degli artt. 38, 39, 41, d.P.R. n. 600 del 1973, né ai criteri di giudizio previsti dalla legislazione fiscale e civilistica, essendo suo preciso dovere ricostruire in modo autonomo e con le regole proprie del processo penale i fatti che danno luogo a responsabilità penale (Sez. 3, n. 2246 del 01/02/1996, Z., Rv. 205395; Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, P., Rv. 254852) …".
Questa affermazione farebbe pensare che il doppio binario sia da considerare come qualche cosa per cui non esiste alcuna interrelazione tra il mondo dell'accertamento fiscale e quello dell'accertamento penale ma la Corte di Cassazione opta per una strada che non è proprio così netta e lo fa affermando che "… anche ai fini della ricostruzione dell'imposta evasa ai sensi dell'art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000, è necessario attingere alle regole stabilite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell'accertamento penale, per cui i costi concorrono sì alla determinazione dell'imponibile purché ne sussista la certezza o anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza …".
Chi scrive ritiene che da quanto sopra si debba trarre la logica conseguenza che nella determinazione della imposta evasa (almeno per quanto concerne l'imposta IRES) non sia lecito ignorare il mondo del TUIR (ovvero il d.P.R.917/1986) e non sia lecito farlo operando delle ricostruzioni che non siano ragionevoli fermo restando che "….Poiché l'ammontare della «imposta evasa» è elemento costitutivo del reato di cui all'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, della relativa prova deve farsi carico il Pubblico Ministero il quale, dovendo svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini, deve individuare i costi sostenuti per il conseguimento dei ricavi non dichiarati che siano stati comunque accertati, senza attendere che a ciò provveda la persona sottoposta alle indagini. E' necessario, però, che di tali costi non contabilizzati sussista, come detto, la prova, diretta o indiziaria. Sicché, ove a fronte dell'esistenza certa di ricavi non dichiarati la persona sottoposta alle indagini lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l'esistenza (artt. 187 e 190, cod. proc. pen.), o comunque allegare i dati dai quali l'esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali né il Pubblico Ministero, né il Giudice hanno (in tesi) tenuto conto …".
Sul punto possiamo certamente concordare con la scelta della Corte di Cassazione e vogliamo rimarcare che nella determinazione della imposta evasa è necessario avere un particolare rigore probatorio che deve essere accentuato quando la determinazione di questa imposta evasa avviene (in sede fiscale) con metodi non analitici (diciamo mediante l'utilizzo delle presunzioni).
A questo particolare rigore probatorio si connette il secondo punto che viene trattato nella sentenza della Cassazione ovvero il tema del ragionevole dubbio.
In merito al ragionevole dubbio il supremo collegio afferma che "… il criterio di giudizio imposto dall'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., investe tutti gli elementi costitutivi del reato, sicché ove sussista il ragionevole dubbio circa il superamento delle soglie di punibilità indicate dall'art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 (e dunque l'ammontare dell'imposta evasa), il giudice deve affermare l'insussistenza del fatto; purché si tratti di un dubbio "ragionevole", fondato cioè su fatti verificabili, non su mere congetture, ipotesi, astrazioni ed automatismi …".
Sulla base di questo concetto la Cassazione conclude affermando in modo netto che "… Non costituisce, dunque, "violazione di legge" quantificare l'imposta evasa contabilizzando i maggiori ricavi conseguiti senza detrarre i costi che non siano stati contabilizzati in ordine alla cui esistenza effettiva (o anche solo al ragionevole dubbio in ordine alla loro esistenza) manchino specifiche deduzioni o allegazioni. Nessun criterio di giudizio legittima la deduzione di costi non contabilizzati in base a presunzioni sganciate da qualsiasi dato fattuale che renderebbe irragionevole il dubbio sulla loro esistenza e arbitraria persino la loro quantificazione …".
In buona sostanza è necessario dare conto mediante elementi precisi (e non formulando mere affermazioni di principio del tipo "certamente non si produce senza incorrere in costi") circa eventuali costi dei quali si chieda al giudice penale di tenere conto proprio per giungere alla quantificazione della imposta evasa.
Per concludere diciamo che trattasi di una sentenza che ci sentiamo di condividere.