Professione e Mercato

Addio a Carlo Federico Grosso, ex vicepresidente del Csm

di Giovanni Negri

Arriva la notizia della morte di Carlo Federico Grosso, spentosi ieri mattina nella sua Torino, e la memoria corre ad altre stagioni e anche a un altro Csm. Perchè Grosso era certo tra i più noti penalisti italiani, protagonista in tanti processi, dalla difesa delle parti civili nei procedimenti per le stragi di Bologna e del rapido 904 a quella di Annamaria Franzoni nel delitto di Cogne (ne fu il primo legale, ottenendone la scarcerazione per mancanza di indizi), ma si distinse anche in procedimenti per criminalità finanziaria, come quelli sul crac Parmalat, a tutela degli obbligazionisti truffati, e per i derivati venduti al Comune di Milano.

Tuttavia era anche un giurista impegnato nella politica della giustizia. Di quel ceppo torinese, di Alessandro Galante Garrone e Gustavo Zagrebelsky, per dire. Dagli incarichi istituzionali (fu componente del Csm, eletto nel 1994 ne divenne vicepresidente dal 1996 al 1998, e ancora, nominato dal ministro della Giustizia del primo Governo Prodi, Giovanni Maria Flick, guidò la commissione ministeriale per la riforma del Codice penale), alla disponibilità a intervenire anche sulla cronaca quando l’occasione gli sembrava ineludibile. Da ultimo intervenne, invano, insieme a molti altri per sollecitare il nuovo Governo a non gettare alle ortiche quella riforma dell’ordinamento penitenziario messa a punto dall’amministrazione Orlando, ma, contrariamente a molti altri interventi in materia, lungamente preparata.

Fu anche docente di Diritto penale a Urbino, Genova e Torino, in quest’ultima università dal 1974 al 2007, prima di esserne nominato professore emerito. In politica fu consigliere comunale sempre a Torino come indipendente nelle liste del Pci dal 1980 al 1990, ricoprendo anche la carica di vicesindaco. Dal 1990 fu vicepresidente del consiglio regionale del Piemonte.

Una figura poliedrica dunque, certo non chiusa nel recinto dell’Accademia, disponibile a mettersi in gioco, e in questo senso è stato anche ricordato ieri dall’Anm, nell’espressione di «un profondo cordoglio per la scomparsa del professor Carlo Federico Grosso, apprezzato studioso e avvocato che seppe dimostrare, anche da vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, alto senso Istituzionale, attenzione alle ragioni della giurisdizione e alle istanze della società civile».

Scrisse anche per «Il Sole 24 Ore» e piace ricordarlo, nel vivo dell’impegno, con alcuni stralci di un articolo scritto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2002, momento a suo modo unico, perchè nel pieno delle polemiche tra Governo Berlusconi e magistratura, dove un tutto sommato attonito Grosso non poteva che registrare che «per la prima volta nella storia del Paese le inaugurazioni dell’anno giudiziario hanno conciso con una realtà di scontro governo-magistratura. Mai prima d’ora si era visto il Parlamento varare riforme funzionali al rallentamento di processi in corso, il Guardasigilli interferire su un processo in cui il premier è imputato o avvocati parlamentari ostacolare il normale corso dei giudizi (...)».

E tuttavia era lo stesso Grosso che, sempre sul Sole 24 Ore, sottolineava la necessità di riforme organiche dei Codici, perchè «lo esigono i cittadini, lo richiede una elementare esigenza di funzionalità e di modernizzazione del mondo della giustizia». Era lo stesso Grosso che però contestava la centralità del carcere nel Codice Rocco, che ricordava quanto il sistema delle pene in esso delineato fosse deficitario, ineffettivo e, dove applicato, inutilmente vessatorio.

In Grosso parlava lo studioso del diritto, ma anche l’avvocato, che troppo spesso vedeva infliggere il carcere secondo «criteri molte volte casuali». E la “sua” riforma del Codice penale fu coerente con questa impostazione, perchè all’insegna di un diretto penale “mite”, senza perdere in rigore, abbassando in media le pene detentive, utilizzandole solo in casi di stretta necessità, e, dove non necessarie, sostituendole con sanzioni diverse, di natura interdittiva o pecuniaria. Un modello assai distante dai tempi odierni, di leggi «spazzacorotti», di (contro)riforme della legittima difesa, di giustizia amministrata “a furor di popolo”. E non parebbe un bene.

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